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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Il Signor Bell
Domenica
Molly

 


 
 


Era un gentiluomo il Signor Bell, la domenica si alzava mezz’ora dopo del solito. Nonostante fosse ormai abituato, gli faceva strano svegliarsi senza sua moglie. La pinta di birra gli aveva lasciato come al solito un leggero bruciore di stomaco e un velato mal di testa. La merla aspettava pazientemente.

Il primo pensiero era comunque per Molly, ormai mancavano pochissime ore e come al solito sentiva in gola un leggerissimo stato d’ansia. Prima di andare alla messa delle 10 si concedeva una lunga passeggiata nel quartiere. Salutava i vicini intenti a rigovernare e tagliare il prato dei piccoli giardini adiacenti le case rosse. Adorava quell’odore di erba, ma difficilmente si fermava a scambiare quattro chiacchiere. Rimaneva comunque un solitario il Signor Bell ed a suo modo un ipocondriaco cronico: pensare che i vicini di casa, per qualche strana ragione, lo potessero sfiorare con le loro mani sudate e sporche lo faceva rabbrividire.

Ultimamente aveva letto sul giornale che un forte virus di ultima generazione, facilmente trasmettibile con il semplice contatto di pelle, si annidava nella terra bagnata. Le conseguenze erano una fortissima influenza con nausea e mal di pancia per alcune settimane che la comune terapia antibiotica difficilmente debellava.
Ne aveva parlato anche con il Dottor Lionel, il quale, come suo solito, per pronta risposta gli diede una possente pacca sulla spalla destra scoppiando in una fragorosa risata.

Alle 10,15 era già seduto nell’ultima fila a destra dei banchi di St. Andrew. Il Signor Bell non era un fervente religioso, anzi viveva dei fortissimi conflitti interni, i quali a scadenze regolari lo portavano ad avere più dubbi che convinzioni.
Nonostante questo travaglio non aveva mai saltato una domenica. Purtroppo durante la funzione si distraeva spesso perdendo ogni volta il filo della predica del pastore Paul.
Si estasiava a notare come in quel luogo gli uomini fossero più cortesi e le donne estremamente eleganti. Dalla sua postazione si godeva la vista dei graziosi cappellini colorati giocando ad indovinare quali di questi fossero stati messi per la prima volta o fossero stati usati per matrimoni o battesimi. Si lasciava andare ad un ghigno soddisfatto quando tra i tanti riconosceva quello della Signora Harris.

Prima di prendere il pullman per Pittsburg si rifugiava nel bagno della stazione e controllava nuovamente se tutto l’occorrente era nella busta rossa e bianca dei magazzini Arrows: gli slip della liceale, i guanti della Signora Livingstone, il reggiseno della Signora Bell, il reggicalze della Signorina Petterson, il foulard della Signora Martin, le calze della Signora Taylor.

Poi visionava di nuovo, ad uno ad uno, ogni indumento. Molly doveva essere contenta! Ancora era vivo il ricordo di quando trovò una macchia ben evidente di rossetto sul reggicalze bianco della Signorina Petterson. Non si perse d’animo. Tornò immediatamente a casa e con un po’ di acqua e sapone riuscì a far scomparire la macchia.
Molly non avrebbe gradito e lui era troppo innamorato per deluderla!

Alle ore 11 in punto era già tra i banchi del mercato di Pittsburg. Con solerzia sceglieva un paio di scarpe con il tacco importante, generalmente color marrone testa di moro, anche se qualche volta eccedeva con un bluette molto scuro.
Quella mattina non fece eccezione, ma in realtà detestava entrare in possesso di quelle scarpe comprandole da un banale rivenditore. Ogni volta si riprometteva di coprire quella crepa settimanale cercando di organizzare un incontro con qualche gentile signora, magari proprio la domenica mattina.

