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IL RACCONTO E'
ADATTO AD UN PUBBLICO ADULTO 
Bella di giorno
"Se mio
marito sapesse cosa succede a quest’ora, quando lui al lavoro mi
manda messaggi e mi dice: “Amore, ti amo e tesoro.” E poi
affettuoso: “Cosa fai per cena?” Se davvero sapesse che ci faccio in
questo posto, con una gonna leggera insolitamente più corta, con un
trucco evidente e un paio di calze, nere velate nonostante sia
luglio, guarnite da pizzi che lui non conosce. "

Photo Anastasia Sholkova
Guardinga cammino facendo attenzione che non incontri
qualcuno che conosco di vista, oppure un parente o un
amico in comune e peggio mi fermi e sospettoso mi chieda
dove mai potrà andare alle nove di mattina, una donna
elegante vestita da sera, mentre io conto questi alberi
in fiore, che mi portano dritta in una casa in attesa,
dove di certo già fanno la fila, signori distinti e
commercianti di zona, in un bordello dell’anima che ora
è il mio mondo.
Se mio marito davvero sapesse,
quanto non possa farne più a meno, quanto il sentirsi
desiderata sconfigga, ogni noia e paura e morale che
accetta, la domenica in chiesa quando confesso, al prete
di turno i miei danni di dentro, senza mai liberarmi del
tutto, da quel peso che sottintendo e non dico, da quel
segreto che intimo cullo, come un bimbo mai nato
nonostante le prove. E’ stato più facile di quanto
pensassi, una signora elegante dentro un negozio, ha
intercettato i pensieri senza una forma, senza una noia
per sentirli importanti. Mi ha avvicinata con fare
discreto: “Lei è molto carina Signora! Venga a
trovarmi.” Un biglietto di carta che mi ha cambiato la
vita, un indirizzo scritto, l’unica meta, l’unico
pensiero decente di un giorno che la notte mi ha scossa
e ritemprato la mente.
Non c’erano dubbi che
avesse accettati, non c’erano colpe di tradimento, ma
solo una serie d’inesperienze e di dubbi, su cosa avrei
detto la prima volta, e quale il momento per sollevare
la gonna, e quale la gonna e quale il vestito, quello
rosa con lo spacco davanti, quello nero scollato e poco
più stretto. Mi chiedevo quale fosse stato il più
adatto, come se l’abito fosse stato importante e se il
mio seno fosse stato all’altezza e come avrei reagito
alla vista, al tatto e l’odore del primo uomo diverso,
dall’unico e il solo che avevo mai conosciuto. Nella
notte i pensieri vagavano in fretta, a chiedermi cosa
avrebbe distinto, una signora normale da una bella di
giorno, e una bella di giorno da una prostituta di
notte. E poi se fossi stata capace di distinguere
l’amore dal sesso, un uomo da un cliente, e poi di farlo
godere, di farlo tornare, di finirlo nel tempo stabilito
a priori. Sapevo solo che per essere brava, una puttana
non ha scrupoli affatto e non bada a spese per apparire
più bella, non bada al trucco per innescare la miccia…
Più volte quella notte ho desistito nel farlo, ma
una forza incontenibile mi spingeva da dentro, una
nausea violenta mi risucchiava in quel posto, finché ho
deciso piena di dubbi, dopo una settimana di congetture,
di ripensamenti davanti allo specchio, del bagno di casa
che mi faceva più bella, per tutte le volte che mi aveva
ignorata. Allora decisi ed andai con la certezza di
provare solo una volta, e allora entrai in quel palazzo
signorile, salii le scale senza più dubbi e bussai col
cuore perché non servivano mani. La signora era bella,
ammaliante e charmant, parlava discreta con un filo di
voce. In quell’istante mi chiesi che se il suo charme
fosse stato frutto di questo, ossia del mestiere che mi
aveva proposto, avrei cominciato senza pensarci, ma non
ero pronta e lei mi comprese.
Mi disse cortese di
ripensare, a cosa mi avrebbe spinto a vivere questo
segreto che mai nessuno potrebbe capire, come del resto
la mia mente rifiutava a pensare che davvero sia quello
il domani, dove scorro la strada verso quella casa, dove
scorro panchine dove non si siede nessuno e conto gli
alberi frapponendo i miei fiati, come farei con quei
maschi che aspettano il turno, ogni trenta passi un pino
marino, ogni trenta minuti un nuovo cliente.
