C'era una volta un luogo magico nel quale una
Fata, che proveniva da un lontano paese, aveva creato un regno incantato.
La Fata amava molto quell'angolo di Paradiso e aveva dedicato tutte le sue
energie a fare di quella porzione di terra, il più bel giardino del mondo.
Il noce americano, l'acero giapponese, il gruppetto dei meli, i pini e i
cipressi custodivano quasi gelosamente i segreti delle rovine sulle quali
la Fata Marguerite aveva fatto nascere quel regno vegetale.
L'antico
castello baronale, i ruderi della chiesa di San Giovanni, e le rovine
delle abitazioni ospitavano ora non più esseri umani in carne ed ossa, ma
le più svariate creature vegetali, provenienti da ogni angolo della terra,
assieme a molti spiriti che non erano in grado di staccarsi da tanto
splendore. La Fata Marguerite, coadiuvata dalla fedele assistente Lelia,
si era impegnata a far si che quelle rovine potessero nuovamente vivere,
anche se di una forma di vita non umana. Certamente non bisogna tacere che
Marguerite portava nel cuore il sogno di un'altra creatura delle fonti
ovvero della sua maestra Ada.
Quest'ultima con pazienza aveva insegnato
all'allieva a conoscere tutte le forme di vita vegetale e animale, a
volere loro bene e a rispettarle e in questo modo Ada aveva trasmesso alla
giovane Marguerite il sogno di un regno dove Pace e Armonia potessero
regnare assieme ad Amore.
Insieme avevano reso fertile i terreni in
modo che essi potessero nutrire i tanti amici vegetali che le due fate
conducevano a Ninfa, questo era il nome del regno incantato. Ada e
Marguerite infatti avevano girato in lungo e in largo per il mondo,
portando poi nel loro giardino rose, ciliegi, noccioli, acacie, papiri,
cedri e magnolie.
L'invito venne poi esteso anche a tante altre
creature quali alzavole, germani reali, pavoncelle, aironi e canapiglie,
che trovavano a Ninfa un piacevole luogo dove sostare e riposare durante i
loro lunghi viaggi. Certo per loro non era poi semplice partire e lasciare
tanta bellezza, ma erano sicuri di ritrovare le fate e i loro amici
vegetali quando l'anno successivo sarebbero tornati.
Tutta questa vita
animale e vegetale viveva in serenità e armonia assieme ai tanti spiriti
che, come abbiamo accennato precedentemente, dimoravano fra le antiche
mura di quella città divenuta un magnifico giardino.
Fra questi
spiriti vi era quello di una giovane principessa che amava passare le sue
mattine in riva al fiume a chiacchierare con un acero. Il suo nome era
Gabriella ed era stata accolta nel regno degli dei dopo aver dato alla
luce il suo primo e unico figlio, il principe Bonifacio, che avrebbe un
giorno regnato su molte anime.
L'acero ascoltava sempre con molta
pazienza le storie di Gabriella, in particolare cercava di consolarla per
la perdita del figlio, che ancora dopo molti secoli, la addolorava al
quanto.
Vi erano poi spiriti burloni, che si divertivano a tramare
scherzi e piccoli inganni a coloro che avevano la sfortuna di incontrare
lungo la loro strada. Tra di essi vi erano Alfredo, Ottavio e Onorato, che
in vita erano stati prodi cavalieri, ma che ora non avendo nemici da
combattere in terre lontane, passavano il tempo a fare scherzi ai giovani
meli. Questi ultimi, che erano noti in tutto il giardino per essere un po'
permalosi, reagivano lanciando addosso agli spiriti burloni grosse e dure
mele verdi. Ovviamente i tre cavalieri non sentivano nemmeno le mele
venire loro addosso e correvano via ridendo a più non posso. Non dobbiamo
tacere però che i meli fingevano di arrabbiarsi, in fatti erano in realtà
ben contenti di passare un po' di tempo allietati da Alfredo, Ottavio e
Onorato.
Il giorno dell'equinozio di Primavera era una festa in
tutto il regno incantato di Marguerite, infatti si preannunciava l'inizio
della stagione di rinascita della vita e il ritorno dei tanti amici
pennuti da terre lontane. Gli spiriti erano poi sempre felici, perché dopo
i lunghi mesi invernali, dove nel giardino regnava il silenzio e il sonno,
finalmente tante creature vegetali si risvegliavano dal torpore e
tornavano a nuova vita.
