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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Una storia maledetta
L’architetto, la moglie, l’amante.




 


PROLOGO
E si sa come vanno queste cose, si sa come vanno quando un delitto sconvolge la vita di un piccolo paese di poche anime. Qui siamo in Veneto, precisamente nel trevigiano, qui tutto profuma di Prosecco, di radicchio e di asparagi di Cimadolmo, qui tutti si conoscono, quasi tutti sono imparentati e la vita scorre tranquilla lontano dal turismo chiassoso di Venezia e dalle spiagge dorate di Jesolo.

Dicevamo tutto scorre come un tranquillo come le acque del fiume Sile finché un giorno, una signora di bell’aspetto, mora di trentasette anni sta facendo rientro a casa con la sua Classe A bianca, alla radio ascolta Jovanotti che canta Baciami ancora. A lei piace quella canzone, forse la interiorizza, la sente sua e allora la canta a voce alta guidando lungo la strada provinciale. Forse pensa al marito, forse ad un altro uomo comunque la canta.
Siamo nel marzo del 2010, è un pomeriggio feriale, all’incirca sono le 18 e 30, lei, la signora Stefania, la macchina percorre il lungo viale illuminato dai fari e costeggiato da pini della sua bella villa coloniale. La donna si ferma sul piazzale e aziona il telecomando. La serranda sale, lei entra. Il garage ha una scala interna che porta al primo livello della casa per cui la serranda automaticamente dopo alcuni minuti si richiude da sola, ma quel pomeriggio, qualcuno appostato nella penombra del giardino, di nascosto si infila nell’autorimessa prima che la saracinesca si richiuda.


IL DELITTO
La casa è vuota, la signora Maria, la colombiana che fa le pulizie è uscita da circa un’ora. Nessuno sente nulla. Tutto silenzio per almeno un’ora, fino a quando il marito Paolo, un noto architetto della zona, fa rientro a casa. Ferma la macchina sul piazzale antistante e nota qualcosa di strano, la serranda non è abbassata totalmente, comunque aziona anche lui il telecomando e poi entra con la sua bella BMW color blu elettrico. Appena entrato si mette le mani nei capelli, sul pavimento ci sono macchie di sangue, l’auto della moglie non è parcheggiata al solito posto, lo sportello è aperto. In preda al panico non sa che fare, terrorizzato chiama immediatamente il 118 senza uscire dalla macchina.

Le forze dell’ordine sopraggiungono rapidamente sul posto e dopo circa cinque minuti aprono il portabagagli e trovano il corpo della donna. Le chiavi sono ancora inserite nel cruscotto, mentre il telefono della donna è sotto il sedile anteriore destro. La donna invece è stata picchiata violentemente, poi legata e imbavagliata con del nastro adesivo da pacchi sulla bocca. Ha un grosso taglio sulla testa, non ci sono ferita da arma da fuoco. È seminuda, ha la gonna alzata e il maresciallo non può non notare un meraviglioso paio di autoreggenti nere, una mutandina di pizzo e un reggicalze lilla. Immediatamente pensa ad uno stupro o quanto meno ad un rapporto di sesso passionale finito in tragedia, ma le mutandine sono perfettamente intatte e la modalità con cui è stata legata esclude per il momento quell’ipotesi. Il medico legale in seguito confermerà che la donna non ha avuto alcun rapporto sessuale recente e sul suo corpo non ci sono tracce organiche.


