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Adamo Bencivenga
La scrittrice
"Affondo dentro questo sfarzo d’albergo, seduta sul giallo d’un divano importante, che risalta e contorna tutti i dettagli, che mi fanno più bella unica e rara. Oddio davvero come devo essere bella! Mi guardo e mi piaccio e cambio le pose, nella parete di specchio in fondo alla hall, con la mano sinistra allargo le dita, tiro dietro i capelli e scopro la fronte."






 
Affondo dentro questo sfarzo d’albergo, seduta sul giallo d’un divano importante, che risalta e contorna tutti i dettagli, che mi fanno più bella unica e rara. Oddio davvero come devo essere bella! Mi guardo e mi piaccio e cambio le pose, nella parete di specchio in fondo alla hall, con la mano sinistra allargo le dita, tiro dietro i capelli e scopro la fronte.

Ovunque profumano mazzi di fiori, ma sarò io la rosa più fresca, che quest’ometto di fronte fissa e consuma, a circa due metri dall’impossibile sogno? Giro ed accavallo le gambe, mi fermo sospesa a metà della ruota. Chissà se riesce a vedere qualcosa, chissà se ha capito che sotto la gonna quel nero che vede non è fatto di stoffa. Allora insisto e lo lascio guardare, perché in fondo sento un sottile piacere, un nonsoché di potere, di regina e corona, quando lo vedo che spalanca i suoi occhi ed io ostento ed increspo la calza, perché non abbia il minimo dubbio, di quello che a breve potrebbe trovare, di quanta classe di seta s’intravede nell’ombra, di queste gambe gemelle velate di nero.

Soffio il fumo contro il soffitto, anche se qui non si potrebbe fumare, ma io sono bella e mi è concesso di tutto, esattamente come farebbe la bella Luisa, protagonista dei miei racconti e donna di classe, che fa dell’amore la sua arte migliore, che fa del suo sesso l’antico mestiere. Poi aspiro di nuovo tenendo tese le dita, lasciando che la luce del giorno di fuori, sbatta diretta sulle mie unghie riflesse, e crei una pioggia rossa di luci, che a rivoli scende disperdendosi al nulla.

Non so perché stamattina mi ritrovo seduta su questo velluto, sono madre di figli, nuora d’una suocera che m’ama e m’adora. Se mio marito sapesse di quale alone m’ammanto, nel lusso sfrenato d’un albergo del centro! Di quanto di vero c’è in quello che scrivo, che provo nel mentre una voce più spinta, potrebbe trattarmi da semplice squillo! Potrebbe accadere ora in questo momento, davanti a quest’uomo come un normale cliente, che paga e m’appaga e svuota le tasche, e gonfia l’orgoglio che mi lievita dentro.

Per gioco mi ritrovo dentro lo sfarzo, d’un alone che sfuma e sbiadisce i contorni, come un sogno che nasce quando si fissano gli occhi. Io scrivo novelle per una rivista di donne. Ho una rubrica di sesso ed ammazzo la noia. Finché questa mattina in cerca di spunti, mi ha preso la voglia di camminare sui tacchi, gli stessi dove danza Luisa, la mia eroina e femmina al bivio, d’essere amante come la luna, d’essere unica per tutte le notti. Potrei essere io stessa Luisa! La bella stupenda Luisa! A corto di fiati quando si spannano gli occhi, che gioca con gli uomini dentro la mia fantasia, che faccio giocare tra le righe sospesa, tra l’erotismo leggero e l’amore più duro, tra i m’ama e non m’ama d’un’alba che nasce.

Tutto per caso quando sono entrata distratta, chiedevo solo una via d’un negozio di stoffe. Tutto per caso quando il portiere gentile, mi ha scambiata deciso per una di quelle. Chissà l’avrà letto negli occhi, nel seno che mostro per vezzo di donna, dove lascio affondare casualmente le voglie, che discrete rimangono a distanza opportuna. Non ho fatto nulla per convincerlo d’altro, sono stata al gioco senza fatica, ed ora mi ritrovo tra i lampadari di gocce ad accavallare le gambe e fare la parte, accanto a questo profumo di rosso di rosa, che invoglio chi già sa cosa vado cercando.