Al momento la candidata preferita rimaneva Suzanne Pryde. Quarantacinque anni vedova, figlia di Ernest Pryde, un famoso ortopedico, primario dell’St. Gennary Medical, che vent’anni prima aveva curato egregiamente una distorsione al ginocchio sinistro di sua moglie. Incontrava Suzanne ogni mattina in pullman e se non era già seduta le cedeva volentieri il suo posto.
Non era bella Suzanne, aveva gli incisivi troppo lunghi e la bocca troppo stretta, ma Bell, che come al solito s’innamorava dei dettagli, si era più volte compiaciuto del tipo di calzature della signora. Classiche, dai colori nobili, presentavano in tutte le versioni, sia estive che invernali, un finissimo laccetto alla caviglia e un tacco a dir poco eccessivo.
Tramite un giornale locale era riuscito a sapere che il negozio nel quale si serviva la signora era il famoso Tagboo a Brixton.
Si riprometteva in ogni fine settimana di farci un salto e verificare con i suoi occhi la qualità e la varietà dell’offerta.

D’altro canto la Signora Pryde era sempre così gentile e disponibile che un suo eventuale approccio non poteva che avere un esito più che favorevole.
Sicuramente doveva essere una scelta ponderata e si riprometteva di non essere troppo precipitoso.

Strada facendo le venne anche in mente la moglie di Tommy, il proprietario del pub. Quando si sedeva in quel locale i suoi occhi cercavano freneticamente la signora Liz che si aggirava tra i tavoli ostentando oltre misura l’esagerata altezza dei suoi tacchi.
Bell, scavando nei meandri della sua memoria, stragiurava di non averla mai vista con indosso un paio di scarpe ordinarie. Voci incontrollate l’avevano data più volte in dolce relazione con il Dottor Lionel, che da buon intenditore di accessori femminili, sicuramente non si era fatto scappare la preda.
Ma come la Signora Pryde anche Liz non era bella, anzi a giudicare da occhi esperti, le sue gambe risultavano decisamente arcuate, il suo di dietro abbastanza piatto e la sua femminilità alquanto precaria.

Scuoteva la testa il Signor Bell, che effettivamente avrebbe potuto trovare di meglio. Per un solo estemporaneo attimo pensò alla prostituta di CowField, ma il suo rigore morale mai e poi mai l’avrebbe portato a far indossare alla sua stupenda e dolcissima Molly un paio di scarpe che calpestavano ogni giorno fazzoletti usati.

Contento del suo acquisto e tormentato dai suoi dubbi si recò come ogni domenica mattina nella drogheria dei fratelli Howard. Salutò la cassiera con un leggerissimo sorriso, comprò dell’affettato, tre fette di formaggio olandese, del pane in cassetta farcito con mandorle e banane e una bottiglia da due litri di Coca Cola.
Molly andava pazza per quella bibita gassata mentre lui avrebbe sicuramente preferito una buona birra in lattina.

Conosceva benissimo John Howard, il più piccolo dei due fratelli, anche lui tifosissimo dei Reds. Una volta fecero una scampagnata insieme nell’azienda di John. Bell trovò interessantissima la lavorazione ed il procedimento di aromatizzazione della pancetta affumicata.
John fu molto gentile, lo condusse nelle cantine e gli spiegò nei minimi particolari come avveniva l’affumicatura utilizzando delle braci accese sulle quali venivano posti dei legni verdi di ginepro.

Salutò John dandogli appuntamento per il pomeriggio allo stadio: Tribuna Centrale settore B. Entrambi incrociarono le dita al grido di: “We are the Champions. Alé, alé Reds!”
Ora era tutto pronto.

Alle 12 in punto aprì con la sua chiave il vecchio portone di legno massiccio. Un palazzo nella periferia nord, abitato per lo più da operai dei cantieri navali.
Tra questi isolati aveva vissuto la sua infanzia. Ricordava con piacere quei tempi quando giocava al parco con suo padre e le grandi partite con i tappi delle lattine sul marciapiede adiacente.

