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Adamo Bencivenga
Il Signor Bell
Domenica
Molly
Era un gentiluomo
il Signor Bell, la domenica si alzava mezz’ora dopo
del solito. Nonostante fosse ormai abituato, gli
faceva strano svegliarsi senza sua moglie. La pinta
di birra gli aveva lasciato come al solito un
leggero bruciore di stomaco e un velato mal di
testa. La merla aspettava pazientemente.
Il
primo pensiero era comunque per Molly, ormai
mancavano pochissime ore e come al solito sentiva in
gola un leggerissimo stato d’ansia. Prima di andare
alla messa delle 10 si concedeva una lunga
passeggiata nel quartiere. Salutava i vicini intenti
a rigovernare e tagliare il prato dei piccoli
giardini adiacenti le case rosse. Adorava
quell’odore di erba, ma difficilmente si fermava a
scambiare quattro chiacchiere. Rimaneva comunque un
solitario il Signor Bell ed a suo modo un
ipocondriaco cronico: pensare che i vicini di casa,
per qualche strana ragione, lo potessero sfiorare
con le loro mani sudate e sporche lo faceva
rabbrividire.
Ultimamente aveva letto sul
giornale che un forte virus di ultima generazione,
facilmente trasmettibile con il semplice contatto di
pelle, si annidava nella terra bagnata. Le
conseguenze erano una fortissima influenza con
nausea e mal di pancia per alcune settimane che la
comune terapia antibiotica difficilmente debellava.
Ne aveva parlato anche con il Dottor Lionel, il
quale, come suo solito, per pronta risposta gli
diede una possente pacca sulla spalla destra
scoppiando in una fragorosa risata.
Alle
10,15 era già seduto nell’ultima fila a destra dei
banchi di St. Andrew. Il Signor Bell non era un
fervente religioso, anzi viveva dei fortissimi
conflitti interni, i quali a scadenze regolari lo
portavano ad avere più dubbi che convinzioni.
Nonostante questo travaglio non aveva mai saltato
una domenica. Purtroppo durante la funzione si
distraeva spesso perdendo ogni volta il filo della
predica del pastore Paul.
Si estasiava a notare
come in quel luogo gli uomini fossero più cortesi e
le donne estremamente eleganti. Dalla sua postazione
si godeva la vista dei graziosi cappellini colorati
giocando ad indovinare quali di questi fossero stati
messi per la prima volta o fossero stati usati per
matrimoni o battesimi. Si lasciava andare ad un
ghigno soddisfatto quando tra i tanti riconosceva
quello della Signora Harris.
Prima di
prendere il pullman per Pittsburg si rifugiava nel
bagno della stazione e controllava nuovamente se
tutto l’occorrente era nella busta rossa e bianca
dei magazzini Arrows: gli slip della liceale, i
guanti della Signora Livingstone, il reggiseno della
Signora Bell, il reggicalze della Signorina
Petterson, il foulard della Signora Martin, le calze
della Signora Taylor.
Poi visionava di nuovo,
ad uno ad uno, ogni indumento. Molly doveva essere
contenta! Ancora era vivo il ricordo di quando trovò
una macchia ben evidente di rossetto sul reggicalze
bianco della Signorina Petterson. Non si perse
d’animo. Tornò immediatamente a casa e con un po’ di
acqua e sapone riuscì a far scomparire la macchia.
Molly non avrebbe gradito e lui era troppo
innamorato per deluderla!
Alle ore 11 in
punto era già tra i banchi del mercato di Pittsburg.
Con solerzia sceglieva un paio di scarpe con il
tacco importante, generalmente color marrone testa
di moro, anche se qualche volta eccedeva con un
bluette molto scuro.
Quella mattina non fece
eccezione, ma in realtà detestava entrare in
possesso di quelle scarpe comprandole da un banale
rivenditore. Ogni volta si riprometteva di coprire
quella crepa settimanale cercando di organizzare un
incontro con qualche gentile signora, magari proprio
la domenica mattina.
Al momento la candidata
preferita rimaneva Suzanne Pryde. Quarantacinque
anni vedova, figlia di Ernest Pryde, un famoso
ortopedico, primario dell’St. Gennary Medical, che
vent’anni prima aveva curato egregiamente una
distorsione al ginocchio sinistro di sua moglie.
Incontrava Suzanne ogni mattina in pullman e se non
era già seduta le cedeva volentieri il suo posto.
