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FASCINO E SEDUZIONE

LA STORIA DI UNA PASSIONE
Il tango, Lujanera e Borges
Le gambe s’allacciano, gli sguardi si
fondono,i corpi si amalgamano e si lasciano incantare, incatenare in
un grande abbraccio magico dal quale è difficile liberarsi. E sono
funi e nodi di vecchi marinai, corde tese che vibrano nel cuore.

.
.Il tango secondo Jorge Luis
Borges
Perché in esso c’è qualcosa di provocante,
qualcosa di sensuale e dirompente, e allo stesso tempo,
di tremendamente emotivo che lega le crepe dell’anima
senza mai più sciogliersi. Vincoli stretti e catene
pesanti che si fondono nel fruscio dell’emozione, lo
svolazzare delle lunghe gonne danzanti, lo struscio dei
corpi e il rumore sordo delle scarpe sul legno. E
come l’amore, si balla in due, un passo alla volta al
tempo dei 2/4. Due battiti per tempo come fa il cuore. È
cultura, stile ed estetica, movimenti rapidi e piccoli
passi. E’ fame e sete di passione, è un modo di sentire
l’esistente: la vita, il tempo, l’amore e la morte.
Rigore e improvvisazione, regole e follia, energia e
forza, baci proibiti e corteggiamento, coppie d’amanti e
clandestine che si offrono e si danno prima ancora del
letto. E’ musica calda, note sciacquate nel Rio della
Plata, ritmo che entra nella carne fino a mescolarsi col
sangue del cuore.
Questo è il tango! Musica
meticcia del Gaucho e del Compadre. Il primo è un
cow-boy solitario, amante degli spazi aperti, il secondo
è elegante, fiero ed arrogante, nostalgico di
un’infanzia perduta che mai potrà tornare. Questo è il
tango! E’ violino, flauto, clarinetto e mandolino. E’
linguaggio bollente, idioma in cui affogano sensi e
stati d’animo, la tristezza e la tragedia, e malinconia,
e amore e gelosia, ricordi e delinquenza, il barrio
amato, la madre, le pene e le allegrie, tatuaggi e
galera, odori di bordelli e di attaccabrighe. O come
diceva semplicemente Borges “Un pensiero triste messo in
musica.” Nessuno sa dove sia nato, qualcuno dice a
Montevideo, forse a Buenos Aires, in Cile o nel nord
dell’Argentina. La sua lingua è il lunfardo, una
mescolanza di dialetti parlati dagli emigrati del ‘900.
Per lo più italiani, poveri e mascalzoni, francesi
viziosi e portoghesi rubacuori. Lingua bastarda di
parole tronche formate da due sillabe come gongri o come
choma, o tovén, o loco o gotàn.
Questo è il
tango. Parole in musica che trasudano di malaffare e
raccontano di duelli e litigi, l’aspetto bellicoso
dell’animo maschile, potere e seduzione, un mezzo per
conquistare la donna amata, strumento di piacere,
istinto sessuale propriamente maschile, propriamente
argentino. Che si sia sviluppato nei lupanari dei
quartieri malfamati di Buenos Aires, o Rosario, o
Montevideo poco importa. Oppure che sia nato su una
sponda o sull’altra del Rio de la Plata. L’anno
accettato da tutti è il 1880 come la ricerca di dare
un’identità ad un intero popolo, fusione di varie anime
e tradizioni, attraverso il vigore ed il coraggio.
Testimonianza culturale di un paese complesso, ma anche
l’espressione di un lirismo universale, nutrito di
sentimenti eterni come la malinconia, il tormento, la
nostalgia, la passione, la rabbia. Sensuale a suo modo e
forse poco o troppo sentimentale, con morti ammazzati e
bulli di periferia, tango della vecchia guardia, storie
di coltello e malavita a cavallo tra i due secoli.
E Il tango era quella Buenos Aires, la città divisa
in isolati, tutte le case erano basse e avevano la
stessa facciata: due finestre con sbarre di ferro che
corrispondevano alla sala da pranzo, la porta principale
con il battente, l’ingresso, due cortili, il primo con
un pozzo e una tartaruga nel fondo affinché purificasse
l’acqua e il secondo con una vite. Questa era Buenos
Aires. E questo il tango, l’arabalero, le periferie e le
suburre. Le casas malas, bordelli e bische sparse per
tutta la città. Luoghi in cui la gente si riuniva per
giocare a carte, bere un bicchiere di birra e
bestemmiare e sedurre e fare l’amore.