I suoi erano morti da tempo in circostanze tragiche. Si erano tolti contemporaneamente la vita gettandosi in un’alba nebbiosa dal ponte di YellowBridge.
Naturalmente Bell non volle per nulla credere a questa ricostruzione dei fatti, più volte si recò dal Sergente Tristan della sezione omicidi di Scotland Yard ed ogni volta il biondo sergente dagli occhi di ghiaccio e i baffi esagerati gli poggiava una mano sulla spalla in segno di compassione.
Purtroppo non era stato un incidente e nemmeno un tentativo di rapina da parte di immigrati. Il parapetto era troppo alto e in buone condizioni senza nessun segno di effrazione, e soprattutto in tasca ai coniugi furono ritrovati i portafogli intatti e le chiavi di casa.
Ma Bell non si rassegnava. Fece delle indagini personali che lo condussero in diverse bande di ragazzi malavitosi che per qualche sterlina erano prontissimi ad offrire indizi e nominativi che poi risultavano regolarmente falsi. Indagò perfino tra le frange estreme degli ultrà della sua squadra. Era venuto a conoscenza che certi tipi di rapine erano diffusissime per autofinanziarsi le trasferte. Ma nulla di nulla.

Visto l’insuccesso dei suoi tentativi dovette rassegnarsi cercando di scacciare dalla sua mente questo tragico evento.
Preferiva rivedere i suoi genitori tranquilli e felici dentro la loro casa che per queste ragioni non aveva mai voluto vendere.
Sua moglie ogni tanto distrattamente gli domandava quale fosse la sua intenzione. Non molto tempo prima aveva anche trovato un compratore facoltoso e si sorprese quando il marito non accettò l’offerta.

Ma la Signora Bell non poteva sapere che con l’andare degli anni quell’appartamento era diventato il suo tempio segreto, dove ogni domenica si rifugiava di nascosto all’insaputa di tutti.

Salendo le scale Bell scosse la testa per le tante scritte e graffiti volgari sui muri. L’interno del palazzo era fatiscente e soprattutto sporco, pieno di cartacce e polvere incrostata agli angoli del pavimento. Purtroppo, negli ultimi tempi, alcuni proprietari avevano affittato i loro appartamenti ad extracomunitari di colore e il decoro dello stabile ne aveva risentito.
Le mensole delle finestre erano ricoperte da escrementi di piccione. Bell malediva quegli animali e tra le altre cose era convinto che portassero sventura.

Alle 12:02 aprì la porta senza bussare. Poggiò le chiavi sulla mensola tarlata dell’ingresso. Si ripromise, come ogni domenica, di rinnovare la mobilia ormai cadente. Si guardò nello specchio ombrato cercando di rigovernare con il suo solito pettinino d’osso gli sparuti capelli sparpagliati dal vento. Diede un colpo di tosse per farsi sentire e con voce squillante disse amorevolmente: “C’è nessuno?”

Sapeva che Molly, come suo solito, l’avrebbe atteso nella stanza da letto. Indugiò ancora un attimo, poi accennò a qualche passo, ansioso e timoroso come un innamorato alle prime armi. Amava quei momenti, quei passi d’attesa lungo il corridoio. Per prendere ancora tempo raddrizzò il solito quadro storto: una riproduzione su legno del pittore italiano Teodomondo Scrofalo.
Ma ormai non era più in sé, le mani quasi tremavano, il suo cuore batteva senza regola. Tra qualche attimo l’avrebbe vista, bella come una rosa, verginale come una gardenia, passionale come una camelia, seduta sul letto nella stessa posizione dove l’aveva lasciata la domenica precedente.

Eccola! Un impeto di emozione arrossò le sue guance e riempì di aria calda i suoi polmoni.
La salutò affettuosamente coprendola di baci casti sulle guance e le labbra e poi via via scendendo lungo le braccia fino al palmo delle mani.
“Dio Molly, quanto tempo! Come stai?” Senza aspettare risposta la strinse energicamente. La sua passione mista a sincero affetto lievitava inesorabilmente. Baciò più volte le sue mani che impercettibilmente si chiusero a pugno.

Si mise a sedere accanto a lei sul bordo del letto ed iniziò a raccontarle per filo e per segno la settimana trascorsa. Giorno per giorno, emozione per emozione.
Le descrisse minuziosamente il faccino della liceale per poi passare all’intraprendenza della Signora Livingstone lodandosi della sua bravura per aver terminato in breve tempo le parole crociate. Si soffermò per un attimo al pane da thè della conturbante signora descrivendo ogni minimo gusto dal mascarpone ed erba cipollina, all’arancia e piccoli pistacchi con scaglie di formaggio cremoso, prosciutto piccante e listarelle di salmone.