Mi
siedo su una panchina e penso davvero d’essere oltre
quella finestra mentre suonano alla porta ed io
ricomincio daccapo, dentro il letto lo stesso appena
rifatto, dentro lenzuola immacolate ed intatte, ed io la
stessa stringo le mie pieghe disfatte, dentro mutande
che appaiono nuove e mantengono indelebili gli avanzi e
le tracce di chi poco prima mi gridava il piacere ed io
soddisfatta mi rivestivo con cura. Faccio solo
attenzione ad apparire perfetta che sulle mie calze non
ci sia una macchia, o sulla mia gonna che tiro e che
allungo fino al ginocchio e sopra un pudore rifatto, che
ricomincia d’incanto a farlo sognare ad illuderlo certo
d’essere il primo.
Sono altri fiati altro sesso
più duro, altri occhi che ricominciano a girare, a
scandire gli approcci che non vanno mai dritti e illusi
cercano di prolungare l’attesa per vedermi più attraente
un attimo dopo, Come se ci dovessimo scambiare parole,
come se davvero mi dovesse far voglia, senza sapere che
invece gli sguardi, le mani le dita sono identiche a
quelle di prima che m’hanno toccata e rivoltata per
bene. Mi guarda e prende tempo, come se tra poco ci
accoccolassimo insieme sopra una panchina ad ascoltare
un tramonto, come se fuori ci fosse un culo di luna e il
prezzo che paga dovesse solo servire a scoparsi una
donna dalle parti del cuore.
Ma fuori c’è solo
traffico e caldo, un mezzogiorno cocente che squaglia
l’asfalto e qui dentro un’ombra soffusa finta e bugiarda
che ci copre e ripara e non serve per nulla a questo
tipo d’amore che per farlo decente non occorrono gli
occhi e l’anima in gioco è fatta di pelle. Chissà perché
gli uomini tutti, davanti ad una donna si rifanno la
faccia recitando la parte di non esser capiti,
dimenticando che sono venuti per sesso, per questa cosa
che stringo e nascondo perché la voglia non scemi prima
del tempo. Io sono lì che fumo, seduta sul letto che
dondolo il tacco e chiedo a caso un nome, sapendo che
dopo non rimane che niente, un ricordo lontano che odora
di sesso che copro e svanisco con altro profumo.
Difficile invece che mi chiedano un nome come a quelle
incontrate per strada perché sanno che sarebbe inventato
e quello che faccio lo faccio in segreto da perfetta e
matura signora borghese che passa il giorno dietro
queste tendine che ammazza la noia sbafando rossetti,
gli stessi che prima di cena la sera sfiorano la fronte
dei suoi nipotini. Poi d’incanto tutto svanisce,
smettono di apprezzare la sfumatura perfetta che fa
l’ombretto attorno ai miei occhi, come se non ci fossero
più laghi e tramonti, e quel culo di luna che li ha
fatti sognare. Mi fissano il seno ed i capezzoli scuri
poi scendono in fretta fino alle gambe, gli occhi si
fanno impazienti e più duri diventano bilance che pesano
carne.
Si fanno avanti, e mi spogliano tutta, il
primo troia è un respiro leggero, il secondo è bagnato
di saliva bollente quando decisi mi toccano in fondo
convinti che il mio sesso è come il contorno che è caldo
e capiente e ne vale la pena. Bugiarda fingo di sentire
piacere come se un dito potesse davvero farmi vibrare.
Ma sono bimbi che giocano ad essere grandi, sono uomini
che diventano bambini, e non conoscono altro modo di
compiacersi e sentire se stessi, padroni una volta in
una mezz’ora qualunque.
Ecco questo è il
momento! L’esatto momento che mi convince ogni volta a
ricominciare domani o al prossimo incontro, la stessa
ragione che ribadirei con forza davanti a mio marito se
per caso mi chiedesse. Ecco il momento! Con la faccia
appiattita sulle ginocchia, con il seno schiacciato che
strizza e fa male, e una mano possente m’accarezza i
capelli, e mi spinge e m’abbassa senza che possa
reagire, per poi tornare bambino che piange e s’attacca
e ciuccia da figlio il mio seno per fame. Sono lì che
m’impegno e ci metto il mestiere, obbediente lasciva,
oscena e viziosa, per poi come pane a comando l’inforno
senza lasciarne un centimetro all’aria.