Non era bella Suzanne, aveva gli incisivi troppo
lunghi e la bocca troppo stretta, ma Bell, che come
al solito s’innamorava dei dettagli, si era più
volte compiaciuto del tipo di calzature della
signora. Classiche, dai colori nobili, presentavano
in tutte le versioni, sia estive che invernali, un
finissimo laccetto alla caviglia e un tacco a dir
poco eccessivo.
Tramite un giornale locale era
riuscito a sapere che il negozio nel quale si
serviva la signora era il famoso Tagboo a Brixton.
Si riprometteva in ogni fine settimana di farci
un salto e verificare con i suoi occhi la qualità e
la varietà dell’offerta.
D’altro canto la
Signora Pryde era sempre così gentile e disponibile
che un suo eventuale approccio non poteva che avere
un esito più che favorevole.
Sicuramente doveva
essere una scelta ponderata e si riprometteva di non
essere troppo precipitoso.
Strada facendo le
venne anche in mente la moglie di Tommy, il
proprietario del pub. Quando si sedeva in quel
locale i suoi occhi cercavano freneticamente la
signora Liz che si aggirava tra i tavoli ostentando
oltre misura l’esagerata altezza dei suoi tacchi.
Bell, scavando nei meandri della sua memoria,
stragiurava di non averla mai vista con indosso un
paio di scarpe ordinarie. Voci incontrollate
l’avevano data più volte in dolce relazione con il
Dottor Lionel, che da buon intenditore di accessori
femminili, sicuramente non si era fatto scappare la
preda.
Ma come la Signora Pryde anche Liz non era
bella, anzi a giudicare da occhi esperti, le sue
gambe risultavano decisamente arcuate, il suo di
dietro abbastanza piatto e la sua femminilità
alquanto precaria.
Scuoteva la testa il
Signor Bell, che effettivamente avrebbe potuto
trovare di meglio. Per un solo estemporaneo attimo
pensò alla prostituta di CowField, ma il suo rigore
morale mai e poi mai l’avrebbe portato a far
indossare alla sua stupenda e dolcissima Molly un
paio di scarpe che calpestavano ogni giorno
fazzoletti usati.
Contento del suo acquisto
e tormentato dai suoi dubbi si recò come ogni
domenica mattina nella drogheria dei fratelli
Howard. Salutò la cassiera con un leggerissimo
sorriso, comprò dell’affettato, tre fette di
formaggio olandese, del pane in cassetta farcito con
mandorle e banane e una bottiglia da due litri di
Coca Cola.
Molly andava pazza per quella bibita
gassata mentre lui avrebbe sicuramente preferito una
buona birra in lattina.
Conosceva benissimo
John Howard, il più piccolo dei due fratelli, anche
lui tifosissimo dei Reds. Una volta fecero una
scampagnata insieme nell’azienda di John. Bell trovò
interessantissima la lavorazione ed il procedimento
di aromatizzazione della pancetta affumicata.
John fu molto gentile, lo condusse nelle cantine e
gli spiegò nei minimi particolari come avveniva
l’affumicatura utilizzando delle braci accese sulle
quali venivano posti dei legni verdi di ginepro.
Salutò John dandogli appuntamento per il
pomeriggio allo stadio: Tribuna Centrale settore B.
Entrambi incrociarono le dita al grido di: “We are
the Champions. Alé, alé Reds!”
Ora era tutto
pronto.
Alle 12 in punto aprì con la sua
chiave il vecchio portone di legno massiccio. Un
palazzo nella periferia nord, abitato per lo più da
operai dei cantieri navali.
Tra questi isolati
aveva vissuto la sua infanzia. Ricordava con piacere
quei tempi quando giocava al parco con suo padre e
le grandi partite con i tappi delle lattine sul
marciapiede adiacente.
I suoi erano morti da
tempo in circostanze tragiche. Si erano tolti
contemporaneamente la vita gettandosi in un’alba
nebbiosa dal ponte di YellowBridge.
Naturalmente
Bell non volle per nulla credere a questa
ricostruzione dei fatti, più volte si recò dal
Sergente Tristan della sezione omicidi di Scotland
Yard ed ogni volta il biondo sergente dagli occhi di
ghiaccio e i baffi esagerati gli poggiava una mano
sulla spalla in segno di compassione.
