E mi piace raccontare la perdizione di
uomo infatuato di una donna e mi piace raccontare il
vizio, la colpa ed il peccato, i presupposti per i quali
una mente viene attratta e poi soggiogata e poi
asservita. E mi piace raccontare la storia, i risvolti
ed i dettagli, anche se lui Florentin è un uomo
insignificante, forse solo un ragioniere, un
frequentatore di bar, forse solo belga, e lei la bella
Klàra, d’origini ungheresi, ma non è un granché, forse
solo una ballerina anche se non sa ballare, forse solo
un’intrattenitrice di sera nei locali o una venditrice
di champagne ovviamente a poco prezzo. E mi piace
raccontare dell’altra lei, Ayla, che dicono sia mia
madre, sicuramente per caso, perduta nell’amore, ma non
del proprio figlio, oppure di lui, Said, che dicono sia
mio padre, che dicono musulmano, ma io, cattolico,
fedele alla Santa Romana Chiesa, non l’ho mai
conosciuto. Mi chiamo Vincent Pierre Van de Roy,
sono belga, almeno dicono i miei documenti, e come
dicevo mi piace raccontare questa storia e mi piace
ambientarla in Turchia più propriamente negli anni
Sessanta, più precisamente sulle rive del Bosforo,
perché lì sono nato, da cinquant’anni e più, nella
magica Istanbul avvolta da un'atmosfera languida e
un’aura eccitante di velata depravazione.
Sullo
sfondo le torri del Solimano, la Moschea Blu e la torre
di Galata, sullo sfondo gli splendidi giardini del
Califfo, i bazar delle stoffe, i mercati delle spezie,
dentro una città bastarda, incrocio di popoli ibridi,
linea di confine, frontiera senza dogana, tra l’Asia e
l’Europa, sullo sfondo culture incomprensibili e la luce
dei caicchi che scintilla sull’acqua del Corno d’oro
all’ora più o meno del tramonto quando il ventaglio dei
minareti e delle cupole dorate si allarga a raggiera
contro il cielo rosso purpureo.
Oh sì è uno
spettacolo magnifico, suggestivo per i venditori di
parole, per mercanti d’ogni fumo, eccitante per uomini
soli, scapoli e millantatori in cerca di bordelli, per
artisti in cerca di ispirazione, per pittori con le tele
bianche e ultimo per chi è sensibile d’animo ed è
proprio qui che ho visto la luce ed è qui che ora torno,
lungo le mie origini dove ora Florentin passeggia, lungo
il solito tragitto che fa quattro volte al giorno, da
casa di Omar al suo ufficio. Ed è proprio qui che si
lascia alle spalle la ricca Istanbul, i venditori di
tappeti, i mercanti ebrei e i finanzieri col cappello,
qui si addentra lungo i vicoli scuri stipati di melma,
piscio e delinquenti. Ed è proprio qui che escono
violenti, dalle case fatiscenti, odori forti di cibo
carico di spezie, zafferano, aglio, pepe e cardamomo,
intolleranti come le mosche che a sciami aggrediscono i
passanti, quasi insopportabili per noi occidentali, per
lui Florentin rampollo di una insulsa borghesia.
Lui cammina da queste parti per abbreviare il suo
percorso, in effetti è decisamente una scorciatoia anche
se maleodorante, anche se insidiosa. Dalle finestre ai
piani superiori qualcuno butta secchi d’acqua sporca,
altri, seduti ai tavolini dei bar malfamati, lo guardano
come fosse un colpevole, non importa cosa abbia fatto,
perché lui sia lì, con i gemelli d’oro finto e le scarpe
di vernice. E’ lì e questo è tutto. Con la sua presenza,
col suo cappello bianco e il suo unico bel vestito sta
deridendo le loro condizioni, sventrando il loro privato
losco e illegale. Dentro le case buie al pianterreno
ragazze giovani dietro grosse tende colorate fanno
l’occhiolino, lo sanno che è straniero e per questo
vogliono a tutti i costi fargli capire che loro sono in
vendita, ma sono discrete e rimangono ben nascoste,
perché l’attività è tollerata, ma pur sempre
clandestina. Lo chiamano bel signore, fanno intravedere
le loro forme, dai grandi seni come matrone, come turche
ed ottomane, dai seni scarsi come ancelle, e gli dicono
aşk che significa amore, gli sussurrano seks se per un
caso strano non avesse ancora capito.