Su tutta questa gioia regnava la Fata
Marguerite. Purtroppo però un giorno per essa arrivò il momento di fare
ritorno al mondo dal quale proveniva. Quando il momento giunse lo capì dal
movimento delle nubi in cielo. Infatti nere nuvole si addensarono sopra il
giardino ed iniziarono a riversare una debole pioggia, come un silenzioso
pianto. Marguerite comprese, difatti si ricordò di quando la sua amata
maestra Ada se ne era andata e il cielo aveva pianto in egual modo. Così
lentamente decise di prendere commiato dalla sua creatura, in silenzio
rivolse una preghiera di ringraziamento agli dei per averle concesso quel
tesoro, e al giardino per averla allietata in tutti quegli anni. Decise di
non provocare un dolore in più a tutte le creature di Ninfa, che lei
considerava dei figli e delle figlie, così preferì non rendere nota la sua
partenza. Semplicemente da quel giorno smise di essere, e si fuse
completamente in ognuna delle sue splendide creature.
La Fata
lasciò il compito di regnare su quel Paradiso a Lelia che da quel momento
prese il suo posto.
Gli aceri, i pini, i cipressi, i meli, Gabriella e
tutti gli spiriti, così come le pavoncelle e gli altri pennuti compresero
quanto fosse successo e si rattristarono per la perdita. Certamente Lelia
si adoperò a più non posso per consolare le sue figlie e i suoi figli e
portò loro altri fratelli e sorelle. La famiglia cresceva sempre di più
così come la gioia e l'amore.
Memorabile fu il giorno in cui la Fata
Lelia introdusse le maestose Peonie a Ninfa. Tutti gli abitanti di quel
magico luogo si emozionarono alla vista di quei petali rosa candido e
della loro timidezza.E nascoste nei petali di peonie arrivarono nel
giardino tante piccole ninfe che allietarono con i loro canti tutte le
creature del giardino. Infatti in poco tempo le nuove arrivate fecero
amicizia con gli alberi, i fiori e i pennuti e tutti impararono a
conoscere le Potameidi, le ninfe dei fiumi, le Pegee, le ninfe delle
sorgenti, le Crenee o Creniadi, le ninfe delle fontane, le Limniadi, le
ninfe dei laghi e le Eleadi, le ninfe delle paludi.
E su tutte regnava
Melusina, che prese alloggio proprio nelle acque del fiume che scorreva a
Ninfa.
Con il tempo il giardino riuscì a superare la perdita della
sua Fata Marguerite, ma purtroppo anche per la principessa Lelia giunse il
suo tempo.
Questo però fu un colpo che Ninfa non riuscì a superare e
per molto tempo nel regno che fu delle fate calò l'inverno, come se
Proserpina si fosse dimenticata di lasciare momentaneamente Ade e di
riemergere, portando assieme a sé la Vita della Primavera.
Un giorno
però un germano reale recò una notizia che riferì subito all'acero
giapponese, le cui foglie la comunicarono al pino, i cui aghi la
comunicarono al cedro del Libano, che la comunicò alle acacie, che la
comunicarono alle pavoncelle che a loro volta la comunicarono alle
magnolie, che la comunicarono alle ninfe, che la comunicarono alle peonie
che la comunicarono a Gabriella che a sua volta la comunicò ad Alfredo,
che la comunicò ad Ottavio, che la comunicò ad Onorato che la comunicò ai
meli, assicurando loro che non si trattava di uno scherzo.Tutto il
giardino era in trepidazione, fra poco sarebbe nato un principe, in una
terra lontana, alla quale le loro fate erano molto legate.
E così
nuova energia iniziò a circolare a Ninfa, tutti i suoi abitanti iniziarono
nuovamente a cantare e a splendere di bellezza, perché sapevano che un
Principe nasce quando gli dei si ricordano degli uomini e decidono di fare
loro un dono. Così il giardino si iniziò a popolare di divinità che si
rincorrevano fra gli aceri e le magnolie e ovunque si sentivano risate. La
divinità Diana in particolare era più splendida che mai, perché quel
principe che stava per nascere le era particolarmente caro. Addirittura i
meli confabulavano con i cedri e gli aceri, affermando di essere sicuri
che la dea custode delle fonti e dei torrenti e signora delle selve fosse
la protettrice del piccolo principe, che fra poche ore sarebbe caduto nel
tempo, portando letizia e gioia alla sua famiglia e all'umanità. Il motivo
era sconosciuto, ma tutti potevano accorgersi della gioia che il nuovo
arrivato stava portando con sé.
Bisanzio
Velata
FINE