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Adamo Bencivenga
Sliding Doors
Il destino non bussa mai due volte
La donna in
coda stava aspettando disciplinatamente la metro, direzione Forest Hills.
Poco dietro di lei Burt la vide con quel cappello nero a falde larghe,
troppo pesante per quella stagione, come del resto il suo tailleur di
panno attillato e le calze nere con la cucitura dietro che correva dritta
e perfetta lungo la gamba.
Burt non poteva non notarla, era
estremamente elegante, vestita da amante o da donna del capo, uscita da
qualche film in bianco e nero degli anni trenta. Ad un tratto la donna
scostò la veletta e portò il suo fazzoletto di seta agli occhi. Stava
piangendo, Burt se ne accorse e come gli capitava spesso cercò nei suoi
pensieri un motivo plausibile: forse per un addio o forse perché poco
prima aveva appreso che sua madre non ce l’avrebbe fatta in quel letto
d’ospedale, pensò lui con il suo giornale intatto in mano ancora da
leggere.
Da quel momento i suoi occhiali da vista non si persero
un benché minimo gesto di quella donna e quando vide il trucco solcarle il
viso, chissà perché poi, Burt ritornò alla sua prima ipotesi. La causa era
decisamente un addio, forse lui era sposato ed aveva voluto troncare quel
rapporto e lei troppo innamorata non riusciva a farsene una ragione.
Oppure lui aveva conosciuto un’altra, forse solo una scappatella, del
resto capita spesso alle belle donne di essere tradite! “Ma come si fa a
lasciare una donna così?” Disse sottovoce Burt scuotendo la testa.
Erano le cinque e un quarto, l’ora dei pendolari, l’ora in cui Boston
si svuotava completamente e si riempivano i villaggi periferici. Burt,
preso da quella visione, non si dava pace, avrebbe voluto abbracciarla,
farle sentire tutta la sua discreta vicinanza, perché non c’era malizia
nei suoi pensieri, perché lui era un tipo che si commuoveva facilmente
quando vedeva una donna piangere, era un gesto così, naturale ed
istintivo.
Erano praticamente affiancati, in coda su due file
parallele, diretti per destinazioni opposte. Lui la vide frugare nella
borsa, prendere il suo telefono, forse per controllare se nel frattempo
qualcuno avesse chiamato o mandato un messaggio. Lui era a un metro da
lei, fece un altro passo in avanti e mezzo di lato. Sì lo sapeva che era
solo uno sconosciuto, che nessuna donna si sarebbe mai fidata di un uomo
mai visto prima e incontrato sotto la metro. Ovvio che per scambiarci
almeno una parola avrebbe dovuto cercare l’occasione giusta.
Sperò
in quel momento che l’altoparlante annunciasse un’interruzione della
linea. Certo quella sarebbe stata un’occasione appetibile, ma per sua
sfortuna non c’era alcun guasto per cui si rese conto che se avesse
continuato a stare su quella coda non avrebbe mai preso la stessa metro
della donna e quindi non avrebbe avuto altre occasioni e quindi per sua
volontà avrebbe rinunciato a tutta quella fortuna sputando in faccia al
destino.
No, no, doveva agire. “Quando mai mi ricapiterebbe una
situazione del genere?” Pensò Burt fissando quell’angelo biondo che
inconsciamente le stava chiedendo aiuto. Lei in quell’istante aveva
bisogno di lui o quanto meno di una parola di conforto che solo lui in
quel momento avrebbe potuto darle. Lui era in pole position, primo anche
dell’uomo che la stava facendo soffrire. Del resto Burt era bravo con le
parole, ci sapeva fare, le usava per mestiere e non a caso era stato
promosso da poco a capo redattore del Post.