LE INDAGINI
Scattano immediatamente le indagini, e la prima cosa che si fa in questi casi è scandagliare la vita e l’ambiente in cui vive la vittima e soprattutto chi sono le ultime persone che ha visto e frequentato la donna immediatamente prima del delitto. Quindi vengono a sapere che la donna ha passato il pomeriggio nella casa paterna in compagnia dei suoi genitori a qualche chilometro di distanza dal luogo della tragedia. Il marito, l’architetto Paolo, l’uomo che ha dato l’allarme, è una persona benestante e rispettabile, un professionista di 45 anni. Nulla sul suo conto, nessun precedente, a parte una storia di fatture false da cui è uscito completamente pulito. Suo padre, anch’egli architetto, ha una delle aziende di costruzioni più famose e fiorenti della zona. Lei, la signora Stefania, ovvero la vittima, è di umili origini, figlia di un cameriere e di una infermiera. I due si sono conosciuti sin da quando erano studenti all’università di Ca’ Foscari, dopo un periodo di convivenza si sono sposati. Non hanno figli, lei circa un anno prima era rimasta incinta, ma per problemi di salute non aveva portato a termine la gravidanza.

Visto l’ingente patrimonio di lui e soprattutto della sua famiglia, le indagini si dirigono immediatamente verso un tentato rapimento a scopo di estorsione andato a male, poi però anche questa ipotesi viene scartata in quanto i banditi avevano tutto l’interesse a mantenere vivo l’ostaggio e in questo caso si tratta tra l’altro di una donna indifesa e non certo con la forza di reagire. Qualunque sia stata la reazione della donna, esperti del crimini, in quella situazione molto favorevole e col tutto il tempo a loro disposizione, non si sarebbero mai trovati impreparati. Quindi si pensa a banditi disorganizzati e senza scrupoli. Si pensa ad una nuova banda del Brenta o qualcosa di simile anche se qualunque sia stato il livello dei malviventi riesce difficile pensare ad un rapimento, ma piuttosto a dei delinquenti che avevano un solo scopo ovvero quello di uccidere! Cosa mai avrà fatto la donna per meritare quella fine orribile?


IL NOTAIO
Questa è una storia maledetta e gli inquirenti si rendono conto di troppe anomalie, qualcosa non va, non escludono alcuna pista, anche nell’entourage familiare, anche se, sia il marito che la famiglia della vittima, sono molto attivi e collaborano alle indagini. Si cerca di approfondire la vita della donna, si pensa ad una storia parallela, del resto lei è una bella donna e al maresciallo quelle autoreggenti nere e quelle mutandine di pizzo non sono passate inosservate. Quindi in poche parole si cerca un amante e da alcuni scontrini trovati in casa si risale ad un motel della zona, e da quel motel alla fine viene fuori che in effetti un uomo c’era, nella persona di un notaio sposato, padre di tre figli e nonno di cinque nipoti.

L’anziano signore aveva conosciuto la donna circa un anno prima a Treviso per una questione di eredità. Interrogato, il povero notaio, conferma di aver incontrato la donna e di essersene infatuato per l’eleganza e per la sua sensualità. Dice anche che la signora Stefania all’inizio sembrava molto disposta ad iniziare una relazione, anche sessuale. Dopo varie telefonate piuttosto bollenti la signora aveva accettato quell’invito al motel ovviamente con tutte le precauzioni e la riservatezza del caso.
Durante quell’interrogatorio il notaio conferma infatti di essere uscito con lei una sola volta e di essersi intrattenuto nel bar del motel, ma di non essere salito con lei nella stanza al piano di sopra seppur prenotata. Sembra che la donna ci abbia ripensato e, presa dai sensi di colpa e nonostante avesse problemi col marito, avesse rinunciato a salire quelle scale. I due poi avrebbero bisticciato e la donna sarebbe andata via pagando di persona la consumazione.

Gli inquirenti scoprono che in effetti quel giorno risulta una stanza prenotata a nome del notaio, ma che non esiste alcuna ricevuta e pagamento per cui ritengono più che veritiera la confessione del notaio. Vengono a sapere inoltre che tra i due, dopo quel giorno al motel, non ci sono stati più contatti e che l’uomo, il pomeriggio della tragedia, era davanti a due clienti nel bel mezzo di una stipula.