Purtroppo
non era stato un incidente e nemmeno un tentativo di
rapina da parte di immigrati. Il parapetto era
troppo alto e in buone condizioni senza nessun segno
di effrazione, e soprattutto in tasca ai coniugi
furono ritrovati i portafogli intatti e le chiavi di
casa.
Ma Bell non si rassegnava. Fece delle
indagini personali che lo condussero in diverse
bande di ragazzi malavitosi che per qualche sterlina
erano prontissimi ad offrire indizi e nominativi che
poi risultavano regolarmente falsi. Indagò perfino
tra le frange estreme degli ultrà della sua squadra.
Era venuto a conoscenza che certi tipi di rapine
erano diffusissime per autofinanziarsi le trasferte.
Ma nulla di nulla.
Visto l’insuccesso dei
suoi tentativi dovette rassegnarsi cercando di
scacciare dalla sua mente questo tragico evento.
Preferiva rivedere i suoi genitori tranquilli e
felici dentro la loro casa che per queste ragioni
non aveva mai voluto vendere.
Sua moglie ogni
tanto distrattamente gli domandava quale fosse la
sua intenzione. Non molto tempo prima aveva anche
trovato un compratore facoltoso e si sorprese quando
il marito non accettò l’offerta.
Ma la
Signora Bell non poteva sapere che con l’andare
degli anni quell’appartamento era diventato il suo
tempio segreto, dove ogni domenica si rifugiava di
nascosto all’insaputa di tutti.
Salendo le
scale Bell scosse la testa per le tante scritte e
graffiti volgari sui muri. L’interno del palazzo era
fatiscente e soprattutto sporco, pieno di cartacce e
polvere incrostata agli angoli del pavimento.
Purtroppo, negli ultimi tempi, alcuni proprietari
avevano affittato i loro appartamenti ad
extracomunitari di colore e il decoro dello stabile
ne aveva risentito.
Le mensole delle finestre
erano ricoperte da escrementi di piccione. Bell
malediva quegli animali e tra le altre cose era
convinto che portassero sventura.
Alle 12:02
aprì la porta senza bussare. Poggiò le chiavi sulla
mensola tarlata dell’ingresso. Si ripromise, come
ogni domenica, di rinnovare la mobilia ormai
cadente. Si guardò nello specchio ombrato cercando
di rigovernare con il suo solito pettinino d’osso
gli sparuti capelli sparpagliati dal vento. Diede un
colpo di tosse per farsi sentire e con voce
squillante disse amorevolmente: “C’è nessuno?”
Sapeva che Molly, come suo solito, l’avrebbe
atteso nella stanza da letto. Indugiò ancora un
attimo, poi accennò a qualche passo, ansioso e
timoroso come un innamorato alle prime armi. Amava
quei momenti, quei passi d’attesa lungo il
corridoio. Per prendere ancora tempo raddrizzò il
solito quadro storto: una riproduzione su legno del
pittore italiano Teodomondo Scrofalo.
Ma ormai
non era più in sé, le mani quasi tremavano, il suo
cuore batteva senza regola. Tra qualche attimo
l’avrebbe vista, bella come una rosa, verginale come
una gardenia, passionale come una camelia, seduta
sul letto nella stessa posizione dove l’aveva
lasciata la domenica precedente.
Eccola! Un
impeto di emozione arrossò le sue guance e riempì di
aria calda i suoi polmoni.
La salutò
affettuosamente coprendola di baci casti sulle
guance e le labbra e poi via via scendendo lungo le
braccia fino al palmo delle mani.
“Dio Molly,
quanto tempo! Come stai?” Senza aspettare risposta
la strinse energicamente. La sua passione mista a
sincero affetto lievitava inesorabilmente. Baciò più
volte le sue mani che impercettibilmente si chiusero
a pugno.
Si mise a sedere accanto a lei sul
bordo del letto ed iniziò a raccontarle per filo e
per segno la settimana trascorsa. Giorno per giorno,
emozione per emozione.
Le descrisse
minuziosamente il faccino della liceale per poi
passare all’intraprendenza della Signora Livingstone
lodandosi della sua bravura per aver terminato in
breve tempo le parole crociate. Si soffermò per un
attimo al pane da thè della conturbante signora
descrivendo ogni minimo gusto dal mascarpone ed erba
cipollina, all’arancia e piccoli pistacchi con
scaglie di formaggio cremoso, prosciutto piccante e
listarelle di salmone.