Sento sotto la pelle un discreto piacere, e mi piace da impazzire essere unica e sola, dentro due occhi che colano voglie, che luccicano brama di prendermi ovunque, a costo di non riuscire a salire le scale, ad aprire la 114 in fondo a sinistra.
Chissà se riuscirò ad essere all’altezza, femmina intrigante quanto Luisa, ma mi piace vedere quest’uomo, incollato che freme su quell’alcantara, che cerca illuso d’indovinarmi il colore, la stoffa la trama e se porto fiocchetti, d’ogni piega che ondeggia alla luce soffusa, d’una lampada liberty su un marmo venato di rosa.

Non posso farne a meno, mi sento imbambolata, assuefatta dalla mia stessa bellezza, da questo uomo che di colpo è diventato più niente, di quanto non lo fosse prima d’entrare. Chi glielo dice a quelle di strada, che far la puttana non significa darsi? Che la carne la pelle non si vendono ad etti?
Chi glielo dice davvero che sotto la gonna, siamo uguali e non c’è differenza, siamo solo dei sessi per giunta bucati. Voragini nere per balie di feti, che lasciano all’uomo la voglia e il dovere, l’intrigo e l’impulso di riempirne l’assenza, il vuoto che chiamano istinto materno. Chi glielo dice che è proprio la gonna, il tacco che instabile preme, il laccetto che stringe la caviglia insolente, insomma la forma a farmi unica e rara, a far credere a quest’uomo che se ora volesse, che davvero nel mondo non ci sarebbe di meglio, che farsi una donna e farsela tutta, se solo ora m’alzassi camminando leggera, lasciando uno squarcio dentro i suoi occhi.

Ma io non mi alzo! Non ci penso nemmeno! Il portiere prenderà tutto il dovuto, tratterrà per sé il trenta per cento, ed il resto affinerà la superbia di una donna di classe, di questa rosa che stringo in mezzo alle gambe. Oddio come sono bella! Sarebbe stato un peccato scriverlo soltanto, ora davvero capisco Luisa, la stupenda Luisa che in cerca d’amore, si lascia sedurre dalla sua stessa bellezza, incurante al mattino di ritrovarsi da sola, dentro un letto disfatto e la signora che stira.

Dentro questi occhi orientali, incapaci d’assorbire altra bellezza, cresce il mio vanto d’essere femmina, proprio come Luisa che passa le sere, davanti allo specchio ad allungare i contorni, il trucco, il tempo, il rossetto, la voglia, per ritardare il momento d’accogliere un uomo, d’accoglierlo tutto dentro il suo letto.

Chissà se mio marito capirebbe quello che provo! Che tra le mie gambe c’è un buco di taglio, che non ha bisogno di carne e di sesso, di materia che entra per rabbonirne le voglie. Chissà cosa direbbe davvero, nel vedermi che ostento l’incavo del seno, che come un nido lo offro e lo dono, come tana ci cullo il desiderio scomposto, d’un uomo che muto suda e poi chiede, che fissa il merletto e non sta più nella pelle.
Eccolo! Tra poco si alza, lo vedo, lo sento, che niente a quest’ora sarebbe importante, che solo una fica può riempire il suo giorno, che giudica bella dalla gonna che porto.

Divarico leggera d’un niente le gambe, perché cada di colpo l’ultimo impaccio, riaggiusto la calza, la riga che sale, per mostrargli evidente che conosco il mestiere, il lavoro che tra poco mi reclama e mi spetta, se solo s’alzasse e domandasse al portiere, quanto gli costa pronunciare il mio nome, mentre tiene la gonna arrotolata sui fianchi. Freme e il sudore gli imperla la fronte, gli fa tremare le mani e gli ingobbisce le spalle, che già spioventi lo fanno più piccolo e basso. Eccolo s’alza, lo seguo con gli occhi, va dal portiere e chiede e mi guarda, sicura che chiede se sono impegnata, e quanto possa costare una donna di classe, che seduta accavalla le gambe, e mostra e non mostra il suo sesso spogliato.