“No non era
possibile!” Pensava, avrebbe voluto rivolgerle almeno una parola, ma Burt
era timido, lo era sempre stato, e poi mai avrebbe voluto che la donna si
fosse accorta di essere notata, che per quella circostanza fortuita fosse
entrato nella sua intimità e di conseguenza la stesse seguendo per
approfittarne chissà poi di cosa. La sentiva vicino, certo, ma non la
conosceva, non sapeva nulla di lei e per qualche diavolo di ragione fosse
in quello stato, ma lui sapeva che a volte una sola stupida battuta
sarebbe stata sufficiente per sentire una persona vicina, come se fosse
stato suo fratello, un amico molto intimo, insomma uno di famiglia.
I secondi passavano inesorabilmente e lui era sempre lì, in dubbio se
parlarle o fare scena muta. Guardava il tabellone, ancora qualche minuto e
sarebbe sopraggiunto il convoglio di lei. Guardò di nuovo l’ora, erano le
cinque e diciotto, se per caso la donna avesse accettato di parlargli
l’avrebbe invitata lì al bar della stazione. Sarebbero rimasti lì, il
tempo necessario per farla calmare, per ridarle almeno un po’ di gioia.
Lui avrebbe fatto sicuramente tardi e allora pensò a quale scusa mettere a
sua moglie, a qualche incontro non previsto, magari con un suo ex compagno
di baseball, proprio lì sotto la fermata della metro arancione. Non gli
venne in mente altro, ma ci avrebbe pensato dopo aver salutato la donna.
Per ora doveva ancora conoscerla, sperare che lei accettasse le
sue parole di conforto, che poi le rispondesse, che accogliesse il suo
invito per poi sedersi in quel bar. Cosa, del resto, alquanto improbabile,
visto che la donna finora aveva guardato sempre in basso e non si era
accorta della sua presenza. Allora pensò di cambiare coda e prendere lo
stesso treno di lei, certo non era una grande idea, ma avrebbe avuto
senz’altro più tempo. Si guardò intorno, sapeva che non avrebbe potuto
farlo, il suo biglietto non sarebbe stato adatto per quella corsa, ma in
un momento di distrazione dell’addetto in divisa, colse l’occasione e si
spostò proprio dietro la donna, nella stessa coda in direzione Forest
Hills. In quell’attimo sorrise, lui non conosceva quel quartiere visto che
la sua direzione era Oak Grove completamente dall’altra parte della città
ed a diciotto chilometri di distanza.
Ecco sì, ora era dietro di
lei avrebbe avuto modo di rivolgerle la parola, lamentarsi del cronico
ritardo dei treni o dello scarso servizio, ma esitava, pensava ad una
scusa più intelligente e a quanto fosse fortunato perché in fin dei conti
aveva un vantaggio enorme su tutti gli altri, infatti nessuno di quella
folla si era minimamente accorto del pianto della donna. Sì decisamente
era fortunato, ma non voleva essere inopportuno, magari chiedendole
direttamente il motivo di quella tristezza rendendosi conto, allo stesso
tempo, che non le avrebbe potuto parlare di quella lunga attesa o dello
scarso servizio rischiando di apparire insensibile.
Allora
aspettava, aspettava l’occasione, ora era su quella coda e avrebbero preso
la stessa metro, avrebbe fatto in modo di sedersi accanto a lei, a quel
punto sarebbe stato più facile, perché due passeggeri seduti accanto in un
treno avrebbero avuto tutto il diritto di scambiarsi qualche parola. Pensò
più volte a questo scenario e si sentì decisamente più rilassato e tra le
altre cose
l’addetto non si era accorto di quel cambiamento di fila.
Tutto ok, finché un tarlo più grosso si infilò nei suoi dubbi. E se lei
non avesse preso quella metro? Se avesse ricevuto una telefonata e per
qualche altro motivo si fosse sfilata dalla coda? “Del resto non è mai
troppo lineare il destino!” Pensò Burt convinto che forse sarebbe stato
meglio rimanere nell’altra coda, almeno fino a quando non avesse avuto la
certezza che lei avrebbe preso il convoglio in direzione di Forest Hills.