Saltò per tatto il mercoledì trascorso con sua moglie concentrandosi sul magico racconto della Signorina Petterson. Anche questa volta si soffermò su quell’aria tremendamente maliziosa esternando i suoi dubbi sulla veridicità dell’innocenza della fanciulla.
Bell non conosceva menzogna per cui le espresse la sua intenzione di coinvolgere la figlia della lavandaia per le prossime settimane. Molly naturalmente non espresse alcun giudizio.

Mentre raccontava della Signora Martin un attacco di coccole lo intenerirono al punto che iniziò a baciare ogni dito della mano sinistra di Molly sospirandole sottovoce quanto fosse importante per lui e quanto le era mancata. Ribadì il concetto che vedersi solo una volta a settimana era una autentica tortura. D’accordo era stata una decisione presa insieme, ma ora avrebbe desiderato di più. Poi rimase in silenzio rendendosi conto di essere monotono e ripetitivo. A lungo andare l’avrebbe sicuramente stancata!

In quel preciso istante spuntarono prorompenti le sue ataviche paure. Da qualche domenica infatti, percorrendo quel corridoio, sentiva salire fino in gola un forte timore. Il cielo si oscurava improvvisamente, lampi e fulmini squarciavano il buio della sua mente. Con il respiro strozzato e la lingua di fuori immaginava quel letto completamente vuoto oppure occupato comodamente da un altro uomo. Terrore e sudore sulla sua fronte cadevano copiosamente.
No Molly no! Non poteva abbandonarlo!

La guardò scrutando l’eventuale velatura di noia nei suoi grandi occhioni verdi. Lei non parlò, lei non parlava mai. Dio quanto Bell avrebbe voluto! Rimase per lunghi attimi in attesa, ma lo sguardo di Molly era incollato su un punto indecifrabile tra il soffitto e la finestra. Il Signor Bell che era un gentiluomo non avrebbe mai fatto domande sconvenienti.

A quel punto si tranquillizzò e seduto accanto a lei sul bordo del letto iniziò a tirare fuori dalla busta dei magazzini Arrows le mutandine e poi tutto il resto. Pazientemente tolse tutte le etichette. Molly non diceva nulla.
Poi iniziò a vestirla amorevolmente…

“Molly meravigliosa, Molly mia musa.” Diceva sottovoce ringraziando la sorte per averla incontrata, per avergli concesso di stare ora lì accanto a lei.
Molly aveva le dita affusolate e le caviglie sottili. Aveva la taglia 44, ma qualsiasi indumento sembrava fatto apposta per lei. Era davvero meravigliosa e per guardarla Bell si allontanò fino alla finestra per poi ritornare accanto a letto continuando ad ammirarla, passo dopo passo, a tutte le distanze nonostante lei facesse fatica a rimanere in quella posizione appoggiata allo schienale del letto.

Bell notò l’assenza di rughe sul suo viso, incredibilmente non era mai invecchiata. Sembrava che gli anni non fossero un suo problema. La sua faccia era rimasta giovane. Il suo trucco sempre perfetto, le labbra rosso fuoco. La baciò ancora pronunciando un velato “ti amo” lungo l’incavatura del collo.
Nella sua lunga vita Bell non aveva mai incontrato una donna così, femmina speciale, taciturna e comprensiva, maliziosa e fintamente inesperta. Quella giovinezza inalterata gli strappava in ogni istante la voglia di possederla, di sentirla sua oltre ogni regola materiale. Solo con lei non sentiva il ribrezzo del contatto, solo con lei riusciva a provare gli albori dell’orgasmo che avvertiva nitidamente tra la tempia e il lobo destro.
Preso dalla passione, avrebbe voluto far l’amore immediatamente, era molto eccitato e rosso in viso, ma poi desistette limitandosi a baciarla intensamente e rimandando a dopo pranzo il resto.

Eh già non era ancora questo il momento. Molly non avrebbe tollerato questo tipo di effusioni prima di pranzo. Ormai conosceva i suoi tempi, la sua rigidità morale, i suoi piaceri intimi lievemente trasgressivi.
Con un impeto affettuoso la prese delicatamente in braccio e coprendola ancora di piccoli baci caldi la fece accomodare su una delle due poltrone nella sala grande.