Ed è
proprio qui, nei paraggi di Tarlabaşı, la colonia
genovese di Costantinopoli a due passi dall'Accademia di
Francia e il Consolato di Svezia, a due passi dai bei
locali e bar per turisti seduti ai tavoli che ascoltano
musica e bevono il famoso raqi, il prelibato distillato
di anice. Ecco proprio in questo cono d’ombra di muffa
ed immondizia, mai illuminato dal sole, mai asciugato da
quella brezza fina dell’oriente, che Florentin incontra
quello che ha deciso sarà il suo destino, ovvero vede
lei, l’icona di bellezza, la madonna delle grazie, la
Vergine in prima fila, insomma lei, la ballerina,
avvolta nel fascino oscuro di uno scialle nero. Nero
come i suoi capelli, nero come le sue sopracciglia folte
che risalta ancor più la luce dei suoi occhi, celesti e
gialli come i riflessi della Moschea Nuova o come il
faro di Istanbul a mezzanotte.
Lui guarda
l’orologio e sa che il destino non aspetta, anzi bisogna
aiutarlo e allora rallenta, impercettibilmente rallenta
in modo che in un certo punto indefinito di quella
strada si possano incontrare. Non è la prima volta che
la vede, neanche la prima che rallenta o leggermente
accelera. Sorpreso non si domanda come mai sempre alla
stessa ora, sempre allo stesso posto, ignorando che a
volte il destino ha bisogno di due volontà perché si
realizzi un desiderio. Ma lui a questo non ci pensa o
forse non è importante, preso come è preso da
quell’effimero effluvio. Forse se ci pensasse sarebbe un
vanto perché saprebbe che anche lei rallenta od accelera
e sempre per quel destino che a volte insolentemente
pigro occorre aiutare. Come ogni giorno lei gli
passa accanto, per puro caso o forse per quel destino, e
come al solito quasi si sfiorano, lei sorride e chiede
scusa. Lo chiama Monsieur, ma non è un Monsieur normale,
è un sussurro avvolgente che sa di benvenuto, è un
qualcosa che sa d’albergo, sa di lusso a cinque stelle.
Sa di cosce aperte e disponibili al sapore di viole,
almeno a lui pare e come al solito quasi sviene,
comunque ha un mancamento e si ferma per un istante,
stordito da quella scia di profumo, un magico odor
d’Oriente, una nuvola evanescente che galleggia ed
ancheggia sopra le pietre umide malmesse. Lui ogni
volta si domanda come sia possibile che un essere così
fragile, così etereo, quasi un’ombra senza carne ed
ossa, ma così leggiadra e piena di grazia frequenti
quella zona e come possa camminare sopra quei tacchi.
Tutti i giorni la vede andare e sparire dietro un
vicolo di muffa, finora si è sempre chiesto dove porti
quella strada, cosa ci sia dietro quell’angolo, ma oggi
è diverso, nonostante abbia fretta la segue per quelle
viuzze, lei sembra conoscerle a memoria, e lui si rende
conto che non può fare a meno di seguirla. Sì in effetti
ha l’aria da ballerina, ha le gambe magre ed il bacino
stretto, sicuramente non è di queste parti, sicuramente
ci lavora. La segue ancora, a debita distanza, la donna
cammina spedita nonostante i tacchi, sembra un’attrice
vestita già da scena, una commediante già carica di
trucco, sotto lo scialle porta una gonna, lunga
argentata, sotto la gonna un paio di calze, forse
francesi a trama leggera di seta nera. Ma il tragitto
è breve, non ci sono misteri da scoprire o una lunga
attesa per trattenere il fiato, ancora solo qualche
metro e all’altezza di Halas la donna senza voltarsi
entra in un locale. Florentin è quasi deluso, forse
avrebbe voluto che lei lo salutasse oppure, sapendo di
essere seguita, che almeno lo invitasse, ma per il
momento lui rallenta, in dubbio su come procedere si
accende una sigaretta, poi fa ancora qualche passo e si
ferma sulla porta.
Ecco ora è lì, apparentemente
senza alcun motivo, indugia e si sente solo e
inopportuno. E allora per non sentirsi inutile e perché
la strada e il suo ardire non siano stati vani sbircia
dentro il locale. Un uomo robusto ed elegante, vestito
di nero e papillon esce dalla penombra e lo invita ad
entrare. Lui togliendosi il cappello lo saluta, ma
declina gentilmente l’invito e intanto guarda dentro
quell’oscurità fitta. Scorge a malapena solo contorni
sfumati e luci soffuse, forse la forma di una ballerina,
forse quella di un cameriere. Guarda l’insegna: “La Dame
de Pic”. Una musica moderna, quasi americana esce in
strada, ma non si sente sicuro, forse per via di
quell’uomo che insistentemente lo invita ad entrare,
forse per quell’atmosfera cupa per turisti in cerca di
distrazione e poi ora ha altro da fare, deve correre al
Consolato, consegnare i documenti tradotti, e poi ha un
appuntamento con Omar per la nuova casa. Il turco lo ha
pregato di non tardare.
Beh sì, seguendola,
aveva pensato a qualcosa di più concreto. Sta di fatto
che si rimette il cappello, saluta l’uomo e scuote la
testa. Sarà per stasera, oppure dopo cena se la fortuna
lo assisterà.
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