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IL RACCONTO E' ADATTO AD UN PUBBLICO
ADULTO

LIBERAEVA
ORA GIUDICATEMI
Non giudicatemi male, non scaricate
la vostra morale sopra questa carne indifesa, non scatenate i vostri
principi, come conati di rifiuto, sopra questa donna che non conosce
ancora fine e certezza. Vi prego, non v'arrestate alla sola visione
d'avermi trovata in simile stato, in piedi e pressata, come
prosciutto e maionese.

Photo Rossella Viccica
Non giudicatemi male, non
scaricate la vostra morale sopra questa carne indifesa,
non scatenate i vostri principi, come conati di rifiuto,
sopra questa donna che non conosce ancora fine e
certezza. Vi prego, non v'arrestate alla sola visione
d'avermi trovata in simile stato, in piedi e pressata,
come prosciutto e maionese. Se la vostra coscienza
può attendere, non giudicatemi prima del tempo, prima
d'aver ascoltato ogni parola, d'aver carpito ogni scena,
e dietro di essa ogni risvolto di questa trama uscita
chissà da quale vena di sincerità. State comodi ed
ascoltate, non pensate alle vostre automobili lasciate
sopra qualche marciapiede, nessuno ve le porterà via!
Fuori piove, lo so, ma smetterà così che possiate
tornare tranquilli nelle vostre belle case accoglienti
senza un filo di pioggia sulle vostre pellicce o sulle
vostre giacche di cammello. Aprite i vostri cuori
come fate con i vostri sederi davanti al potere, come
fareste nelle situazioni dove non avete altro da
offrire, altro da barattare se non il valore, mai
riconosciuto, delle vostre convinzioni traballanti.
Anch'io un tempo ero come voi, come le vostre mogli, o
come pensate che siano fino a quando non rincasate ad
un'ora imprevista o state in un posto dove non dovreste
essere. Proprio così, identica ad ognuna di loro, piena
di fede e fedeltà, casa e famiglia, casta e pura, così
trasparente che non c'era alcuna apparenza ad impedire
di leggermi fino ai pensieri più profondi.
Mi
trascinavo nei giorni affidandomi ai valori sinceri dove
la ricerca costante di essere utile agli altri si
dilatava al punto di trascurare me stessa. Come le
vostre compagne, mi riempivo di disponibilità e
abnegazione nel servire ed essere servita, nel cercare
comunque le cause laddove la ragione non era evidente.
Il dovere m’aveva preso la mano fino a farsi cartilagine
e sangue, fino a ridurmi a pensare che l'infelicità
degli altri fosse dovuta unicamente alle mie mancanze,
la mia noia ai miei tanti difetti. Succhiavo forza ed
energia nelle piccole pieghe, come nell'orgoglio d'aver
risparmiato qualche spicciolo al mercato, nel veder mio
marito soddisfatto davanti ad un piatto di polpette o
mentre indossava camicie appena stirate.
Anch'io,
come penso di voi, come penso delle vostre mogli, andavo
a prendere mio nipote a scuola con la premura di fare
tardi e la pazienza d'insegnargli le addizioni con la
frutta di stagione. Ma un giorno mi accorsi che quel
mangiare di gusto non riempiva per nulla il mio cuore,
come del resto zelo e devozione appiattivano le
giornate, gonfiavano l'abitudine e non giustificavano il
fatto che io respirassi valutando me stessa sulla base
della considerazione che davo agli altri. E come di
giorno, la notte m'avvolgeva identica, misurando il mio
benessere su come e quanto mio marito fosse riuscito a
godere. Ma ogni volta m'arrendevo più tardi, nel letto o
appoggiata al davanzale, sentivo quei baci, quelle
carezze sui seni lontani, di quanto distanti già non
fossero dal mio cervello. Il contatto con la sua pelle
non lasciava strascichi d'emozione, non mi dava quella
spinta che in altri momenti sarebbe bastata da sola a
sciogliermi in orgasmi anticipati. Tutto era
rallentato, tutto scontato come la pioggia che bagna la
terra o il vento che asciuga le lenzuola. Non capite
male vi prego! Non voglio essere assolta se per qualche
inspiegato motivo dovrò per forza essere giudicata,
magari lungo la superficialità, e me ne rendo conto, che
i vostri occhi v'impongono vedendomi stretta tra carne e
fiati di chi meccanicamente sta facendo il proprio
dovere. In chiesa nelle feste comandate, come nelle
riunioni tra parenti nessuno avrebbe mai pensato che
dietro quella donna irreprensibile, dentro quei vestiti
grigi, quelle permanenti sempre in ordine, covassero
fiamme ed inferno, che nessun paradiso, nella sua più
benevola tolleranza, avrebbe mai accolto.