Certo, si sa che la vita è un eterno Sliding Doors e ti offre
occasioni che mai avresti previsto. Stando in quella coda stava solo
agevolando il destino, ma è proprio l’imprevedibilità del destino a
rendere estremamente interessante l’esistenza. Gli venne in mente il
giorno in cui aveva conosciuto sua moglie Katy, in quel pomeriggio di
sette anni fa. Boston era sotto una pioggia intensa e lui se non fosse
entrato in una sala da thè in attesa che spiovesse non avrebbe incontrato
per la prima volta Katy. Lei era seduta in uno dei tavoli accanto alla
vetrina che fissava la strada bagnata aspettando una sua amica che non
sarebbe mai venuta all’appuntamento. Ecco se non avesse piovuto, se fosse
entrato in un altro locale, se si fosse portato l’ombrello da casa non
avrebbe avuto il bisogno di entrare in quella sala, come del resto, se
l’amica di Katy si fosse ricordata di quell’appuntamento non avrebbe
permesso quell’incontro.
Burt scacciò da suoi pensieri quel
piacevole ricordo, ora aveva altro da fare. In quella fila sentiva
chiaramente il gradevole profumo alla violetta della donna. Dio come
sarebbe stato bello ora averla tra le sue braccia, non so, baciarle il
collo e stringerla forte a sé. Certo avrebbe dovuto su due piedi trovare
un motel oppure un albergo a ore. Cercò nella sua mente qualche indizio,
finché gli venne in mente l’Hotel Surprise, molto elegante e pieno di
stelle. Aveva anche un ottimo ristorante in terrazza e dopo l’amore quel
posto sarebbe stato un rifugio gradevole per raccontarsi reciprocamente le
proprie esistenze.
Burt fissava quelle belle gambe dritte fasciate
di nero. La immaginò in quella stanza seduta in poltrona, poi distesa sul
letto con la gonna leggermente sollevata in modo da ammirare il suo
candore e la sua bellezza. Avrebbero parlato certo, ma poi si sa come
vanno queste cose. Ogni donna ha un modo diverso per dimenticare, ma
tutte, indistintamente tutte, si lasciano rapire dall’insostenibile gusto
della vendetta e lui sarebbe stato ben felice di essere lo strumento di
quel chiodo schiaccia chiodo.
Burt ammaliato dal quel profumo
continuò a farsi rapire dal suo ottimismo, ma sapeva benissimo che il
destino era alquanto beffardo e non bisognava seguirne la linearità, ma
captare l’imprevisto. Per cui senza esitare chiamò l’addetto e gli fece
vedere il suo biglietto: “Signore, mi scusi, credo di aver sbagliato coda,
ma non vorrei rifare di nuovo la fila.” L’addetto lesse la destinazione e
gentilmente lo fece accomodare nell’altra coda, proprio accanto alla
signora. Ora erano di nuovo appaiati, ma su due file differenti e quindi
due destinazioni opposte.
Proprio in quell’attimo la donna
ricevette una telefonata. Burt pensò che fosse il segnale giusto! La donna
riattaccò quasi subito, ma ora appariva rilassata e di colpo smise di
piangere. Dopo qualche secondo arrivò il convoglio in direzione di Forest
Hill, le porte si aprirono, lei stava per salire, ma alla fine, come aveva
previsto Burt ci ripensò, si fece di lato cercando di chiamare l’addetto.
A quel punto Burt prese al volo l’occasione sperata e le rivolse la
parola: “Oh signora, prenda il mio biglietto.”
“Lei è molto gentile,
ma non credo sia il caso.”
“Come vede questa coda è molto lunga e dovrà
aspettare almeno 15 minuti e lei ha già fatto la fila.”
“E lei?”
“Tranquilla ne ho un altro.” Ovviamente Burt stava mentendo.