Poi apparecchiò elegantemente la tavola e pranzarono insieme. Molly sembrò gradire le candele accese al profumo di incenso e cannella, ma come al solito rimase silenziosa, non disse una parola.
Il Signor Bell toccò di nuovo l’argomento della convivenza. Oramai stavano insieme da tempo e quella relazione di amanti clandestini iniziava a pesare. Sarebbe bastato un piccolo cenno di assenso e lui avrebbe sicuramente messo al corrente sua moglie di questa relazione extra coniugale. Era innamorato di lei e per lei avrebbe affrontato qualsiasi cambiamento. La considerava la donna perfetta.

Sua moglie Catherine avrebbe capito. Sapeva benissimo che l’amore era altra cosa rispetto alla loro unione. Se si fossero lasciati in buone lui si sarebbe accontentato del controvalore di metà della casa nella quale abitavano e una cospicua parte dell’eredità imminente, ma le avrebbe lasciato la merla. Ebbe un fremito al cuore… quasi si commosse, ma passò rapidamente pensando a quanto fosse stata felice Catherine del suo innato altruismo.

Il Signor Bell che era un gentiluomo vagliò l’ipotesi di un rifiuto da parte di sua moglie. Aveva anche per questo la soluzione. Con sua moglie avrebbero stabilito i giorni di convivenza tenendo naturalmente alto l’onore. I vicini non avrebbero saputo nulla e lui poteva benissimo condurre una vita a cielo aperto con la sua compagna. Era comunque fermo a non concedere alla moglie il week-end e altri due giorni della settimana. Nella scelta Molly avrebbe avuto l’ultima parola.

Un brivido di rabbia per l’improbabile rifiuto da parte di sua moglie gli attraversò la schiena, subito represso dalla vista di quella splendida donna.
Ora doveva pensare solo a Molly. Ora c’era solo lei. Solo la meravigliosa Molly. Ne era innamorato e per lei avrebbe anche affrontato qualsiasi cambiamento, qualsiasi patteggiamento con Catherine. Eh già lei era la donna perfetta e non mancò di ricordarglielo mentre le preparava il panino con la pancetta aromatizzata al ginepro dei fratelli Howard.

Tacque ancora in attesa, ma lei non parlò. Pensò che forse non era ancora il momento, in fin dei conti affrontare una nuova vita non era certamente una decisione da prendere su due piedi. Era d’accordo con lei. Rispettò il suo silenzio, avvertendo nell’aria solo amore e dedizione.
Si crucciò della sua maldestra avventatezza. Aveva ragione Molly, ogni cosa a tempo debito e questo era quello di vivere le tante domeniche in spensierata compagnia.

Aspettò ancora un attimo, ma Molly non accennò al minimo movimento di labbra e lui cambiò discorso dandole notizie sull’avvenimento dell’anno. Non stava più nella pelle!
Quel pomeriggio finalmente avrebbe assistito al derby. Pur sapendo che a Molly non interessava il calcio, si lasciò andare a commenti sulla formazione e sulla migliore tattica da attuare in partite simili.
Nonostante lo scetticismo di John Howard, Bell era sicuro del successo finale. Faceva sempre così, mano mano che si avvicinava l’evento l’ottimismo prendeva il posto di ogni realistico dubbio. Già immaginava i Reds sotto la curva a festeggiare il gol del successo a pochi minuti dalla fine.
Molly rimase ad ascoltarlo, ma non disse una sola parola.

Preparò il caffè e poi finirono nella stanza da letto. Molly era sensuale e soprattutto comprensiva. Lui passò in rassegna tutti gli indumenti scandendo per ciascuno il nome dell’ex proprietaria. Naturalmente Bell la metteva a conoscenza di ogni dettaglio. Era convinto che solo un rapporto trasparente potesse alimentare un grande amore.
Molly non era affatto gelosa, ostentava la sua bellezza con studiata femminilità. Sapeva di essere desiderata. I suoi occhi rimanevano fissi su un punto imprecisato. Le sue braccia distese lungo il corpo, ferme ed abbandonate come fossero in attesa.