Nessuno poteva immaginare quanto tutto mi andasse
stretto, e quanto tra le mie gambe si concentrassero
insoddisfazioni e bisogno di essere altro. State fermi!
Lo so che non è il sesso la panacea di tutti i mali!
Come non è l’essere posseduta o il possesso la soluzione
alle proprie inquietudini. Ma io volevo andare oltre la
regola, l’educazione, scavandomi fino alla fonte della
mia nausea di vivere. Volevo assaggiare il sapore acre
delle contraddizioni. Avrei potuto accontentarmi di
ciò che altre non avrebbero chiesto di meglio, passare
pomeriggi interi in qualche boutique o a casa di
un’amica a giocare a canasta. Ma tutto ciò non faceva
parte di me e mi sentivo accomunata a coloro che per
soddisfare il proprio povero essere fanno incetta
d'avere e possesso perché in nient'altro trovano
appagamento. Ben inteso, possesso di essere e non di
avere!
Non fraintendetemi, vi prego! Non sto
cercando scuse e pretesti d'avermi scovata in questo
squallido posto che sa di polvere e solitudine, di
ascensori che salgono insieme e scendono da soli. E'
solo che in questo albergo ci passo pomeriggi interi ad
aspettare, ore viziose di asciugamani intatti e moquette
celeste per colui che mi riempia di soddisfazione e
stimoli con la sola sterile speranza che mi trascini
viva perché da nessuna parte di questo mondo ne ho
trovati altrettanti. E consumo sigarette e trucchi per
il solo gusto d'avere un'altra vita, un'altra faccia,
perché quella che mi guarda allo specchio non mi
somiglia per niente.
Ho tradito mio marito, lo
tradisco senza più domandarmi perché, senza più
domandarmi come potrei stare ora senza un amante, perché
da mesi e da anni non è più successo di passare un
pomeriggio da sola. Ma allo stesso tempo mi guardo allo
specchio di questo bagno rosa e nero, di queste
mattonelle romantiche e misteriose che sono la sintesi
di quello che ho sempre cercato. Mi dicono amore e
quello mi basta, senza mai domandare loro perché dopo il
gioco tutto svanisce, e l'amore diventa doccia e
pantaloni, scarpe che s'allacciano in fretta e poi
ascensori che scendono velocemente.
Ho solo un
banale bisogno che qualcuno mi chiami per nome, che
m'avvolga di pelle e considerazione senza quel velo
quotidiano di noia, quel perbenismo insipido che ci
impedisce di chiamare con il proprio nome le cose. Ho
bisogno di qualcuno che mi faccia volare dove ogni cosa
abbia il proprio contrario, dove il sogno s'avveri e
continui perché niente d'uguale incontri nemmeno per
caso.
Non ridete di me! Vi prego, non sono una
bambina che trova linfa e vita nei fotoromanzi fino ad
illudersi di ricominciare daccapo e vivere una storia
improbabile come se un contatore virtuale potesse
azzerare precedenze e passati. Semplicemente che mi
chiamassero amore! E solo dentro di me, perché è lì che
ne ho bisogno, costruirei ponti che congiungono isole,
mete e continenti attraversandoli senza la paura del
mare che si fa oceano e burrasca, nausea e vomito.
Perché il mare ce l'ho dentro, nel cuore, ed è, né calmo
né piatto, ma solo tempesta che travolge fegato e
cervello, tv, famiglia e divano fino a sciogliersi nel
ventre. In questo ventre burrascoso che ha bisogno
solamente di qualcuno che riduca la distanza delle
pareti, e calmi questo male di vivere che fa domande e
non avrà mai risposte finché non esaurirà anche l'ultima
domanda.
Tradisco per amore e per sesso ed alle
volte, quando rincaso mi trovo a non aver pietà di chi
m'ha consentito di ridurre la mia vita a commedia, di
chi m'ha permesso d'ingannarlo senza opporre resistenza,
di chi mi permette di calcare ancora la scena come sto
facendo in questo momento. E dargli un bacio sfuggente
con l'ansia e la voglia che quella sia la volta buona,
che l'odore di sesso di maschio s'insinui nei suoi dubbi
o che, semplicemente, se ne accorga gridandomi di rabbia
spontanea e finalmente ribelle, dandomi della vacca o
qualcosa di simile perché altro non vorrei che in quel
momento dicesse.
