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IL RACCONTO E' ADATTO AD UN PUBBLICO
ADULTO

LIBERAEVA
La pura essenza della
trasgressione
Ebbene sì, avevo una relazione con
Guido, il mio capo. Praticamente da quando, fresca di laurea, avevo
iniziato a lavorare per quell’azienda...

Photo Donato Testoni
Ebbene sì, avevo una
relazione con Guido, il mio capo. Praticamente da
quando, fresca di laurea, avevo iniziato a lavorare per
quell’azienda. Il percorso era stato quello classico:
impiegata, qualche complimento, segretaria, segretaria
particolare, un mazzo di rose sulla mia scrivania, un
invito a cena, un piccolo monile in regalo, un bacio di
fretta, un week end nella sua casa sul lago.
Era
un uomo perfetto. Sensibile, dolce, comprensivo,
galante, affabile, squisito nei modi, ma anche fermo e
sicuro, mai un'alzata di voce, mai un gesto
d'impazienza, emanava sicurezza e strappava tenerezze
che alla fine cedetti e diventai la sua amante fissa.
Ne ero attratta sessualmente e non c'erano dubbi. Dopo
qualche mese mi ritrovai innamorata e avrei fatto
qualsiasi cosa per lui. Ero diventata donna tra le sue
braccia, bella ed erotica per continuare a starci. Ed
ora chissà cosa avrei dato, cosa avrei architettato solo
per il gusto di vedere gli occhi di lui pieni di
passione e meraviglia.
Guido era lì presente in
ogni momento della mia giornata e lo vedevo cambiarsi
camicia tre volte al giorno, rispondere
contemporaneamente a tre telefonate, corteggiare altre
donne; le sue mani gentili non m'avrebbero mai stretta
fino a farmi del male. Ero persa, persa per quest'uomo,
completamente abbandonata nel mio sogno irrealizzabile
di moglie, compagna o unica amante. Durante il
periodo della nostra relazione aveva trovato il tempo di
separarsi dalla moglie ed adesso stava per risposarsi,
ma naturalmente non con me. Tutto qui. Guido non era
assolutamente innamorato di me. Perché? Ma perché ne ero
troppo innamorata e non era assolutamente possibile
ricambiare un amore così folle.
Avrei preferito
essere la sua unica donna e ogni tanto avevo qualche
risentimento ovvio, convinta di far valere le mie
ragioni, di dirgliene quattro, di farla finita, ma ogni
volta davanti a quest'uomo non riuscivo a pronunciar
parola. Ogni volta ne uscivo sconfitta e peggio,
soddisfatta e a volte dopo l’amore non riuscivo neanche
a ricordare il motivo della mia insoddisfazione. Come
annichilita, inebetita, rovistavo nel mio cervello per
trovare una giustificazione. Ero completamente in balia
degli umori, vizi e desideri di quell'uomo.
Al
tempo ero andata ad abitare con una mia amica per essere
più libera, chiaramente i miei erano all'oscuro della
faccenda, non avevo mai avuto il coraggio di confessare.
Mi chiamava nelle ore più impensate della notte, in un
baleno mi facevo bella ed uscivo come una furia. Ma non
era servito a niente, Guido continuava imperturbabile la
sua vita, geloso di quella privata. Non facevamo spesso
l'amore, almeno non lo facevamo in un letto. Spesso il
tutto si consumava sul divano in sala d'attesa
dell’azienda, naturalmente dopo l’orario di lavoro.
Qualche volta ci appartavamo in un piccolo alberghetto
con i mobili di vimini e la finestra che dava sul
cortile di una fabbrica. Altre volte in macchina persi
tra la nebbia in qualche parcheggio di periferia. Erano
i più veloci, ma i meno costruiti, con la radio accesa
dentro ed il mondo spento di fuori. Ma la sensazione che
mi riempiva pienamente era quando lo facevamo nella sua
stanza, durante l'orario d'ufficio mentre gli altri
impiegati sgobbavano di lavoro nelle stanze adiacenti.
Per la verità qualche volta l'avevamo fatto senza
chiudere a chiave ed altre addirittura con la porta
socchiusa.