Parlando il portiere mi guarda, già l’immagino come m’apprezza: “Signore mi scusi ma non è una professionista, dovrei convincerla a salire le scale. Ma se lei vuole posso provare. La vede come accavalla le gambe? La vede come socchiude la bocca? Sono gesti inconfondibili di una donna sposata, d’una signora per bene che non conosce il mestiere.” Li guardo e sono estasiata, sono io il desiderio e la brama, dell’uomo che vuole almeno provare, l’oggetto dell’altro che sta vendendo la merce, come il mio verduraio al mercato coperto. Il portiere esperto gli porge la chiave, la 114 in fondo a sinistra. “Signore, lei vada e rimanga in attesa, io intanto cerco di fare il mio meglio, di convincere una signora ad offrire il servizio.”

L’ometto sale ed il portiere mi fa un cenno d’intesa. Oddio, ma è vero! Il mio primo cliente, la mia prima scopata, fuori dall’odore di casa del letto, unico e solo che mi ha accolto finora. Il portiere sorride e pensa alla mancia, e con due mani fa segno che sono seicento. Oddio, ma davvero? Non riesco a pensarlo! Che la mia fica valfa uno stipendio e le mie gambe abbiano fatto l’effetto, scardinato la voglia fino a spogliare le tasche, d’un ometto che ora m’aspetta impaziente, che adesso mi vuole al piano di sopra.

Chi se ne importa se è piccolo e brutto! Se pelato mi bacia e risale le gambe. Chi se ne frega se per amore potrei trovare di meglio! Io vivo in una villa stupenda a due passi dal mare, lavoro per hobby ed uccido la noia. Ma ho bisogno di quei soldi, spalmarli sul viso come fossero crema, accarezzarmi le cosce per catturarne l’odore. Ho bisogno di dare sostanza all’emozione che offro, di farmi comprare come una mela, che luccica bella sopra un banco di frutta. Luisa non l’avrebbe mai fatto! Lei si dà per dare corpo all’amore, carne e materia che entra ogni notte, che all’alba poi esce allargando quel vuoto. Ma io non sono Luisa! Sono la scrittrice che muove le voglie, che ora si bagna e si sente regina, al solo pensiero di salire le scale e di esser confusa come una di quelle.

Mi alzo, sono pronta decisa. Sento i miei tacchi che vanno all’amore, sento il rumore che sa di puttana, lo strofinio della seta tra le mie cosce, che s’appagano e vanno per il gusto sublime di farsi guardare. Chissà se si accontenta di poco? Se dovrò spogliarmi appena mi vede, o lasciargli il piacere di sciogliere il fiocco, la lampo, il bottone, il gancetto, che scoprono in parte una femmina pronta, a calarsi mutande se almeno le avessi. Ma io non conosco i tempi, la durata e i dettagli, per dirgli che il tempo ormai è scaduto, per dirgli: “Su amore fai più in fretta, qualcuno di sotto irrequieto m’aspetta.”

Salgo le scale, mi s’ingrossa il respiro. Mi ripeto che sono una scrittrice d’amore e di sesso e non posso avere ansie e timori, sono una donna esperta almeno sulla carta! Respiro più a fondo per ingrossare il mio seno, per offrirlo decisa appena apre la porta. Salgo le scale: “Ma davvero lo sono? Come dire … mignotta?” Nessun’altra parola mi darebbe l’effetto, l’essenza di quello che faccio. La ripeto, la giro dentro la testa, l’allungo, l’accorcio per esserne certa, perché la mia coscienza capisca davvero, che sto offrendo me stessa dalle parti che altre, vorrebbero almeno un pretesto di cuore, uno straccio d’amore per allargare le gambe.