Sento l'ascensore che sale,
porterà coppie che cominciano ad amarsi per voglia e per
il tempo che poco rimane. Oppure sarà lui! Ma sento più
voci, forse saranno in due, sarà in compagnia di
quell'amico che nelle volte recenti s'è intrufolato
nella fantasia dei miei seni. Nel momento che la voglia
sale al cervello ed annebbia vista e ragione, sono
sicura d'averglielo detto, d'avergli giurato che lui da
solo non sarebbe mai bastato a spremermi l'ultima goccia
di coscienza attaccata alle membra. Sono in due, li
sento o almeno credo! Mi chiameranno ambedue amore, e
per nome m'inviteranno a sdoppiarmi per dare e
ricompormi per ricevere.
Fermi là! State
giudicando! Perché prenderne due insieme non è morale,
perché una donna non può degradarsi fino a tanto, fino a
confondere il bene al piacere, l'amore alle voglie che
autonome escono. Chiederò solo un po' di delicatezza
perché di più non saprei cosa chiedere quando si è
soddisfatte totalmente senza lasciare alla fantasia
quello che la realtà lascerebbe intatto e vuoto.
Sento una porta che si apre, ma non è questa. Non sono
loro. Aspetto. In fin dei conti non mi importa che siano
due, quello che vale è quest’attesa seduta su questo
letto, quello che conta è che sono qui invece di essere
altrove. Non giudicatemi, non ancora. In fin dei conti
non cerco solo l’emozione di un qualcosa che sta per
accadere, non voglio solo sentirmi viva. Voglio di più.
Sento altre voci, un ascensore si ferma al piano.
Eccoli sono loro. Sono in due! Ma non sono agitata,
perché dovrei esserlo?
L’amico è in giacca e
cravatta, dice di fare presto, come se fossi
un’incombenza da sbrigare più in fretta possibile. Forse
avrà un appuntamento. Io sono di spalle e non mi vede,
abbassa la cerniera senza nemmeno guardarmi, senza
nemmeno costatare come sono le mie tette oppure la parte
di me con cui farà l’amore o qualcosa di simile. Il mio
amante invece mi guarda negli occhi ed io mi sento alle
stelle. Eccoli sono pronti, tutti e due in piedi, io in
mezzo a loro e l’altro dà il via.
Esperti e senza
fatica mi colmano di considerazione mentre mi affogano e
mi saziano nel mare del bisogno. Mi prendono e si
guardano in faccia mentre parlano di un ristorante, di
una cena, di bionde e di more che stasera godranno i
loro favori, che stasera qualcuna carponi abbaierà alla
luna. Ma non l'interrompo, non vorrei che rallentassero
quell'impercettibile niente che il mio corpo
avvertirebbe come brusca frenata, come sosta forzata che
allontana la meta.
A ritmo e simultanei senza
perdere colpi mi saziano senza sapere quale parte di me
reclama ancora piacere e quale invece s'assopisce
obbediente. Ora li sento alternati, come due macchine si
sfasano e s'allineano, perdono colpi e poi recuperano,
senza lasciarmi un attimo di pausa, e mentre uno esce
l'altro entra ed affonda senza lasciarmi per un attimo
vuota, per un attimo priva di questo dovuto che reclamo
con tutta me stessa.
Conosco il desiderio del
maschio, che non è fica, che non sono due tette o un
sedere rigonfio, mi prendono solo per sfinirmi, per
avere ragione, per avere la meglio su un corpo che sta
lì per alzare bandiera. Ed allora quei colpi diventano
sempre più maschi, incessanti, penetranti e veloci. Sono
qui tra loro, oggetto che s’accoppia e si sdoppia per
essere unica. I loro fiati diventano caldi, i loro sessi
punteruoli che mi bucano l’anima, ecco li sento, sono
eccitati. Voglio il loro orgasmo! Cosa darei ora se
arrivassero insieme! C’è uno specchio in fondo alla
sala, mi guardo e provo un infinito piacere per essere
contemporaneamente l’unico desiderio di entrambi.
L’amico mi dice bella, l’amante puttana, ma sono sempre
io, la sola unica donna che esiste per quanto gode e fa
godere.
Ecco sì, guardatemi anche voi, guardate
i miei seni vogliosi, le mie cosce capienti, i miei
vuoti che offro, perché tra poco tutto finirà, ma non
voglio che tutto finisca con una fine, non voglio farmi
vedere ai vostri occhi appagata, perché comunque domani
sarà lo stesso. Voglio che tutto rimanga in movimento,
che s'abbassino le luci, che cali il sipario, mentre
ancora i loro membri si nascondono ai vostri sguardi,
nel piacere del mio corpo che ancora può offrire. Voglio
che ora, soltanto ora, non proviate pena per me, perché
io sto bene e non potrei stare meglio, perché solo ora
la consapevolezza del mio essere si rischiara nella luce
del piacere che provo, dei riflettori in sala che
m’illuminano nuda. Ora giudicatemi!
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Questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
persone è del tutto casuale.
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