Saltò per tatto il
mercoledì trascorso con sua moglie concentrandosi
sul magico racconto della Signorina Petterson. Anche
questa volta si soffermò su quell’aria tremendamente
maliziosa esternando i suoi dubbi sulla veridicità
dell’innocenza della fanciulla.
Bell non
conosceva menzogna per cui le espresse la sua
intenzione di coinvolgere la figlia della lavandaia
per le prossime settimane. Molly naturalmente non
espresse alcun giudizio.
Mentre raccontava
della Signora Martin un attacco di coccole lo
intenerirono al punto che iniziò a baciare ogni dito
della mano sinistra di Molly sospirandole sottovoce
quanto fosse importante per lui e quanto le era
mancata. Ribadì il concetto che vedersi solo una
volta a settimana era una autentica tortura.
D’accordo era stata una decisione presa insieme, ma
ora avrebbe desiderato di più. Poi rimase in
silenzio rendendosi conto di essere monotono e
ripetitivo. A lungo andare l’avrebbe sicuramente
stancata!
In quel preciso istante spuntarono
prorompenti le sue ataviche paure. Da qualche
domenica infatti, percorrendo quel corridoio,
sentiva salire fino in gola un forte timore. Il
cielo si oscurava improvvisamente, lampi e fulmini
squarciavano il buio della sua mente. Con il respiro
strozzato e la lingua di fuori immaginava quel letto
completamente vuoto oppure occupato comodamente da
un altro uomo. Terrore e sudore sulla sua fronte
cadevano copiosamente.
No Molly no! Non poteva
abbandonarlo!
La guardò scrutando
l’eventuale velatura di noia nei suoi grandi
occhioni verdi. Lei non parlò, lei non parlava mai.
Dio quanto Bell avrebbe voluto! Rimase per lunghi
attimi in attesa, ma lo sguardo di Molly era
incollato su un punto indecifrabile tra il soffitto
e la finestra. Il Signor Bell che era un gentiluomo
non avrebbe mai fatto domande sconvenienti.
A quel punto si tranquillizzò e seduto accanto a lei
sul bordo del letto iniziò a tirare fuori dalla
busta dei magazzini Arrows le mutandine e poi tutto
il resto. Pazientemente tolse tutte le etichette.
Molly non diceva nulla.
Poi iniziò a vestirla
amorevolmente…
“Molly meravigliosa, Molly mia
musa.” Diceva sottovoce ringraziando la sorte per
averla incontrata, per avergli concesso di stare ora
lì accanto a lei.
Molly aveva le dita affusolate
e le caviglie sottili. Aveva la taglia 44, ma
qualsiasi indumento sembrava fatto apposta per lei.
Era davvero meravigliosa e per guardarla Bell si
allontanò fino alla finestra per poi ritornare
accanto a letto continuando ad ammirarla, passo dopo
passo, a tutte le distanze nonostante lei facesse
fatica a rimanere in quella posizione appoggiata
allo schienale del letto.
Bell notò l’assenza
di rughe sul suo viso, incredibilmente non era mai
invecchiata. Sembrava che gli anni non fossero un
suo problema. La sua faccia era rimasta giovane. Il
suo trucco sempre perfetto, le labbra rosso fuoco.
La baciò ancora pronunciando un velato “ti amo”
lungo l’incavatura del collo.
Nella sua lunga
vita Bell non aveva mai incontrato una donna così,
femmina speciale, taciturna e comprensiva, maliziosa
e fintamente inesperta. Quella giovinezza inalterata
gli strappava in ogni istante la voglia di
possederla, di sentirla sua oltre ogni regola
materiale. Solo con lei non sentiva il ribrezzo del
contatto, solo con lei riusciva a provare gli albori
dell’orgasmo che avvertiva nitidamente tra la tempia
e il lobo destro.
Preso dalla passione, avrebbe
voluto far l’amore immediatamente, era molto
eccitato e rosso in viso, ma poi desistette
limitandosi a baciarla intensamente e rimandando a
dopo pranzo il resto.
Eh già non era ancora
questo il momento. Molly non avrebbe tollerato
questo tipo di effusioni prima di pranzo. Ormai
conosceva i suoi tempi, la sua rigidità morale, i
suoi piaceri intimi lievemente trasgressivi.