Non c'era nulla di scontato, sapevamo
solo da dove iniziare, poi il resto era come una recita
a braccio, dipendeva dalla voglia e dalla passione del
momento. Guido rimaneva seduto, fasciato nei suoi
vestiti firmati, imperturbabile nel suo ruolo di
manager. In quei momenti mi piaceva assumere un'aria
timida di segretaria sottomessa ai voleri del capo.
Titubante rimanevo in piedi sfiorando la spalla
imbottita della giacca. Avvertivo il suo profumo salire
fino ai gangli del mio cervello annebbiando gli ultimi
residui di ragione. I tacchi instabili affondavano nella
moquette, le ginocchia insicure tremavano nell'attesa.
Guido non mi degnava di uno sguardo, compiacente nel suo
ruolo, faceva finta di porre attenzione alla pratica
richiesta, ma la mano bianca e morbida iniziava dal
ginocchio il suo tragitto in salita.
Giocava
indovinando al tatto il colore delle mie intimità,
fingeva di dispiacersi quando non avevo esaudito a pieno
i suoi desideri. Mi rimproverava per un fiocchetto in
più o un merletto di colore diverso. Aveva sempre
qualche idea originale per proseguire, ma soprattutto
aveva un'eccezionale fantasia, quasi reale. M'immergeva
nelle sue storie fino a farmele sentire vere, arrivando
sempre ad un limite, ma facendo sempre attenzione a non
superarlo. Diventavano vere e proprie battaglie di
psicologia, dove le mie resistenze reali venivano
annientate dalla sua fantasia. Ad ogni mio rifiuto la
sua mente diventava sempre più feconda intenta a
sfruttare ogni mia incertezza. E sulle ali di quella
fantasia alle volte facevo l'amore con i colleghi ignari
o con l’operaio dalle mani sporche di grasso addetto
all’aria condizionata, altre mi catapultava in
situazioni indescrivibili trapassando pareti, città,
barriere morali e di tempo.
Non mi spogliava mai,
le sue carezze, attraverso i vestiti, diventavano più
intense semplicemente immaginandole al contatto con la
pelle. Alle volte riuscivo a provare l’orgasmo senza
essere toccata, con la sola idea di esserlo un istante
dopo. Le parole diventavano realtà, l'attesa rimaneva
attesa. Tutto da consumarsi in quindici minuti scarsi,
poche volte andavamo oltre. Una volta una collega entrò
all'improvviso nella stanza senza badare alla luce rossa
di occupato fuori la porta. Io ero sotto la scrivania in
ginocchio, lei si avvicinò senza vedermi, Guido
imperterrito continuò a firmare documenti. Non mi mossi
da lì, anzi continuai a giocare col suo pene e dargli
piacere.
Non invidiavo le mie colleghe e le loro
folli notti d'amore, a me bastava quella mano che saliva
e mi inondava di una sensazione unica, mi riempiva per
il resto della giornata facendomi sentire una regina. E
non rimpiangevo neanche gli amori con i miei coetanei,
in un letto per una intera notte al sicuro da occhi
indiscreti, non sarebbero arrivati mai allo stesso grado
di passione.
Fantasticavamo spesso, una volta mi
chiese di fare il filo ad un collega, Marco Corsini, a
quel tempo ventenne assunto da poco. La sera Guido mi
chiedeva al telefono una relazione dettagliata di come
fosse andata durante il giorno, ed io lì, che cercavo
d'inventare un qualcosa che filasse, non ero ancora
propensa a seguirlo in quel tipo d'imprese. Ma giorno
dopo giorno senza pensarci mi trovai nel ruolo di
seduttrice. Marco Corsini era il classico ragazzo timido
con gli occhiali, prendeva il lavoro molto seriamente,
ogni volta che entrava nella mia stanza era uno “scusi
se la disturbo. Ed ogni sera raccontavo a Guido cosa
fosse successo. “Sai oggi m'ha guardata,” o “si è
avvicinato ancora di più alla scrivania,” oppure “è
rimasto cinque minuti a parlare”. Guido si eccitava a
quelle parole, ma io mi rendevo conto quanto fosse
sporco quel gioco.