Contemporaneamente arrivò l’altro treno in direzione opposta e nella
confusione la donna guadagnò il posto davanti a Burt. Lei non smise di
ringraziarlo, poi salirono insieme e presero posto uno accanto all’altra.
Burt non si fece scappare l’occasione.
“Mi perdoni, ma prima
l’ho vista piangere. Spero niente di grave.” Disse Burt con tutto il
coraggio a sua disposizione.
“La vita ci riserva terribili amarezze,
alle volte si crede di essere in fondo al tunnel e di non rivedere mai più
la luce, ma poi c’è sempre uno spicchio di sole all’orizzonte e si torna a
sperare…” “Mi permetta di dirle che sono estremamente felice, sa in
quel momento ero così triste per lei che ho sentito un forte desiderio di
abbracciarla.” “Lei è molto gentile, per fortuna non ce n’è stato
bisogno.” “Del resto è brutto approfittare delle disgrazie altrui.”
“Tranquillo tutto si è risolto ed ora sono nello stato d’animo giusto per
sorridere alla vita.”
“Spero di averle portato fortuna…”
“Non starei
qui a parlare con lei, non crede? La sua cortesia è disarmante, non si
incontrano spesso uomini come lei, mi creda!”
“Posso chiederle il
motivo di quel pianto struggente?”
“Oh signore, è una storia lunga…”
“Mi scusi se sono stato indiscreto.”
La donna a quel punto si lasciò
andare ad un sorriso smagliante, alzò la veletta e lo fissò negli occhi.
“Ma no, non dica così. Anzi sa che le dico? Che se lei avesse qualche
minuto da dedicarmi domani pomeriggio, potremmo incontrarci al bar sotto
il mio ufficio.”
Burt stava galleggiando in un brodo di giuggiole,
non riuscì a spiccicare la benché minima parola: ma era possibile che il
destino lo stesse ancora aiutando così sfacciatamente? Non ebbe
immediatamente la prontezza di chiederle dove lavorasse e questo fu il suo
più grande rammarico. Comunque cercò di rilassarsi, ma non fece in tempo,
perché proprio in quel momento vide il berretto inconfondibile del
controllore spuntare dal fondo del vagone.
Si rese conto di non poter
fare nulla se non quello di aspettare sperando ancora nella buona sorte,
ma l’addetto si avvicinò e chiese il biglietto alla donna che prontamente
lo esibì, poi lo chiese a Burt, il quale imbarazzato e sotto lo sguardo
degli altri viaggiatori dovette ammettere di esserne sprovvisto.
Il colore della sua faccia diventò prima rosso e poi viola. Mai si era
sottoposto ad una vergogna simile. Farfugliò qualcosa e la donna per lo
stesso motivo si voltò verso il finestrino facendo finta di non
conoscerlo. All’addetto non rimase altro che procedere con la multa
chiedendo le generalità e poi invitarlo a scendere alla fermata
successiva. Lui si alzò sperando che la donna lo seguisse, o quanto meno
che lo giustificasse raccontando l'accaduto oppure in
ultima analisi che gli dicesse al volo l'indirizzo del
suo ufficio, ma la donna
rimase mua e incollata al suo sedile con il volto coperto dalla sua
veletta. Burt a quel punto si rese conto di non poter
chiedere altro alla sorte.
Uscì dal
treno, si rimise il cappello, fece un nuovo biglietto e sulla banchina aspettò
il convoglio per la direzione opposta. Addirittura sorrise, certo sì,
quella giornata non si era conclusa come avrebbe voluto,
ma per la prima volta in vita sua aveva osato cercando
di aiutare il destino, beh sì qualcosa era andato
storto, per la prossima volta avrebbe dovuto affinare la
sua strategia, tenendo conto che il destino non è come
il postino e quindi non bussa mai due volte, ma per il
momento era
decisamente soddisfatto di se stesso.
FINE |
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
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