Ancor oggi
il tango conserva quel qualcosa di proibito che stimola
il desiderio di scoprirlo e quel qualcosa di misterioso
che ci ricorda quel che siamo stati o, forse, quel che
avremmo voluto essere. Perché il tango è trasgressione,
il tango è seduzione e lì sta la sua attrattiva. In
quella sensazione di libertà che accende tutti i tipi
d’emozione. Ma non è il tango da pasticceria che si
balla in Europa, quello della camminata voluttuosa, di
donne leggiadre che profumano di violetta con la erre
moscia. Il tango è sangue caldo, passi primitivi, è
acqua sporca, è acquavite nelle osterie lungo il Rio de
la Plata. Parole forti d’anima cantata: e i suoi temi
sono i temi del pugnale, della vendetta, della sfida,
del coraggio, a fare da filo conduttore alla musica
caratteristica e penetrante, fino a creare un connubio
di grandissima potenza espressiva. “Il tango crea un
turbio, pasado irreal que de algun modo es cierto, el
recuerdo imposible de haber muerto, pelando, en una
esquina del suburbio." Come dice Borges in "El Tango",
El Otro, El Mismo.
Il tango è Diego Juarez il
Picchiatore, uno dei guappi più temuti di Villa Santa
Rita. Uomo abile nel coltello. Arrivava al bordello
elegantissimo, con un cavallo oscuro, coi ciondoli
d'argento alla cintura; vestito di pelle nera, uomini e
cani e donne lo rispettavano, rispettavano i suoi baffi,
la sua faccia da indio spigolosa, la cicatrice scura sul
viso, ma era un assassino, anzi lo era stato, con due
morti sulla coscienza e vent’anni di galera. Portava un
cappello di feltro alto, dalla tesa breve, sopra la
chioma bisunta, una sciarpa scura abbandonata sulla
spalla.
Il Salone di Giulia era un baraccone di
legno e ferro zincato, fra la strada di Gauna e il
Maldonado. Era un locale che si riconosceva da lontano,
per il fanale che illuminava tutta la strada. E nel
Salone di Giulia non mancavano mai i musicanti, il buon
bere e le ragazze per ballare. Il mormorio di
sottofondo, proveniente dai tavoli della milonga,
sporca, senza spezzarlo, il ritmo dolente della musica.
Alcuni bevevano acquavite, altri vino rosso, altri
ancora cenavano sui taglieri colmi di salumi e formaggi.
Quando Diego Juarez entrò la musica rallentò
impercettibilmente, lui si guardò in giro e poi, come
tutte le sere, adocchiò la più bella. Non importava se
fosse sposata, non importava se avesse venti o
cinquant’anni. Diego voleva sempre il meglio e quella
sera il meglio era Lujanera, la donna di Cipriano Real.
Lei era seduta al tavolo vicino ai suonatori,
accompagnata al suo uomo. Dio com’era bella, com’era
sensuale! Dava dei punti a tutte le altre ed era
indiscutibilmente la più affascinante. Portava un
corpetto nero aderente con una scollatura da capogiro e
una gonna rossa lunga ed asimmetrica con uno spacco
profondo decorata con frange nere.
E allora Diego
si fece strada, le andò vicino e di colpo la sale cadde
in un silenzio d’attesa, profondo, cupo. Solo il
suonatore cieco di violino continuò con i suoi accordi.
Qualcuno fumava nervosamente rendendosi conto di quello
che a breve sarebbe successo. Diego la invitò con fare
galante togliendosi il cappello e facendo un mezzo
inchino. Poi, visto la sua esitazione, divenne più duro
e la prese per un braccio. Lei non disse nulla, ma il
suo uomo Cipriano tentò di reagire togliendo quella mano
dal braccio di Lujanera. L’avesse mai fatto! Qualcuno
sospirò rumorosamente, perfino il suonatore cieco di
violino sbagliò per ben due volte l’accordo e il
cantante, che aveva cercato invano di ravvivare la sala,
stonò fragorosamente quando il coltello di Cipriano
brillò sotto la manica destra.
Intorno tutti si
scostarono, ma nessuna femmina fuggì, nessun uomo
intervenne. Cipriano guardò il Picchiatore con aria di
sfida deciso a trattenere la sua donna, poi gettò ai
piedi dell’uomo il mozzicone di sigaretta accesa.
Rideva, rideva sempre in queste occasioni e con fare
sprezzante sputò sugli stivali di Diego per dimostrare
tutto il coraggio alla sua donna. Ma durò poco. Quel
riso si spense contro un pugno simile ad una cannonata.
Quella forza di Dio lo colpì in pieno volto. Qualcuno
sentì rumore di ossa. L’uomo cadde a terra, due denti
schizzarono via nel vuoto insieme al coltello e
immediatamente l’occhio divenne più nero della notte
fonda.