Con
un impeto affettuoso la prese delicatamente in
braccio e coprendola ancora di piccoli baci caldi la
fece accomodare su una delle due poltrone nella sala
grande.
Poi apparecchiò elegantemente la
tavola e pranzarono insieme. Molly sembrò gradire le
candele accese al profumo di incenso e cannella, ma
come al solito rimase silenziosa, non disse una
parola.
Il Signor Bell toccò di nuovo l’argomento
della convivenza. Oramai stavano insieme da tempo e
quella relazione di amanti clandestini iniziava a
pesare. Sarebbe bastato un piccolo cenno di assenso
e lui avrebbe sicuramente messo al corrente sua
moglie di questa relazione extra coniugale. Era
innamorato di lei e per lei avrebbe affrontato
qualsiasi cambiamento. La considerava la donna
perfetta.
Sua moglie Catherine avrebbe
capito. Sapeva benissimo che l’amore era altra cosa
rispetto alla loro unione. Se si fossero lasciati in
buone lui si sarebbe accontentato del controvalore
di metà della casa nella quale abitavano e una
cospicua parte dell’eredità imminente, ma le avrebbe
lasciato la merla. Ebbe un fremito al cuore… quasi
si commosse, ma passò rapidamente pensando a quanto
fosse stata felice Catherine del suo innato
altruismo.
Il Signor Bell che era un
gentiluomo vagliò l’ipotesi di un rifiuto da parte
di sua moglie. Aveva anche per questo la soluzione.
Con sua moglie avrebbero stabilito i giorni di
convivenza tenendo naturalmente alto l’onore. I
vicini non avrebbero saputo nulla e lui poteva
benissimo condurre una vita a cielo aperto con la
sua compagna. Era comunque fermo a non concedere
alla moglie il week-end e altri due giorni della
settimana. Nella scelta Molly avrebbe avuto l’ultima
parola.
Un brivido di rabbia per
l’improbabile rifiuto da parte di sua moglie gli
attraversò la schiena, subito represso dalla vista
di quella splendida donna.
Ora doveva pensare
solo a Molly. Ora c’era solo lei. Solo la
meravigliosa Molly. Ne era innamorato e per lei
avrebbe anche affrontato qualsiasi cambiamento,
qualsiasi patteggiamento con Catherine. Eh già lei
era la donna perfetta e non mancò di ricordarglielo
mentre le preparava il panino con la pancetta
aromatizzata al ginepro dei fratelli Howard.
Tacque ancora in attesa, ma lei non parlò. Pensò che
forse non era ancora il momento, in fin dei conti
affrontare una nuova vita non era certamente una
decisione da prendere su due piedi. Era d’accordo
con lei. Rispettò il suo silenzio, avvertendo
nell’aria solo amore e dedizione.
Si crucciò
della sua maldestra avventatezza. Aveva ragione
Molly, ogni cosa a tempo debito e questo era quello
di vivere le tante domeniche in spensierata
compagnia.
Aspettò ancora un attimo, ma Molly
non accennò al minimo movimento di labbra e lui
cambiò discorso dandole notizie sull’avvenimento
dell’anno. Non stava più nella pelle!
Quel
pomeriggio finalmente avrebbe assistito al derby.
Pur sapendo che a Molly non interessava il calcio,
si lasciò andare a commenti sulla formazione e sulla
migliore tattica da attuare in partite simili.
Nonostante lo scetticismo di John Howard, Bell era
sicuro del successo finale. Faceva sempre così, mano
mano che si avvicinava l’evento l’ottimismo prendeva
il posto di ogni realistico dubbio. Già immaginava i
Reds sotto la curva a festeggiare il gol del
successo a pochi minuti dalla fine.
Molly rimase
ad ascoltarlo, ma non disse una sola parola.
Preparò il caffè e poi finirono nella stanza da
letto. Molly era sensuale e soprattutto comprensiva.
Lui passò in rassegna tutti gli indumenti scandendo
per ciascuno il nome dell’ex proprietaria.
Naturalmente Bell la metteva a conoscenza di ogni
dettaglio. Era convinto che solo un rapporto
trasparente potesse alimentare un grande amore.
Molly non era affatto gelosa, ostentava la sua
bellezza con studiata femminilità. Sapeva di essere
desiderata. I suoi occhi rimanevano fissi su un
punto imprecisato. Le sue braccia distese lungo il
corpo, ferme ed abbandonate come fossero in attesa.