LA BELLA VERONICA
Passano alcuni mesi, forse tre o quattro ed elaborato il lutto Paolo si rifà una vita ed ora ha una storia alla luce del sole con la sua assistente, laureanda in architettura. Veronica è alta, bella, bionda, di una bellezza molto appariscente, ha 23 anni ed è una persona molto solare. I due si fanno vedere in paese, passeggiano mano per mano, alle sette di sera prendono il solito Spritz seduti ai tavolini dell’unico bar del paese. Alcune notti la ragazza si ferma a dormire nella villa coloniale, ma a quanto risulta non vivono ancora insieme. Insomma nulla di oscuro finché però il fratello della vittima, infastidito da quei modi così sfrontati e soprattutto da quella relazione dell’ex cognato, si reca nella caserma e invita i Carabinieri ad indagare su quella storia. Secondo il giovane qualcosa non quadra.

Il maresciallo, capisce il rancore del giovane e soprattutto non ha voglia di perdere tempo, del resto è stata solo una chiacchierata e non c’è alcuna denuncia formale, ma uno scrupoloso giovane appuntato inizia a raccogliere le voci in paese. In pratica viene a sapere che la bella ed appariscente Veronica è stata assunta nello studio di architettura per sostituire la signora Stefania quando quest’ultima era rimasta incinta. Anzi era stata la stessa vittima ad istruirla in tutto e per tutto, non sapendo che il suo ingresso nella vita del marito avrebbe maledettamente complicato la propria vita.
Quindi i due, che ora passeggiano per il paese mano per la mano, si sono conosciuti prima della tragedia. Tramite le compagnie telefoniche, sempre lo scrupoloso appuntato, scopre che quella relazione è iniziata molto prima della tragedia, ovvero dopo alcuni mesi che l’assistente era stata assunta. Insomma i due avevano una storia clandestina alle spalle della moglie di lui…
La bella Veronica all’epoca fidanzata, in qualche modo, forse per ambizione di carriera, subisce il fascino dell’architetto e non disdegna di essere corteggiata. Dai tabulati telefonici i Carabinieri ricostruiscono tempi e modi di quella relazione, le avances di lui, gli scrupoli di coscienza di lei, fino alla sera in cui di fatto si consuma tra loro il primo rapporto sessuale tutto ovviamente nel segreto dello studio e all’insaputa della moglie Stefania.


LA RELAZIONE CLANDESTINA
Il maresciallo pigro per natura a quel punto è costretto a convocare in caserma l’architetto il quale non può che confermare quella relazione clandestina, ma secondo lui, visto che ama follemente sua moglie, è da considerarsi una semplice attrazione sessuale. Sì in effetti questo è un nodo cruciale della vicenda, ovvero il maresciallo vuole sapere se l’architetto abbia perso la testa per quella giovane assistente al punto da mettere in discussione il proprio matrimonio e poi, visto che la situazione gli è scappata di mano, commettere il delitto e sbarazzarsi della moglie. Ovviamente l’architetto ha un alibi di ferro, più persone confermano che nel giorno e nell’ora del delitto lui era in studio. Quindi?

A quel punto si indaga sul rapporto tra moglie e marito e tramite gli sms e le testimonianze dei parenti ed amici di lei, si viene a scoprire che tra i due, nonostante l’apparenza e le testimonianze della domestica ed amici, non era tutto rose e fiori, infatti la donna, a casa col pancione e subito dopo l’aborto, sospetta del marito, ma non perché avesse scoperto qualcosa, ma semplicemente perché lui negli ultimi tempi era diventato freddo, irascibile e distratto. Insomma erano solo sensazioni, ma a casa c’erano frequenti litigi e lui per quattro mesi aveva dormito sul divano in sala da pranzo.