Lei non aveva mai preso l’iniziativa e Bell sapeva benissimo che era un modo per non ostentare esperienza. Chissà cosa avrebbe dato Bell per conoscere almeno qualche episodio del suo passato, oppure soltanto il numero di quanti uomini prima di lui avevano assaporato quella disarmante sensualità. Ma Molly era taciturna e lui non poteva che essergliene grato.

Ricordava ancora il loro secondo incontro nella zona riservata ai sex toys dei grandi magazzini Arrows. Non le aveva mai chiesto il motivo perché fosse lì!
Era troppo geloso! Scacciò via i pensieri e la baciò. Si distese accanto a lei, la riempì di coccole e carezze. Sottovoce la coprì di dolcezze e parole mai dette a nessun’altra donna.

Sfiorò delicatamente la sua bocca carnosa e profonda... poi sprofondò tra il suo seno enorme. In quei frangenti si sentiva padrone assoluto di quella chioma fluente, di quelle unghie affilate, le gambe dritte e quella lingerie di pizzo indossata magnificamente.

Si perse nell’ardore di uomo innamorato consumando in circa mezz’ora il suo dirompente desiderio. Adorava Molly anche per quel suo modo di fare l’amore, mai una parola, mai un cenno di insofferenza, mai un respiro più intenso, si lasciava soltanto trasportare abbandonandosi ad ogni suo cruccio.
Dio come era bella Molly con quella lingerie! Quando la sua passione fu al massimo la penetrò. Lei non ebbe alcuna reazione. Bell iniziò a spingere nel suo sesso pronunciando parole piccanti. Rivolto a lei e alla sua moralità gli uscirono frasi di dubbio gusto, ma in amore, come le ripeteva ogni volta, era tutto consentito.

Alla fine esausto eiaculò copiosamente. In cuor suo avrebbe voluto resiste ancora. Voleva davvero dimostrarle che non c’era altra donna nei suoi pensieri e che ogni sua minima energia di maschio era adesso lì tra le sue gambe.

Subito dopo si addormentò placidamente tenendosi stretto tra le braccia di Molly per sentire il suo impercettibile calore. Sognò, come al solito, la sognò in attesa di un suo bimbo. Sarebbe stata una femminuccia. Ne avevano già parlato e scelto il nome. Patricia naturalmente, come sua madre!

Era un gentiluomo il Signor Bell, quando si risvegliò erano già passate le due. Lei guardava nella stessa direzione di sempre. Lui l’accarezzò lungo tutto il corpo, era convinto che le coccole dopo l’amore ripulivano la minima volgarità e qualsiasi eccesso.

Alle tre iniziava il big match ed era in leggero ritardo. Si alzò di fretta. Svestì Molly e con cura l’adagiò sul letto con la schiena appoggiata alla spalliera in modo che lei potesse vedere fuori dalla finestra.
“Così non ti annoierai.” Le disse rimettendo i vestiti nella busta dei magazzini Arrows.
La salutò con tutto il calore possibile, dandole appuntamento per la domenica successiva.
La sua squadra avrebbe giocato fuori casa e lui avrebbe avuto più tempo, restando con lei ben oltre le sei, per poi farsi trovare alle otto alla stazione dei pullman per Dover dove avrebbe aspettato il ritorno di sua moglie.

Molly non disse nulla, ma Bell riusciva ad intuire l’impercettibile felicità.
La salutò ancora prendendo le chiavi dalla mensola tarlata. Un leggero cruccio rugò la sua fronte. Avrebbe voluto sentire almeno un grosso “in bocca al lupo” per la partita. Ma si consolò pensando che comunque i Reds avrebbero stravinto! Un gol sotto la curva all’ultimo minuto, e lui ed Howard ad abbracciarsi contenti intonando “We are the Champions. Alé, alé Reds!”

Appena fuori, riversò il contenuto della busta dei magazzini Arrows nel cassonetto di fronte al portone.
Molly, la domenica successiva, non avrebbe mai accettato di fare l’amore con lo stesso intimo della settimana precedente.



FINE

 





1


Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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TUTTI I RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
Immagine  Renè Magritte - Le Fils de l'Homme

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