Lei non aveva mai preso l’iniziativa e Bell
sapeva benissimo che era un modo per non ostentare
esperienza. Chissà cosa avrebbe dato Bell per
conoscere almeno qualche episodio del suo passato,
oppure soltanto il numero di quanti uomini prima di
lui avevano assaporato quella disarmante sensualità.
Ma Molly era taciturna e lui non poteva che
essergliene grato.
Ricordava ancora il loro
secondo incontro nella zona riservata ai sex toys
dei grandi magazzini Arrows. Non le aveva mai
chiesto il motivo perché fosse lì!
Era troppo
geloso! Scacciò via i pensieri e la baciò. Si
distese accanto a lei, la riempì di coccole e
carezze. Sottovoce la coprì di dolcezze e parole mai
dette a nessun’altra donna.
Sfiorò
delicatamente la sua bocca carnosa e profonda... poi
sprofondò tra il suo seno enorme. In quei frangenti
si sentiva padrone assoluto di quella chioma
fluente, di quelle unghie affilate, le gambe dritte
e quella lingerie di pizzo indossata magnificamente.
Si perse nell’ardore di uomo innamorato
consumando in circa mezz’ora il suo dirompente
desiderio. Adorava Molly anche per quel suo modo di
fare l’amore, mai una parola, mai un cenno di
insofferenza, mai un respiro più intenso, si
lasciava soltanto trasportare abbandonandosi ad ogni
suo cruccio.
Dio come era bella Molly con quella
lingerie! Quando la sua passione fu al massimo la
penetrò. Lei non ebbe alcuna reazione. Bell iniziò a
spingere nel suo sesso pronunciando parole piccanti.
Rivolto a lei e alla sua moralità gli uscirono frasi
di dubbio gusto, ma in amore, come le ripeteva ogni
volta, era tutto consentito.
Alla fine
esausto eiaculò copiosamente. In cuor suo avrebbe
voluto resiste ancora. Voleva davvero dimostrarle
che non c’era altra donna nei suoi pensieri e che
ogni sua minima energia di maschio era adesso lì tra
le sue gambe.
Subito dopo si addormentò
placidamente tenendosi stretto tra le braccia di
Molly per sentire il suo impercettibile calore.
Sognò, come al solito, la sognò in attesa di un suo
bimbo. Sarebbe stata una femminuccia. Ne avevano già
parlato e scelto il nome. Patricia naturalmente,
come sua madre!
Era un gentiluomo il Signor
Bell, quando si risvegliò erano già passate le due.
Lei guardava nella stessa direzione di sempre. Lui
l’accarezzò lungo tutto il corpo, era convinto che
le coccole dopo l’amore ripulivano la minima
volgarità e qualsiasi eccesso.
Alle tre
iniziava il big match ed era in leggero ritardo. Si
alzò di fretta. Svestì Molly e con cura l’adagiò sul
letto con la schiena appoggiata alla spalliera in
modo che lei potesse vedere fuori dalla finestra.
“Così non ti annoierai.” Le disse rimettendo i
vestiti nella busta dei magazzini Arrows.
La
salutò con tutto il calore possibile, dandole
appuntamento per la domenica successiva.
La sua
squadra avrebbe giocato fuori casa e lui avrebbe
avuto più tempo, restando con lei ben oltre le sei,
per poi farsi trovare alle otto alla stazione dei
pullman per Dover dove avrebbe aspettato il ritorno
di sua moglie.
Molly non disse nulla, ma
Bell riusciva ad intuire l’impercettibile felicità.
La salutò ancora prendendo le chiavi dalla mensola
tarlata. Un leggero cruccio rugò la sua fronte.
Avrebbe voluto sentire almeno un grosso “in bocca al
lupo” per la partita. Ma si consolò pensando che
comunque i Reds avrebbero stravinto! Un gol sotto la
curva all’ultimo minuto, e lui ed Howard ad
abbracciarsi contenti intonando “We are the
Champions. Alé, alé Reds!”
Appena fuori,
riversò il contenuto della busta dei magazzini
Arrows nel cassonetto di fronte al portone.
Molly, la domenica successiva, non avrebbe mai
accettato di fare l’amore con lo stesso intimo della
settimana precedente.
FINE |
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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reserved
TUTTI I
RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
Immagine Renè Magritte - Le
Fils de l'Homme
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