In poche parole stavo
violentando quel ragazzino, lo vedevo sudare ogni volta
che accavallando le gambe facevo intravedere ad arte
l'orlo della mia sottogonna. Gli chiedevo della sua
ragazza ed a poco a poco entrammo in confidenza. Così
ingenuo non sospettava assolutamente nulla della mia
relazione con il capo e soprattutto che il mio interessa
aveva uno scopo ben preciso. Guido, nei nostri momenti,
si era fatto più intraprendente, mi cercava spesso ed
io, contenta del suo nuovo vigore, colorivo i racconti
con qualche pennellata di fantasia. Non avevo idea di
quanti amplessi finti avevo già avuto con Marco, tanto
da credere che tutto ciò fosse realmente accaduto.
Una sera Guido mi chiese di farlo rimanere oltre
l'orario per ragioni di lavoro. Cercai di dissuaderlo,
ma la mia fermezza durò il tempo di un bacio rubato in
fretta nella mia stanza. Marco fu molto gratificato, era
la prima volta che il capo mostrava attenzione al suo
lavoro. Mi domandò più volte come avrebbe dovuto
comportarsi, cercai di rassicurarlo sorridendo alla
domanda ingenua.
Guido lo chiamò al telefono.
“Signor Corsini può venire nella mia stanza con la
pratica Poletti & Trani?” Quando bussò delicatamente
alla porta io ero seduta in una delle due poltroncine
davanti alla scrivania di Guido. Marco entrò e occupò
l'altra poltrona. Portavo un vestito lilla con uno
spacco laterale, lo stesso lato dove era seduto Marco.
Quella posizione era stata studiata in precedenza nei
minimi dettagli. Avevamo praticamente impiegato più di
un'ora, Guido eccitato non stava nella pelle, mi aveva
fatto provare la posizione non so quante volte, ed ogni
volta aggiungeva qualche particolare.
Con un
trucco quasi da scena mi aveva fatto legare i capelli, i
ciondoli di bigiotteria pendevano grossolani fino a
sfiorarmi le spalle. Avevamo alzato la poltrona in modo
che le mie gambe arrivassero a livello della scrivania,
Guido voleva avere la stessa visuale, era impossibile
non vedere il bordo nero della mia calza e i gancetti
del mio reggicalze, dello stesso colore del vestito,
comprato da Intimissimi qualche giorno prima apposta per
il compleanno di Guido. Lui aveva promesso di portarmi a
cena fuori. Durante la cena, l'idea di farmelo indossare
per quel timidone ventenne lo eccitò al punto da
rinunciare alla primizia. Guido non amava regali
personali, ad ogni compleanno o feste varie mi chiedeva
un qualcosa di nuovo da indossare, la cosa mi aveva
sempre affascinato, mi sembrava tutto ciò veramente
originale.
Marco adagiò la pratica sulla
scrivania e iniziò la relazione, balbettava. Notai una
goccia di sudore sul colletto della sua camicia
celestina quando il mio vestito scivolò magicamente con
mossa studiata fino a far risaltare la stringa lilla
sulla coscia bianca. Mi batteva forte il cuore. Guido
rimase impassibile, con aria professionale finse di
esaminare la pratica nei minimi dettagli. Passarono dei
minuti, lunghi e interminabili. I suoi occhi umidi e
viziosi sembravano non saziarsi. Come in una partita a
tennis guardavano ritmicamente il malcapitato oramai in
un bagno di sudore e la mia recita come da copione.
Finalmente Guido ruppe il silenzio innaturale
riordinando i quattro fogli. Fissò Marco annientandolo
con lo sguardo. Non completamente appagato gli fece
qualche appunto sul lavoro svolto, reclamando più
impegno e serietà. Alla fine lo congedò con tutta calma.
La nostra vittima emise suoni incomprensibili, forse in
segno di ringraziamento. Impacciato e stordito fece
cadere maldestramente la foto incorniciata sulla
scrivania di Guido con la sua ex moglie e i loro due
figli. Non capiva ciò che stesse facendo. Gli era
completamente saltato il cervello. Notai quanta
difficoltà fece per alzarsi, fissava Guido, timoroso,
pensai, non tanto per la sua relazione esposta, ma
sicuramente per la paura di essere accusato di aver
visto ciò che non doveva vedere.
