Londra, Wellington House 1860
Marina
Allegra Winchester Gonzaga Giustiniani Wellington scese dalla carrozza e
ad attenderla, di fronte all’antica magione, vi era il prozio, l’anziano
duca.
La giovane Principessa del Sacro Romano Impero era appena giunta
da Boston, nella lontana Nuova Inghilterra, per soddisfare la specifica
richiesta dello zio di averla vicina.
Era nata diciotto anni prima in
una villa a Lerici sul Golfo dei Poeti .
La madre, Artemisia Gonzaga,
l’aveva voluta partorire di fronte a quell’azzurro mare che tanto ispirò
Byron e Shelley, grandi amici della nonna. Rivedeva con in sogno Villa
Magni a San Terenzo e, anche se all’epoca ancora non era nata, poteva
vedere lo Shelley dei racconti della nonna, completamente nudo emergere
dal mare, entrare nella villa e con galanteria salutare la compagna Mary e
le altre signore riunite per il tè, incurante dello stupore creato
dall’esibizione della sua nudità.
Erede di quattro antichissime e
nobili famiglie, Marina era di una bellezza preraffaellita: diafana, esile
e dai lunghi capelli ramati.
Il padre, l’ottavo marchese di Winchester,
si era trasferito nel New England per seguire gli affari nel Nuovo Mondo e
aveva portato con sé la famiglia.
Per cui la giovane Marina, nata in
Liguria e cresciuta dalla nonna che le raccontava aneddoti riguardanti i
suoi amici poeti, a dieci anni si ritrovò a far spesso visita ad un’altra
poetessa, figlia di un socio in affari del padre, e residente a Amherst.
La poesia era dunque una nota caratteristica della sua vita.
Ma questa
è tutta un’altra storia e la racconteremo in un’altra occasione.
Torniamo all’arrivo della principessa a Wellington House in quell’inizio
di primavera del lontano 1860.
"Ben arrivata mia cara Marina, hai fatto
un buon viaggio?" domandò con affetto il duca Alexander.
"Si vostra
grazia." Rispose la principessa.
"Bene. Ho bisogno di parlarti."
Detto questo si trasferirono nella biblioteca, dove davanti ad un fuoco
scoppiettante e a due bicchieri di sherry, il duca mise al corrente la
nipote di quanto l’aspettava nella Vecchia Inghilterra.
"Mia cara
Marina, sei una bella ragazza, giovane e soprattutto estremamente ricca.
Sei l’unica erede di quattro antiche famiglie, ed io sono stato nominato
tuo tutore dai tuoi genitori."
"Questo lo so zio." Commentò la giovane,
forse un po’ accigliata.
"E allora saprai anche che sei l’ereditiera
più ambita d’Europa e d’America e questo ti mette nella condizione di
prestare molta attenzione. Non dico di non avere delle avventure, anzi ti
suggerisco di conoscere e di fare molte esperienze, in modo poi da poter
scegliere con avvedutezza."
La guardò un attimo negli occhi e aggiunse:
"Domani sera farai il tuo ingresso nella società inglese, direttamente a
Buckingam Palace. Sua Altezza l’imperatrice Vittoria ha organizzato una
festa per farti conoscere a tutti i pari dell’Impero."
Detto ciò il
sesto duca di Wellington baciò sulla guancia la giovane nipote e la
congedò.
Marina si fece accompagnare nelle sue stanze dal
maggiordomo e diede ordine alla sua cameriera di prepararle un bagno
caldo.
"Clara aiutami a spogliarmi per cortesia." Chiese con la
consueta educazione la principessa.
"Certo milady." Rispose la
cameriera.
Una volta nell’acqua la principessa ripensò alle parole
dello zio.
L’acqua calda e i sali orientali profumati la riportarono
indietro nel tempo. Adorava letteralmente i profumi e i balsami che lo zio
le portava dai suoi viaggi in giro per l’Impero Britannico, e gli effluvi
quasi ipnotici la condussero, attraverso paesi lontani nello spazio e nel
tempo, a sé stessa e alla sua vita. A diciotto anni alcune liaison Marina
le aveva già avute. Nulla di serio, erano servite solamente a capire un
po’ come sono fatti un uomo ed una donna.
Come con James, un giovane
medico di Boston. Giovane, forse un po’ impacciato ma decisamente un
gentiluomo.
E poi la sua mente e soprattutto i suoi desideri tornarono
a Ferdinando, principe di Caracciolo, la sua passione napoletana.
Era una calda estate a Sorrento, i limoni profumavano l’aria e le mani del
principe insegnavano il piacere e il sesso alla giovane inglese. Marina
poteva ancora sentirle scorrere sulla sua pelle, indugiare sui suoi seni
turgidi e poi, lentamente, scendere e farsi largo fra le sue cosce. Anche
ora le aveva dentro, era sufficiente scambiare le sue delicate e bianche
dita da gentildonna con quelle ben più grosse di Ferdinando. Con gli occhi
chiusi e la fronte imperlata dal sudore provocato dai vapori dell’acqua
calda, poteva vedere il bel principe napoletano, sentire il suo ansimare e
godere del suo sesso come di una rigida spada d’argento che la penetrava
sempre più in profondità. Il profumo del mirto e dell’incenso si
mescolavano a quello degli agrumi del giardino sul Golfo di Napoli, dove
la giovane Marina aveva accolto dentro di sé il seme partenopeo. L’azzurro
delle maioliche che rivestivano la sala da bagno di Wellington House si
confondeva con il mare delle Due Sicilie; e la principessa dei molti
casati era nuda e coricata sull’erba fresca sotto un cielo di foglie
verdi. Si addormentò così, tra le braccia impalpabili del suo amore
italiano e i profumi d’Oriente.
Si ridestò solamente quando la
cameriera, un po’ preoccupata per il lungo tempo trascorso da Sua Altezza
nella vasca da bagno, la chiamò, e l’acqua iniziò a perdere il calore del
sud consentendo alla sua mente, con lentezza, di tornare presente a sé
stessa e all’impegno previsto per la sera successiva: una festa in suo
onore, per celebrare il suo arrivo in Inghilterra e offerta niente meno
che dall’Imperatrice Vittoria.
FINE
Bisanzio
Velata