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IL RACCONTO E' ADATTO AD UN PUBBLICO
ADULTO

LIBERAEVA
La rapita
"Non riesco ad immaginare che ora di
qualsiasi giorno possa essere, e riesco perfino a ridere di me
stessa pensando a cosa mi potrebbe servire saperlo, a quanto sia
inutile calarmi in un punto preciso del tempo e domandarmi dove mi
potrebbe portare il pensiero di sapere che sono le cinque di un
giorno feriale."

Photo Nicolas Frenot
Lo so che lì c’è il mare, lo
sento questo rumore continuo, di fiotti e risucchi
strascicati, che ti mettono ansia perché non arriva mai
la fine, come quando non riesci ad inghiottire e ritenti
e gioisci come se avessi vinto qualcosa. Lo so che lì
c’è il mare, la sento quest’umidità salata che
m’infiamma le ossa e m’arriccia i capelli, e non oso
guardarmi allo specchio, semmai c’è ne fosse uno, semmai
potessi vedermi attraverso quest’oscurità che non mi dà
dimensione e mi fa paura, come se si congiungesse al
rumore del mare che ora sento più forte.
Non
riesco ad immaginare che ora di qualsiasi giorno possa
essere, e riesco perfino a ridere di me stessa pensando
a cosa mi potrebbe servire saperlo, a quanto sia inutile
calarmi in un punto preciso del tempo e domandarmi dove
mi potrebbe portare il pensiero di sapere che sono le
cinque di un giorno feriale. Tanto tra poco s’aprirà
quella porta e l’odore stagnante di muffa circolerà
rinvigorito e più forte, sulla mia pelle e su queste
mattonelle che non vedo, ma al tatto non sono più
sporche dei palmi delle mie mani. Tra poco s’aprirà
quella porta e mi trancerà la notte dal giorno, ieri da
oggi e così via fino a credere superati questi pensieri
che ora sono tutto il mio avere. E ricomincerò daccapo
pensando al passato quello che ora dico al presente, ma
il ricordo, quello vero, che mi vedeva altrove, lontano
da questi ragni che mi camminano addosso e mi fanno la
tela, si fa sempre più flebile come la mia voce che non
sento da giorni.
Non ho più niente, neanche un
paio di mutande che ora sarebbero un tesoro, o che so
io, una lametta che faccia mostrare le mie gambe decenti
a quest’uomo che a breve mi porterà una tazza di brodo
caldo. Sempre lo stesso, lo stesso sapore, come se fosse
quelle di ieri, bevuto e rimesso. E lo berrò tutto d’un
fiato anche se mi chiedo a volte perché mai non ho
diritto ad una fetta di pane o che so io ad un piatto di
pasta farcito con capperi e olive.
M’ha promesso
che tra un giorno qualunque, quando neanche me
l’aspetto, mi porterà una zuppa di ceci e fagioli, che
oramai non ricordo più il gusto, il sapore, che i miei
sensi hanno cancellato come fare l’amore o che so io,
farmi una doccia bollente quando fuori c’è neve. Ma non
ricordo se fuori è inverno o c’è un sole che picchia e
crepa la terra, non ricordo se sono venuta fin qui
coperta di lana o con qualche maglietta sbracciata che
m’ingrossa le tette e mi fa sentire almeno una donna.
Sento freddo, quel freddo di brividi che ti
coglie indifesa quando sei sola, e s’infila padrone
nelle parti più intime del corpo gelando cuore e
polmoni. Sembra passata un’eternità da quel giorno
maledetto e forse sarà trascorsa davvero, a giudicare
dalle tante domande a cui non ho dato risposta; non ho
dato il minimo senso per pensarle di nuovo. Quest’odore
di rosmarino mi dà nausea, ma alle volte penso che
potrebbe essere qualsiasi odore, magari di penicillina e
d’infezione o uno dei tanti profumi sul davanzale del
bagno che custodivo gelosa e ne facevo collezione.
Tutto è successo senza rendermene conto e senza per
questo pensare che non sia accaduto, che queste sono
solo le mie lenzuola sudate dall’ansia, che ora mi alzo
e vado in cucina a prepararmi un caffè che ne ho tanto
bisogno. Ma le sento davvero queste voci, come mi pare
d’udire un sibilo di vento simile a zanzare fastidiose
di notte, come mi pare di sentire la voce di un
ragazzino che gioca sul pavimento all’ingresso.
Ma se mi concentro sento la voce distorta dell’altra me
stessa, che di là in cucina pulisce cicoria e s’affatica
attorno a quei pomelli opachi della sala da pranzo. La
sento la voce, ora sempre più intensa, che grida perché
non può più accettare d’essere trascurata per ogni
giorno che passa, di sentirsi femmina solo perché porta
una gonna ed ogni tanto si trucca occhi e concetti
perché non ha nient’altro da fare. E sento quel pianto
che, come ora silente, mi bagna la faccia e segue
remissivo le rughe del viso fino a posarsi negli angoli
della bocca, fino a ridarmi equilibrio e coraggio di
subire un altro giorno che nasce, fino a ridarmi la
forza per distinguere questo rumore di mare.