Ignaro del
nostro disegno perverso ormai era nelle mie mani. Pur
non dichiarandosi apertamente ogni occasione era buona
per venire nella mia stanza. In seguito prese più
coraggio, iniziò ad aspettarmi all'uscita, facevamo
quattro passi innocenti assieme. Un giorno però davanti
a due succhi di frutta nel bar sotto l’ufficio mi
accennò che aveva visto. Mi scandì a memoria ogni
movimento delle mie gambe. Da quel momento non aveva più
smesso di pensarmi. Secondo lui ero la donna più
affascinante che gli fosse mai capitato di incontrare e
senza mezzi termini, dopo che seppe che ero single, mi
confessò che se avessi voluto avrebbe lasciato la
ragazza per avere un rapporto più concreto con me.
Oramai era cotto! Ne parlai con Guido e stabilimmo
il da farsi. Era bambino, ingenuo, unico tra i
colleghi a non accorgersi della mia relazione col capo.
Indifeso, ancora sotto studio, tanta voglia d'imparare e
ancora incontaminato dal mondo esterno. Quando ritenni
che fosse a mia completa disposizione, quando fui
veramente sicura che era completamente innamorato di me,
sotto i consigli interessati di Guido agii. Era vergine,
qualche bacio con la sua ragazza e poco altro. Mi
allettava l'idea di essere la prima, di svezzarlo, di
insegnare a mio uso e consumo i misteri del sesso. Una
sorta di decalogo dell'amore con proibizioni e permessi
in funzione di ciò che mi appagava. Avevo tra le mani un
pezzo di creta che modellavo secondo i miei desideri.
Psicologicamente non ci volle molto, visto che ero
facilitata dalla forte attrazione che aveva per me.
Rimaneva, per così dire, la parte materiale, ma in
questo caso le riserve erano soltanto dalla mia parte.
Ma Guido era deciso ad andare a fondo. Era sorpreso
dalla mia disponibilità, ma, il poverino, non immaginava
minimamente che stavo creando un robot, una sorta di
automa a mio completo piacimento.
Mi prometteva
amore eterno, e nonostante la differenza di età, di
sposarmi il giorno dopo. Parlava già di quando mi
avrebbe presentato ai genitori e cose varie. Fino ad
allora il mio abbigliamento era stato casto, per evitare
di ricordargli la scena nella stanza di Guido, ma vedevo
quanto fosse stampata indelebilmente nei suoi occhi.
Ogni tanto, dopo l’ufficio, accettavo qualche passaggio,
ma non ci fu mai nessuna avance da parte sua. Le sue
richieste pressanti non andarono mai oltre i limiti
garbati di un corteggiamento romantico.
Quando
Guido mi diede il via libera passai decisamente
all'attacco. Una sera lo invitai a casa, fu entusiasta.
Preparai una cenetta a base di stuzzichini, si presentò
con un enorme mazzo di rose rosse, giacca, cravatta e
occhiali appannati per il fiatone. La tavola era già
apparecchiata, brindammo con due calici colmi di
spumante. Ci mettemmo seduti. Più impacciato del solito
rimase incollato sulla sedia e per il primo quarto d'ora
non spiccicò parola. Come da istruzioni di Guido ero
vestita nello stesso modo di quella volta nella stanza
del capo. Per tutta la serata non toccò cibo,
proseguimmo oltre farfugliando discorsi incomprensibili.
Cercava di spiare sotto il tavolo ogni mio leggero
movimento, ma non prendeva l'iniziativa. Spensi la
lampada.
La luce della strada filtrava dalle
persiane, illuminava a righe il mio stupendo vestito
lilla. Mi accomodai sul divano. Lo spacco si aprì,
accentuai la posizione poggiando un tacco sulla sedia.
La faccia di Marco era da infarto, gli occhi accecati da
una lacrimazione improvvisa, la camicia fradicia di
sudore, le gambe tremanti, le dita nodose che
afferravamo a morsa il bicchiere ormai vuoto.