La 114 è in fondo a sinistra, mi sento pesante stordita e leggera, ad ogni passo un pensiero diverso: “Certo che posso, che sono all’altezza!” Ne ho descritti a migliaia di sessi a parole, ed ora non resta che provarne il piacere, come Luisa quando la faccio gridare, distesa nel letto o in ginocchio nel bagno, quando decisa sa d’antico mestiere, quando insicura lecca appena il sudore. “E se vomitassi quando gli lecco il sudore?” Ma ora sto volando e decisa m’affretto, consumando i passi di questa moquette. Ora sto danzando perché davvero lo voglio, 114 busso, tra poco mi apre.
Guardo in alto e fisso la porta. Chissà se è nudo o poco vestito, o mi darà il tempo di riprendere fiato. Ecco lo sento, vedo il pomello che gira. Abbasso gli occhi ed entro. Chissà se mi vede ancora più bella o la luce che entra mi smussa le forme, m’appiattisce il seno e mi rende insicura. E se ci avesse ripensato? Se ora cafone dicesse: “Mi scusi, ma mi ero sbagliato?” La stanza è grande piena di luce, non ho il coraggio d’alzare lo sguardo. “Signora la stavo aspettando.” Sento una mano sopra il mio fianco. Alzo lo sguardo. Oddio è nudo, nudo dai piedi alla testa.

S’avvicina e mi toglie la giacca, mi guida verso il letto, mi metto seduta. Sono impacciata devo fare qualcosa, ma sento l’odore della sua voglia che sale. S’avvicina e mi sfiora le labbra, poi scende e mi bacia il collo ed il seno. Come lumaca lascia una striscia, di muco e saliva durante il percorso. Come un cane s’accuccia per scendere ancora, ora è in ginocchio davanti ai miei tacchi, come un verme li lecca, l’appanna e li succhia. Ora risale e si concentra nel mezzo, dove prima cercava di indovinarne il colore. Non ce la faccio, non resisto all’idea, che tra poco il suo sesso farà lo stesso tragitto. Ora scoppio e mi do della scema, della masochista in cerca di schifo, sensazioni precise che smuovono il ventre, e risalgono acide dentro la bocca.

Lo guardo di nuovo, lo guardo decisa, ma non ha nulla che possa invogliarmi, turare il naso e la bocca per sopportare la vista, d’un essere informe invasato di sesso. Come ho pensato di sentirmi più bella? Come ho potuto credere davvero, che tra puttana e scrittrice non c’è differenza? Eccolo lo sento! Mi chiede se sono sposata, se sono madre di figli o una troia di strada. Oramai non demorde.
Mi spoglia e mi copre, mi stringe e mi tocca. Il suo sesso mi cerca, mi preme, mi sporca, invasato dal gusto di farsi una donna, e farsela tutta distesa e in ginocchio e farsela tutta da dietro allo specchio. Prendo coraggio e lo bacio, almeno per ritardare il momento. Chissà se si è accorto che provo ribrezzo, che in bocca si forma dell’acqua simile a sputo? Mi sta schiudendo le labbra e segue il contorno, per entrare tra poco adesso di colpo, per sentirmi invasata che grido e lo chiamo.

Oddio che pazza che sono! Davvero oggi non avevo altro da fare? Accompagnare a scuola figli e nipoti, o restarmene a letto fino all’ora di pranzo! Lo sento ansimare, sussurrare mignotta. Ecco l’ha detto! Ora davvero lo sono! Davvero lo sento che entra, che preme, che scava, che umido sale, e sale deciso fino al cervello, che mi blocca la penna e rimango sospesa, e incredula penso che se fosse un racconto, ricomincerei daccapo con un uomo stupendo. Se fosse un racconto…

Rido e mi desto, che scema che sono! Tiro il fiato e sorrido, ma un dubbio rimane, pensando a Luisa costretta a subire, a sopportare la mia voglia di farmi del male, di provare a capire qual è il punto preciso, dove l’umiliazione diventa piacere, dove l’insulto un godimento perenne, dove il racconto la vita reale.

 






 





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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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