Ma
ora non ho paura di stropicciarmi la faccia, perché da
quando m’hanno rapita ho smesso di essere bella, ho
smesso di credere che ogni uomo che passa rallenti il
suo passo per vedermi ancora un istante. E mi domando
quante amiche abbia avuto al momento, quanti compleanni
ho saltato senza fare gli auguri, e quante colleghe mi
stanno cercando. Vorrei tanto sapere come passavo il mio
tempo, se per caso avevo un lavoro o che cosa facevo
alle sei di sera invece di guardare il tramonto.
Il mio guardiano m’ha promesso di portarmi uno
specchio, mi basterebbe un vetro tagliato per
riflettermi contro e immaginarmi davanti ai miei tanti
cassetti a scegliere secondo la serata mutande e colore.
Ma non mi lasciano nulla, neanche la brocca dell’acqua,
neanche un paio di forbicine per rifarmi le unghie e
togliermi queste fastidiose pellicine che non mi fanno
dormire.
E’ strano come la mia mente sia in
grado di ricordare perfettamente ogni merletto, ogni
cappello risposto in armadio ed aver cancellato tutto il
resto, tutto ciò che, secondo coscienza, varrebbe la
pena vivere. E mi sforzo di pensare ad un uomo, ad un
figlio, una casa. Se solo potessi vedere sul muro i
contorni della mia ombra, m’aiuterebbe a ricordare chi
sono, basterebbe uno straccio di luce per darmi una
faccia, un’altezza, un carattere e da lì non ci vorrebbe
che niente ricordare il motivo che m’ha relegata qui
dentro, inghiottita da questa oscurità dove i ragni
continuano a farmi la tela intorno ai miei polsi
fasciati.
Ma non sono catene, non ho ferri
attorno alle caviglie o lenzuola che mi tengono stretta,
neanche un bavaglio per tacere. E mi chiedo perché non
urlo, perché non m’alzo e scappo da quella porta e
perché rimango paziente ad attendere il mio guardiano
che ogni sera m’accarezza i capelli e mi ripete che
manca poco, che è solo questione di volontà. E mi si
mette qui accanto e mi parla a bassa voce, non tenta mai
d’approfittarsi del mio seno che è a portata di mano.
Alle volte mi viene il dubbio d’essere ancora
bella, o che quest’uomo, che non salta una sera, non sia
un guardiano. Ha un’aria così familiare, come se
l’avessi annusato da sempre, come se la forma della mia
faccia fosse adatta e perfetta alle sue carezze, alle
sue mani che non stringono, ma rimangono leggere e
sospese come se avesse timore di farmi dolore. Alle
volte mi bacia la fronte, mi dice che devo stare
tranquilla, che lui ci sarà sempre, ma come fa un
guardiano ad essere così amorevole? Certe volte viene
accompagnato da un bimbo, avrà sì e no sette anni, il
piccolo rimane qui seduto accanto a me, mi guarda, poi
però si stanca, si alza e gioca per la stanza.
E
allora il mio guardiano mi fa strane domande come se
volesse farmi ricordare qualcosa di preciso, mi dice che
mi devo sforzare, mi dice dei nomi che io non conosco,
ma non mi parla mai di riscatto, non mi tiene al
corrente se qualche rata sia già stata pagata, anche se
so che è questo il motivo e solo per quei maledetti
soldi mi porta pane e olive e forse una zuppa di ceci. E
mi domando quanto ricca potrei mai essere, per essere
stata rapita e portata quassù in questo posto senza
tempo e senza vita.
Non riesco a farmene ragione
che sia veramente questo il motivo, e che la mia memoria
si sia eclissata per qualche spavento. Ma io mi sento
tranquilla, come se fuori ci fosse tempesta e mi copro
con il lenzuolo fino alla testa per sentirmi protetta.
Sicuramente m’avranno preso con la forza ed avrò
sbattuto la testa, magari m’avranno legata, addormentata
ed io avrò fatto un interminabile viaggio rannicchiata
dentro un cofano di macchina. Magari mio marito sarà in
pena incollato vicino ad un telefono che non squilla, o
magari sono sola e nessuno mi sta cercando.
Sicuramente sarò stata rapita ed aspetto stasera il mio
guardiano che mi porterà una zuppa calda di ceci e
magari mi dà la buona notizia che qualcuno finalmente
abbia pagato il riscatto o magari è solo questione di
giorni. Magari, magari, ma non ho certezze, neanche uno
sparuto ricordo; se stavo tornando a casa, andando da un
medico o, che so io, dentro un letto d’ospedale…
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Questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
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