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Adamo Bencivenga
L’amore bello
"Sarà che ogni notte lei si arrende più
tardi, e nel suo sogno poi vengono uomini in tanti, che le fanno la
corte e lei che sorride, e la chiamano amore come se davvero lo
fosse. "
Sarà che ogni notte lei
si arrende più tardi e nel suo sogno poi vengono uomini
a frotte, che le fanno la corte, che la bramano in
tanti, e lei che sorride e lasciva poi cede perché la
chiamano amore come se davvero lo fosse. Sarà che sto
sveglio e trattengo il respiro, la sento che geme che
mugugna e si dona, e le guardo la faccia, i suoi seni
ripieni, duri appuntiti come se fossero brocche, per
dissetare le bocche, che aspettano il turno e la
prendono insieme. Sarà che si muove come se
avesse catene, o due uomini ai lati la tenessero ferma,
e lei con i fianchi che spinge e che preme, a catturare
gli uccelli che volteggiano in aria. Sono rondini nere
che garriscono fitte, sotto nuvole basse che minacciano
pioggia, ed ognuna di loro è una minaccia e un insulto,
un sesso invitante che stasera s’inoltra.
Sto
zitto e la vedo che rilassa la pelle, rasserena il suo
viso come se avesse deciso, chi sia il prescelto, a chi
dare le grazie, a un cavaliere che ha vinto la sfida di
morte, per essere lui il candidato del letto, che si
sazia di carne e si disseta di latte. Lo vedo che ora la
governa e la doma, la rivolta e la sporca come un cencio
di casa, perché le sue labbra si spalanchino a velo,
come un fiore si schiude al primo bacio di sole.
Sarà che poi si ferma per qualche secondo, come se ne
aspettasse un altro diverso, ancora più grande che cerca
un’alcova, come un nido di cicogna a dicembre. Sento il
suo profumo di olio di noce, il suo nettare denso di
resina e miele, che esce fumante come grasso appagato,
ed allora in silenzio scorro il suo corpo, m'avvicino
leggero perché non si desti, fino a che la mia bocca ne
assapora l’essenza.
Sento il suo odore che
terroso m’avvolge, quel ruscello bollente che sgorga dal
fondo, come acqua sulfurea, come prova d’amore, dove da
sempre non sono invitato. Succhio e la bevo, ma non
voglio svegliarla, perché sia mai che me ne possa
privare, di quei residui caldi che fluiscono a fiotti,
di quei sapori diversi di maschi ormai sazi.
La
misuro e l’assaggio per indovinare il percorso, il luogo
stasera dove ha fatto l’amore, e quanti ne ha presi
singoli o doppi, e come l’ha fatto in ginocchio o
distesa. Chissà se all’aperto, nascosta tra i rovi, o in
un letto di aghi all’ombra dei pini, oppure una casa
all’ultimo piano, una parete a vetrata che guarda sui
tetti.
La sento che parla, che sussurra velata,
parole che solo hanno un senso di notte, d’avanzi di
strada, di fuochi all’aperto, d’inverni passati a
riscaldare la merce. La sento, la vedo ed è tutto
permesso, perché nel suo sogno non ci sono soffitti,
perché sta volando e non ha bisogno di aerei, ma basta
alle volte agitare le braccia.
Ogni tanto un
sapore che ritorna violento, è grasso più denso e
profuma di more, come fosse di uomo, sempre lo stesso,
l’unico in grado di farla godere. Le vedo le unghie che
si curvano al tatto, che graffiano la pelle dell’inguine
interno, poi sospese si spostano senza toccare, come
fosse un peccato planare nel mezzo.
Le vedo le
dita che s’accartocciano a pugno, come se l’uomo
l’avesse già presa, e lei che lo aiuta a sfamare il
bisogno, a rabbonire la parte dove nasce l’istinto. Sarà
che poi geme, che fiata e che soffia, a cadenza precisa
che spacca il secondo, come fosse la misura del sesso
che entra, e formasse una bolla di vuoto che esce.
La vedo alle volte che tiene e trattiene, ed altre
s’impunta e s’imperla la fronte, ma caparbia si cerca
s’accanisce e si spreme, fino all’ultima goccia che a
fatica compare. Alle volte mi chiedo se ogni tanto mi
sogna, se sono quell’uomo che le addensa l’orgasmo, se
solo nel sogno mi ricompone la faccia, che di giorno
rimane frastagliata ai suoi occhi.
Muto la chiamo
perché se ne accorga, perché lei sia libera ed io in
disparte, a contemplarla nel sogno finché l’alba si
schiara, ad accontentarmi di spiccioli come resto
dovuto. Alle volte mi chiedo se dorme davvero, se nel
gioco poi finge e diviene reale, perché è l’unico amore
che la soddisfa e la sazia, perché sveglia dovrebbe
concedersi oltre.
Lei non vuole, non l’abbiamo
mai fatto, le nostre notti sono colme di baci e parole,
sono fiati e calore che si cuciono stretti, e il sonno
ci prende lasciandoci intatti. Ogni volta succede che la
bacio e la copro, perché dorma il suo sonno fino
all’alba domani, perché sia mai che possa scoprirlo, e
il sogno evidente arrossisca il suo viso.
Sarà
che non voglio che mai possa accadere, ritrovarmi domani
e altre sere da solo, a guardarla che dorme, che dorme e
non sogna, ed io che rimango a fissare il soffitto. Poi
di colpo il silenzio e spengo la luce, nel sonno
profondo non chiede più altro, ed io che la guardo, sia
mai che la tocchi, e felice le bacio il suo viso sereno,
e l’accarezzo un instante ringraziando quel Cielo,
d’avermi dato per sempre l’amore più bello.
FINE
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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