Questo è un momento delicato per l’architetto sciupafemmine infatti dall’altra parte il rapporto con Veronica è ormai consolidato, la sera si intrattengono nello studio fino a tardi. Lei comunque vive male quella situazione e circa due settimane dopo lascia il fidanzato e ordina al suo Paolo di fare lo stesso. Lui prende tempo, le dice che non deve avere sensi di colpa, perché la moglie ha una relazione con un altro uomo, che ha le prove. Insomma veste i panni dell’uomo tradito, della vittima che ha bisogno solo di essere consolato, coccolato e allora la bella assistente, toglie le briglie al suo cuore e se ne innamora pazzamente al punto che inizia ad esse gelosa sia della moglie che di quella figlia che mai nascerà, anzi dopo qualche mese ricatta l’architetto dicendogli a chiare lettere che spiffererà tutto alla signora Stefania se lui non si decide a lasciarla. In effetti ora, essendo libera, lei non ha più nulla da temere mentre lo sciupafemmine si trova decisamente fra l’incudine e il martello costretto a barcamenarsi con tante bugie e poca sincerità.


LA PROVA
Tornando alle indagini, dopo la denuncia formare del fratello della vittima, gli inquirenti si rendono conto che a parte le voci non hanno in mano alcuna prova che possa incriminare l’architetto. Se dovessero incriminare tutti i mariti infedeli ci sarebbero le carceri piene e zeppe! Si ok la moglie è morta, ma a loro manca la prova provata del suo collegamento materiale alla tragedia. Certo hanno in mano briciole di motivazioni tipo il probabile tradimento di lei o l’accertato tradimento di lui, ma nessuno dei due può avere la dignità di un movente che avrebbe scatenato la tragedia dentro quel garage.
Allora riprendono in mano le carte, interrogano nuovamente i testimoni e riesaminano meticolosamente gli elementi a loro disposizione. È proprio in quel momento che dai rilievi scientifici, fatti a suo tempo, spunta fuori un brandello di pelle dallo scotch con il quale è stata imbavagliata la vittima fino a farla soffocare. Appurato che non è del marito, del notaio e di altre persone vicine alla vittima, occorrerebbe confrontare quella pellicina con il Dna di un altro sospettato che al momento non esiste.


COLPO DI SCENA
Passa altro tempo, ora siamo nel febbraio del 2011 a quasi un anno dalla tragedia, le indagini ristagnano, i documenti dell’inchiesta sono ritornati negli archivi, fino a quando una domenica mattina qualcuno fa ritrovare al fratello della vittima, sul parabrezza della sua auto, una lettera anonima, dai caratteri incerti, scritti con una vecchia macchina da scrivere, in cui però si leggono chiaramente i nomi di due giovani residenti nel piccolo paese che in qualche modo sarebbero coinvolti nell’assassinio. La lettera non spiega il movente e non circostanzia dettagliatamente gli eventi per cui gli inquirenti pensano come prima cosa di essere in presenza di un mitomane o di una vendetta trasversale, ma per scrupolo riprendono il caso e interrogano le due persone citate nella lettera ovvero Ivan e Giovanni, due trentenni amici che hanno avuto piccoli precedenti per spaccio e consumo di droga e che ora risultano disoccupati. In realtà Ivan fa il carrozziere e Giovanni si occupa di una pompa di benzina fuori dal paese, ma entrambi lavorano in nero.

A questo punto c’è il colpo di scena perché sotto la pressione dell’interrogatorio, uno dei due, ovvero Ivan, racconta ai carabinieri di una confidenza fattagli dall’altro ragazzo Giovanni. Ovvero qualche giorno dopo il delitto, seduti sulle scale della fontana al centro della piazza del paese, Giovanni gli avrebbe detto: “L’ho ammazzata io Stefania! Paolo mi ha dato 70 mila euro.” Ivan per il timore di essere coinvolto si sarebbe tenuto per sé la confidenza. Ora però dopo quella lettera anonima è felice di scaricare la sua coscienza, mentre Giovanni, interrogato subito dopo, non può che smentire la circostanza, ma la sua libertà durerà solo il tempo delle analisi del DNA, le quali dopo due giorni confermano che il brandello di pelle trovato sul nastro adesivo appartiene proprio a Giovanni.