Tentò di alzarsi, lo ricacciai sulla sedia. Smarrito
come un naufrago provò di nuovo ad avvicinarsi, il mio
tacco viola lo scaraventò per terra. Nell'oscurità perse
gli occhiali, era nelle mie mani. Mi pregò, mi supplicò,
ma rimasi fedele al progetto studiato con Guido. Lo
fissai attraverso il fondo del bicchiere, lo avevo in
pugno, ma desideravo stritolarlo mentalmente. Attratto
dal mio corpo non chiedeva altro a costo di perdere
anche l'ultimo briciolo di dignità. In quel momento
avrebbe fatto qualsiasi cosa per avermi.
Mi alzai
ordinandogli di attendere immobile sul tappeto. Gli
dissi che tutto ciò non lo meritava, che avrei indossato
vestiti meno appariscenti struccando pensieri malsani
che si annidavano nella sua mente. Mi feci una doccia,
mi cambiai completamente. Ma non resistevo alla voglia
di apparire divina, di vederlo elemosinare frammenti di
carezze promesse ed ancora non date. Abbondai nel
trucco, giocai sul rosso e nero, indossai le scarpe più
alte a disposizione del mio armadio. Una vestaglia di
seta sbarrava ai suoi occhi l'insperato desiderio. Era
passata circa un'ora, ma era ancora là fermo, immobile
nella stessa posizione. Gli girai intorno, rimasi in
piedi. Gli puntai un tacco sulla pancia. “Marco so che
tu faresti qualsiasi cosa per me, ma non so ancora fino
a che punto. Sarò tua, non adesso, forse non stasera, ma
voglio toccare con mano il tuo desiderio, voglio
convincermi che la tua dedizione sia totale e senza
ritorno! Chiama la tua ragazza, inventati quello che ti
pare, ma dille che è finita, che tra di voi non ci sarà
domani. E soprattutto dille che ti sei innamorato perso
di una donna stupenda di nome Eva e per la quale
rinuncerai a tutto.”
In preda al panico si
aggrappò alla mia gamba, la riga nera della calza
orientò il suo smarrimento. Come una furia risalì le mie
cosce, baciò ogni centimetro della mia pelle. Piangeva,
mi ringraziava. Mi strinse forte, addosso alla parete
sentivo la sua voglia crescere. Come un animale
selvaggio premeva sul mio ventre, sentii il suo
desiderio arrivare al culmine, lo lasciai fare fino ad
un attimo prima. Non poteva stravolgere le regole che
Guido avevo fissato. Cinque dita rosse sulla sua faccia
lo calmarono lentamente.
Gli chiesi di nuovo la
prova d'amore, non convinto gli porsi il telefono. Ma
non ero ancora soddisfatta, avevo timore che la
situazione mi scappasse di mano. Lo spogliai
sfiorandolo, tentò più volte di avvicinare le mie labbra
alla sua passione. Presi tempo. Cercai di allontanare i
suoi istinti. Doveva rendersi conto che contava meno
delle mie scarpe lilla appoggiate in un angolo del
divano, meno di quel reggicalze merlettato che tanto
desiderava toccare, men che meno delle mie cosce, del
mio culo solcato timidamente da un paio di mutandine
inesistenti.
Non gli era permesso pensare e
tanto meno prendere qualsiasi iniziativa. In quel
momento la sua mente doveva comportarsi come il suo
sesso e reagire in simbiosi solo se stimolati. Affondai
le mie unghie sulla sua pelle bianca, finché avvicinai
le mie labbra di clown sbordate oltre la volgarità di
un’indecenza rossa e puttana. I suoi occhi sbarrati si
chiusero rumorosamente come saracinesche aspettando il
piacere. Rimase rigido ingoiando il mio nome. Mi fermai
a dieci centimetri dalla sua voglia, ad un secondo dal
mio dispiacere di vederlo soddisfatto, ma molto vicino
ai voleri di Guido che come un fantasma mi dettava il da
farsi. Marco tentò di afferrare la mia testa, ma lo
bloccai di nuovo. S'inumidì le labbra. Avendone la
possibilità avrebbe sicuramente continuato da solo. Mi
tirai indietro, si dovette accontentare solo del caldo
sapore del mio fiato.
Nudo mi giurò amore eterno.