A volte
lo giuro non c’è bisogno di altro, sento la pressione
che sale e che preme, il respiro allungato senza più
soste, le mani a forza che mi spingono oltre come se ci
fosse altra pelle di sesso, altra voglia per farmi
sentire in difetto. Mi lascio insultare che non sono
all’altezza, che un’altra signora ha fatto di meglio,
proprio ieri nell’appartamento di fronte dove le rose
fioriscono in marzo, dove una donna ci sbava passione
con le labbra a ventosa sopra un uomo che gode, dove ora
resiste per allungare il piacere. Ma io non mi fermo lo
stringo ed insisto, accarezzo col palato gli ultimi
istanti che mi danno la certezza d’essere unica, colei
che li porta in un mare tranquillo, ma nei suoi abissi
si smuove ed urla in un turbinio che non vede riposo.
E mi sento appagata femmina e schiava, e manca un
niente per sentirmi l’anima zuppa come coniglia che
s’ingravida e gode e segue l’istinto senza capirne la
causa. Eccolo lo sento, ma non vuole mollare, ora mi
rivolta per finirmi e sfinirsi, ma il tempo è scaduto e
lo invito a sbrigarsi, ad entrarmi nel posto dove
giustifica il prezzo, dove la signora tra poco mi bussa
ed un altro cliente sta facendo la coda. Lui obbediente
si rintana e si culla nella voglia che apro come
conchiglia che schiudo e poi chiudo come un guscio di
uovo che dà vita e vigore all’ultimo istinto.
Solo ora capisce che era tutto un sogno che salendo le
scale s’immaginava davvero tramonti infiniti di giallo e
di rosso mentre ora ha davanti soltanto un sesso e
pieghe di carne che s’inumidiscono apposta. Ora lo
sento, mi vuole e mi chiama con un nome discreto che sa
di moglie e d’amante, di mille parole mai dette. Lo
sento, si contrae per svuotarsi fin dentro le ossa, per
sentirsi leggero quando giù nel portone attraverserà
questo viale di pini marini, per convincersi davvero che
ha fatto l’amore e s’è fatto davvero una signora di
classe, che freme, che gode, che urla tra queste pareti
damascate di rosso, e non chiede dell’altro che esser
domata nella noia dell’anima o poco più in basso, nella
folle richiesta di lasciarsi estirpare l’inquietudine
dentro che ancora l’assale.
Oggi è la prima
volta che faccio la lunga, salto il pranzo per scoprire
l’effetto di cosa si provi rimanere col ventre, zeppo e
ripieno dall’alba al tramonto, per scoprire il suono
delle mie parole sincere, le mie parole bugiarde stasera
a cena quando mio marito mi chiede dove diavolo vado,
dove ho passato l’intera giornata. Mi chiederà cosa ho
fatto di bello, su quale vetrina ho adagiato i miei
occhi, su quale orlo a mano ho accarezzato le dita senza
sapere che se andasse giù duro, se fosse interessato a
quello che dico non potrei cavarmela sorvolando i
dettagli, descrivendo fumosa una giornata qualunque, una
di quelle senza sussulto, che passano lente e non devi
sforzarti a cercare un labile sfacciato merletto da
cucire ai bordi della tenda del bagno. Mentre parlo e ci
metto ardore e passione nella mente mi passano divani
d’oriente, pareti e velluti damascati di rosso, dove
cala sinuoso un fascio di seta.
C’è solo un
pensiero che sottile m’angoscia e mi lascia sospesa a
sudare nel dubbio, quale gonna domani abbellirà le mie
gambe, quale merletto questa volta davvero aggrazierà i
miei seni rigogliosi e protesi che un uomo a caso si
svenerà per saziarli, aspetterà il turno affannando il
respiro? Già lo vedo lo sento che spinge e poi sale che
accelera e preme illuso e convinto che il suo pene è più
lungo più duro e voglioso, e possa ridurre a ragione il
mio ventre distratto, addomesticarmi la carne che a
riccio si schiude, e gonfia s’ammolla per chiederne
ancora. Ma durerà un niente perché non può più arrivare,
oltre la misura che è tutto il suo avere e lo
solleciterò di fare più in fretta per il prossimo che
aspetta ancora in salotto, per scorticarmi quest’anima
che non ha labbra, che se solo sapessi dove mi risiede
l’abbellirei almeno con una punta di trucco. Perché è
lei la puttana, la grande mignotta che sogna d’andare di
notte a strusciare, tra i fari le scarpe se avesse due
piedi, che mi fa contare questi alberi storti, ogni
trenta passi un pino marino, ogni trenta minuti un nuovo
cliente. E’ lei che attira file di maschi spargendo
odori che sanno di miele, inzuppando ogni angolo dove si
ferma ed aspetta uno a caso che si faccia coraggio e le
dia quel senso d’essere la sola, unico grande recipiente
del mondo.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
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