MOVENTE E COLPEVOLI
Gli inquirenti a questo punto si rendono conto di aver imboccato la strada giusta e in effetti hanno in mano tutti gli elementi per andare a giudizio. Il movente è senz’altro di ordine sentimentale ossia l’architetto vuole sbarazzarsi della moglie per sposare l’amante che in qualche modo lo ricatta. Per i colpevoli ovviamente Giovanni è l’esecutore materiale e l’architetto il suo mandante avendo ordinato di uccidere sua moglie per avere campo libero.
Da una parte abbiamo sicuramente la prova del DNA che inchioda Giovanni, ma per ora risultano solo indizi relativi all’architetto Paolo in quanto non vi è traccia di quei settanta euro e non ci sono prove che indichino chiaramente il mandato. I due, come tutti gli abitanti del paese, sono solo dei conoscenti, non sono amici né parenti, e ogni tanto si incontrano casualmente al bar per bere qualcosa insieme o giocare al biliardo. Quindi si cercano prove, si analizzano i cellulari del ragazzo, ma non c’è alcun collegamento tra Giovanni e Paolo.

Qualcuno tra gli inquirenti ipotizza una relazione segreta tra il giovane e la vittima. In effetti la pompa di benzina dove lavora Giovanni è l’unica in paese e sicuramente i due hanno avuto modo di conoscersi, frequentarsi. Del resto la donna stava vivendo un momento difficile, forse sentendosi trascurata aveva accettato le avances del giovane.
Paolo interrogato circa l’eventuale rapporto tra i due, conferma e smentisce, ovvero conferma che la moglie negli ultimi tempi era cambiata, ma allo stesso tempo esclude che possa aver avuto un rapporto segreto con qualche persona del paese e soprattutto con un addetto alla pompa di benzina. Poi però per salvarsi la pelle, ci ripensa e accusa velatamente Giovanni, asserendo che durante una partita a biliardo il giovane gli avrebbe confessato di frequentare una donna sposata residente in paese e che i loro rapporti si consumavano nella macchina della signora in un boschetto fuori dal paese in località “Le tortore”.

Giovanni, interrogato a proposito, invece dice di non aver mai conosciuto la signora Stefania, anzi giura di non averla mai vista e soprattutto si dichiara estraneo ai fatti non sapendo come quel suo brandello di pelle sia finito sul quel nastro adesivo. Ovviamente gli inquirenti non gli credono, ma non sono certi di quella relazione, loro al momento sanno solo che Giovanni ha ucciso la donna, ed anche se avesse realmente avuto dei rapporti di sesso con la donna mancherebbe comunque il movente che non può essere né la gelosia, nessuno mai è geloso del coniuge dell’amante, né i soldi visto che la donna non possedeva alcun bene ed economicamente dipendeva totalmente dal marito.


L’AMANTE
Intanto le voci in paese corrono, i genitori di Veronica chiedono conto alla figlia di quei pettegolezzi che la coinvolgono così direttamente. Qualcuno insinua che lei sarebbe la vera colpevole, avendo avuto tutto l’interesse a far morire la moglie dell’architetto, altri che oltre al matrimonio avrebbe sicuramente cambiato il suo tenore di vita. Alla fine lei è stravolta e sotto la pressione di quelle voci, seppur ancora innamorata, decide di lasciare Paolo. È una decisione sofferta e travagliata anche perché da quel futuro roseo e ricco con l’architetto benestante si ritrova senza lavoro ed è costretta a rinunciare alla sua unica fonte di reddito, ma il dubbio che lui sia davvero il mandante di quell’assassinio sconvolge la sua esistenza.