Mentre l'accarezzavo gli chiesi l'esclusiva, non aveva
più resistenze da opporre. Alla fine mi disse che
avrebbe chiamato all’istante la sua ragazza! In quel
momento mi fece pena! Cercai, uscendo per un attimo
fuori dalle righe del copione, di farlo riflettere, che
forse non era il caso, di pensarci per ore, giorni,
settimane. Ma ormai il suo cervello era fuso, senza più
un barlume di coscienza ragionava esclusivamente con il
suo desiderio. Non chiedeva altro che farsi consumare
come la sigaretta che stringevo tra le unghie laccate
bene in vista. A carponi prese il telefono, strisciò
nudo sul pavimento di marmo freddo venato di grigio. Lo
lasciai comporre il numero. Sentii chiaramente con le
mie orecchie la sua perduta dignità. Riattaccò senza
alcuna spiegazione.
Tornò trionfante, vide la
mia vestaglia scivolare lentamente lungo i contorni neri
delle mie gambe. Sganciai il reggicalze, arrotolai le
calze fino al ginocchio. Nella sua testa, ormai malata,
ero lì bella, pronta per essere presa, pronta per essere
scavata fino al sublime piacere della trasgressione.
Aprii le gambe mostrandogli l’oggetto del suo desiderio,
la causa della sua perdizione, ma anche la fine della
sua illusione.
Eravamo arrivati al punto, ciò
che stava bramando sarebbe rimasta intatta e fedele a
chi aveva architettato e voluto fortemente quel gioco.
Cercò con gli ultimi brandelli di energia di violare
quella proprietà privata, ma la forza dell’amore e della
devozione ebbero ragione sulla sua determinazione. Gli
ordinai sottovoce di sedersi accanto a me e di
stringermi la testa con le mani mentre le mie dita
intanto stavano varcando quello che a lui il programma
non aveva concesso.
Come un mago tirai fuori dal
cilindro la lettera di Guido che portava la data del
giorno prima: Marco la lesse con un filo di voce. “Caro
Corsini, mi corre l’obbligo di dirle che il suo
comportamento, tenuto per tutta la serata, ha destato
più di una perplessità. E’ impensabile perdere la testa
fino al punto di vendere l’anima e chissà quant’altro
per un obiettivo a portata di mano, ma tanto lontano da
raggiungere! Quello che lei, in questo momento, ha di
fronte è semplicemente una bella donna, e sottolineo
semplicemente. Nient’altro! Per l’amor di Dio! Non mi
venga a parlare di sentimento o menate del genere. Lei
ha fallito su tutti i fronti e per raggiungere la meta
ha e avrebbe acconsentito ad ogni bassezza. La dignità,
la stima, la considerazione di se stesso sono per lei
solo parole, nullità da barattare per una semplice
donna, stupenda, ma comune mortale. A questo punto le
consiglio di ammirare ancora una volta quello stupendo
tesoro. La sta vedendo? In questo momento si sta
dimenando in preda ai piaceri senza la sua minima
collaborazione. Le sue gambe si stanno divaricando fino
all’impossibile. Il suo fisico sta chiedendo in silenzio
un uomo che le riempia il ventre, la mente, la bocca, le
voglie più dissolute. Ma come vede, mio caro amico, la
forza dell’amore, della fedeltà e della decenza supera
qualsiasi desiderio. La osservi ancora attentamente, tra
un attimo esploderà di gioia, le sue gambe si
divaricheranno fino all’impossibile, ma stia pur sicuro,
non le chiederà niente! Quelle cosce resteranno
inesorabilmente vuote di sesso, ma piene di amore e fede
che soltanto chi le sta scrivendo può capire fino in
fondo. Eva è mia da quella ciocca di capelli scomposta
sulla fronte fino all’unghia del suo dito medio che mi
sta, impietosamente, sostituendo. Lei, caro Corsini, ha
tanto da imparare da quella donna, da questa storia e
soprattutto dalla vita! Ora non mi rimane che salutarla…
Ah dimenticavo, credo che sia inutile aggiungere che la
fiducia nei suoi confronti è scemata rovinosamente e che
da domani potrà considerarsi libero da impegni di
lavoro. Cordiali saluti. Guido Fermi…”
|
Questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
persone è del tutto casuale.
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