Diego per nulla agitato, si voltò, prese
il coltello dell’uomo e lo ripose con cura nel gilet di
Cipriano. Aveva vinto e inginocchiandosi davanti a
Lujanera le chiese di ballare e poi, a voce più alta, in
modo che sentissero tutti, le chiese la notte intera.
Lei gli gettò le braccia al collo. Lui guardò di nuovo
Cipriano, il sangue cominciava a insozzare il pavimento
di legno, per un momento rimase perplesso, ma poi prese
Lujanera per mano gridando ai musicanti di suonare tango
e milonga, e agli altri spettatori di ballare e bere
alla salute della bella dama. La milonga passò come
fuoco da una parte all'altra, la sala si rianimò e tutti
cominciarono a bere e cantare.
La musica salì e
crebbe imperiosa, seguendo le belle gambe dritte di
Lujanera, lei schiuse le labbra come fosse già maggio,
come fosse la rosa stampata sul suo scialle. Era bella
Lujanera con il suo viso sfrontato e i cerchi d’oro da
zingara. Sapeva di meridione e di terra argentina, di
lunghi coltelli di sangue e passione, che a rivoli
correva lungo la strada, come rigurgiti d’acqua
risucchiati da fogne. Qualcuno gridò da una finestra,
erano urla di cuore e castigo, urla di gelosia che
consumava vendetta, e Diego continuava a toccare, e
Diego continuava a strizzare quei seni abbondanti che
sapevano di madre, di terra e tango, d’emigranti e
lingue lontane. Sapevano di dominio, di quell’inetto di
Cipriano steso ancora sul pavimento, incapace di
difenderla, di dimostrare d’essere uomo vero. Le mani di
Diego scivolarono lungo la schiena, esperte ossessive si
muovevano in fretta, a volte pesanti facevano attrito, a
volte leggere seguivano le forme, come se sapessero
quale fosse il momento, il punto preciso in cui una
donna lasciava all’uomo il potere di sentirsi più
maschio. Ed era tango, tango argentino, avanzi di notte
e lamenti di mogli, che aspettavano sveglie l’ultimo
turno, ed era musica sporca e rete di calza, era
Lujanera, sesso duro sulla sua stoffa voluttuosa, sulle
pieghe del velluto raggrinzite d’amore, sul suo seno
sciupato dai tanti amanti di notte, come ora Diego perso
dentro i suoi occhi, che valeva per quanto l’avrebbe
fatta godere.
E allora Diego si rivolse al
violinista cieco e gli ordinò di intonare Naranjo en
flor una Guardia vieja d’amore. Poi trionfante fissò
negli occhi Lujanera:
Era más blanda que el agua,
que el agua blanda. Era más fresca que el río,
naranjo en flor, y en esa calle de hastío, calle
perdida, dejó un pedazo de vida y se marchó…no
Fuori, l'alba si faceva strada e anche il tango
si faceva strada in questa notte di Villa Santa Rita, la
milonga folleggiava nel locale e fuori ribolliva tra le
case sparse, aiutata dal vento che portava odore di
caprifoglio. II cieco del violino tirò fuori una
languida habanera. Bella come tutte le notti, bella come
Lujanera. C'erano le stelle a far da contorno e il ballo
continuava come niente fosse. E Lujanera apriva la bocca
e scopriva le tette in quel vortice di sensualità e
pelle nera.
Le altre femmine ballavano coi
forestieri, ma tutti aspettavano la reazione di Cipriano
che non venne. Era praticamente immobile, solo il suo
sangue continuava a colare dal labbro inferiore e
dall’occhio destro. Colava ed anneriva la cravatta rosso
sangue. Il suo volto aveva l’aria stanca dei defunti. E
pensare che era stato solo un pugno, un unico pugno! Una
donna pietosa gli portò dell’acquavite e stracci
bruciati. L'uomo non diceva nulla, non si lamentava.
Lujanera lo guardava sperduta, ma continuava a ballare
il tango, la milonga, ed a farsi toccare i fianchi ed il
seno. Diego era il suo nuovo uomo, forse solo per quella
sera, sicuramente per la notte intera! Lui allora la
baciò e per rassicurarla le sussurrò all’orecchio: «Non
preoccuparti, per morire bisogna essere vivi!»
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ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FOTO GOOGLE IMAGE FONTI
Il racconto di Lujanera è
liberamente tratto da: J.L. Borges, UOMO DELLA
CASA ROSA, da Storia Universale dell’Infamia, 1935
.http://www.dagospia.com/rubrica-2/media
http://www.tangoargentino-milano.it/jorge_luis_borges.html
http://www.lanuovabottegadellelefante.it
http://fattiditango.files.wordpress.com/2010/03/laverastoriadeltangoargentino.pdf
Immagini raymond leech & Hamish Blakely


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