Il problema è che davanti a quell’addio l’architetto reagisce malamente e si lega morbosamente alla donna. Non accetta di essere lasciato, la pedina, la perseguita, la minaccia, le manda migliaia di messaggi, vuole vederla, la fa sentire in difetto creandole rimorsi e sensi di colpa.
Lei però è irremovibile nella sua decisione e lui a quel punto si vede perso e diventa violento ed arrogante, addirittura la minaccia, la umilia e quando la incontra per le vie del paese l’avvicina e le dice che è una puttana. Lei è costretta a cambiare casa e numero di telefono. Laureanda in architettura trova un impiego come cassiera di un supermercato e si trasferisce in un altro paese.
Dopo alcuni mesi inizia una nuova relazione con un suo collega e quando tutto sembra andare per il meglio, riceve una lettera di Paolo, la vuole, la desidera, le dice che sta preparando le carte per il matrimonio, ma soprattutto conosce il suo nuovo indirizzo. Lei è sconvolta, ha paura, è costretta di nuovo a fare le valigie e cambiare casa. Va ad abitare con il suo compagno, ma nella sua anima si fortifica l’odio verso quel suo ex ormai irriconoscibile e in preda ad istinti di vendetta.


LA CONFESSIONE
Su consiglio del nuovo compagno sporge denuncia per stalking e parlando con gli inquirenti si scrolla di ogni remora e senso di protezione verso l’ex amante e lo fa in modo che la sua testimonianza risulterà fondamentale per la ricostruzione di tutta la storia. Ed infatti, svuotandosi completamente la coscienza, è lei stessa ad incastrare il suo ex amante. Conferma che la loro relazione era iniziata prima della tragedia, che la moglie sospettava e che soprattutto non era assolutamente una relazione di sesso. Nei loro momenti intimi Paolo le diceva più volte che non sopportava più la moglie, che la odiava, che ben presto avrebbe divorziato da lei e che sarebbero andati a vivere insieme e soprattutto che, coronando il loro sogno, si sarebbero amati alla luce del sole.


IL PROCESSO
Durante le udienze la ragazza, con il supporto morale del suo nuovo compagno, rincara la dose e parlando del loro rapporto dopo la tragedia e soprattutto dopo che lei aveva preso la decisione di lasciarlo, lo descrive come un vero e proprio inferno. Lui, che aveva fatto del tutto per riconquistarla, addirittura si lascia andare a frasi oscure e in un certo senso inequivocabili: “Di mia moglie non me ne è fregato mai niente. Lei è una troia e merita la fine che ha fatto. Il giorno dell’omicidio lo considero un giorno di festa perché finalmente posso stare con te. Io ti amo da sempre, tu sei la cosa più bella al mondo che potesse capitarmi.”

Ma la ragazza non si lascia piegare e allora i messaggi e le telefonate diventano più tenebrosi e per guadagnare i suoi favori e il suo ripensamento l’architetto si lascia andare a frasi del tipo: “Un giorno saprai cosa ho fatto per te!” Insomma lascia intuire all’amante di aver fatto qualcosa di terribile pur di continuare ad avere una relazione con lei. Frasi pesanti, orribili, che lo incastrano definitivamente, anche se lui al processo si giustifica dicendo che dopo la tragedia si era legato sentimentalmente a Veronica al limite della morbosità per cui quando lei lo aveva lasciato, aveva tentato l’impossibile e quindi quelle frasi erano state dette solo per far rendere conto all’amante quanto l’amasse e con lo scopo di poter vivere con lei.
Di fronte ad una moglie morta, ammazzata orrendamente, può un uomo innamorato dire quelle cose con il solo fine di raggiungere il suo scopo? Questo se lo chiedono i giudici, gli avvocati, i testimoni e soprattutto Veronica. Certo il giudizio morale è scontato, ma, purtroppo per Paolo, anche quello del Tribunale si allinea al punto che i giudici non gli credono, anzi considerano quelle frasi come una vera e propria confessione.


IL VERDETTO
Giovanni è accusato di aver commesso materialmente il delitto e condannato all’ergastolo. L’architetto Paolo si professa innocente negando ogni suo coinvolgimento a tutti i livelli, ma dopo la testimonianza di Veronica i giudici persuasi da come sia andati i fatti trasformano quegli indizi in vere prove e accusano Paolo di esserne il mandante avendo inscenato un sequestro di persona per allontanare ogni sospetto da sé e poter vivere proprio con quella donna che risulterà fondamentale per il verdetto definitivo.
La sua condanna è FINE PENA MAI.




FINE

 






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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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