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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Il concerto degli amanti

  





  
Photo Yuri Shevchenko

 


 
 


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Boulevard des Italiennes. Ti ricordi di me? Vero? Una musica slava suona, una corda che vibra, violini e caldarroste, je t’aime nella testa, mi riporta nel ventre dello spirito intatto, della smania di averti, della passione di darsi, dei primi vagiti immaturi ed acerbi, della voglia che mai s’è assopita nel tempo, per portarti segreto nella culla del cuore nonostante le scelte, le andate e i ritorni.

Ti amo, ti ho sempre amato penso. Cammino lungo il marciapiede, ha smesso di piovere, ma non durerà molto. Ti cerco tra queste facce francesi, che poi sono le mie, sono il mio mondo, sto venendo verso di te, mi sento leggera, impalpabile come una piuma, e allora volo, sto volando sopra queste foglie morte, sopra le note del nostro concerto, sopra questo desiderio mai domo di vederti ancora una volta.

Ho messo la gonna rossa quella del nostro primo incontro, te la ricordi? Mi dicevi che ero troppo bella per te, per qualsiasi uomo che avessi poi incontrato, ma io sapevo che troppo non sarebbe mai stato abbastanza, e poi le strade si sono chiuse, altre nel mondo si sono spalancate, ma non eri tu, non c’eri tu. Noi persi, senza cuore, senza battiti, senza fili, slegati nei momenti più belli. Lì proprio lì, in quel ventre di mondo, dove gli uomini si confondono con altri uomini, dove le donne sanno fingere parlando lingue diverse, e gemiti e sorrisi in altre lingue.

Boulevard des Italiennes, quasi dieci anni, ma era lo stesso novembre, il nostro mese, lo stesso posto, Café Gramont. Musica e pioggia, gli ombrelli chiusi e un vento che soffia, il nostro spirito, la nostra terra, oddio sì ho tante cose da dirti, sai, me le sono anche scritte, stropiccio il foglietto nella tasca e trema la mia mano, trema questo marciapiede, penso a come avremmo fatto a ritrovarci se non t’avessi scritto, oh sì tua moglie, i tuoi figli, sono grandi adesso, vero? Già ti vedo col tuo cappello nero, quel mezzo sorriso, ecco sì, ricordi quando ti dicevo quanto mi affascinasse l’altro mezzo che ancora non conoscevo, che mai ho conosciuto.

Café Gramont, ora seduta ti aspetto, come mio solito sono arrivata troppo presto, il cameriere è sempre lo stesso, stranamente mi parla in italiano, ma l’italiano sei tu, che mi hai conquistata con quel mezzo sorriso sconosciuto e maledettamente intrigante, quella terrazza, tu amico di un mio amico, il mio compleanno, ti sei presentato come scrittore, mi hai chiesto di ballare, ed io ho sentito le tue mani scivolare sui miei fianchi, ho sentito quella musica. «Mais, mon amour, Mon doux, mon tendre, mon merveilleux amour…». Il nostro concerto.

Guardo dalla vetrina, Boulevard des Italiennes, tu sei lo spirito di questo viale, se non aspettassi te sarebbe solo un viale, di ristoranti, banche e alberghi. C’è una stanza per due che ci aspetta, ma non ci voglio pensare, spero tu abbia tempo per me, perché qui tutti hanno fretta, forse per qualcuno da incontrare, amanti come noi, non so spiegarti, comunque ti aspetto e mi sento la tua amante anche se sono dieci anni che non ci vediamo, anche se nel frattempo sono successe tante cose, è nato mio figlio Nicola, la mostra a New York, ho perso mio padre.

Dall'orizzonte della strada tra la folla, scorgo un cappello nero, eccoti, sei tu, il mio italiano bello e ombroso, entri, ti guardi intorno, mi vedi, mi vieni incontro, sei sorpreso per le parole che non dici, che non escono, tranne quel tuo mezzo sorriso. Dio come sei bello! Mi alzo e ci abbracciamo, un bacio sulla guancia, poi faccio per parlare, ma non mi viene altro, cerco tra i pensieri, ma è difficile adesso. Boulevard des Italiens, ti scrolli il freddo di Parigi, mi baci ancora e strizzi gli occhi, adagi il tuo soprabito con cura sulla sedia, mi porgi la rosa rossa, la mia preferita. Mezze parole che colmano degli anni, oddio quasi dieci, non parlo e ti sorrido. Gesti, segni, sospiri, nessuno mai potrà capire! Eh sì ti son mancata, mi chiedi quanto tempo, ti siedi e le nostre dita s’intrecciano impazienti. Le tue mani d’artista, le mie unghie rosse. Sento il caldo della tua mano, tra la pelle, sento il tuo profumo, lo stesso, come sempre. Lo sento ovunque sai, quante volte l’ho inseguito? Sicura fossi tu, ovunque tra la folla. Quante volte un cappello, un’ombra tra la gente.

Cado dentro una lacrima, oh sì sono stupida, ma è tutto tuo quello che vedi, anche le rughe nuove di questi dieci anni, l’attesa, la speranza, la gioia di aspettarti e adesso quella di rivederti. Tutto tuo, come questa gonna rossa, queste lacrime che non smettono di scendere, le mie mani che tremano, il mio cuore che impazzisce, questa musica nuova, ma sempre la stessa, il nostro concerto. Qui è tutto per noi, l’intorno è per noi, questi tavolini che sanno di Ottocento, questi specchi ombrati dal tempo. Sai avevo perso ogni speranza, ci ho provato e tu mi hai risposto immediatamente. Il tempo di organizzarci e ora qui, io e te, soli. Infinito amore mio, mi sei mancato sai?

Boulevard des Italiens, la penombra avvolge il viale, ma noi siamo qui, pieni di luce nel cuore. Ti prego parlami di te, voglio che tu mi dica tutto, che non vedevi l’ora, che eri impaziente, e come sia possibile stare distanti così tanto, e cosa abbiamo fatto per ingannare questo tempo! Dio tesoro mio, che bello il tuo mezzo sorriso, ti prego non guardarmi, avrò la pelle stanca, sono tre notti che non dormo, per l’ansia di vederti, per l’angoscia di non essere bella! Parlami di te... dove sei stato e cosa hai fatto, dimmi che ovunque c’ero io a consolare le tue ansie, che in sogno eri tu a bussare alla mia porta! Noi due ora qui, noi due e nessun altro, una rosa rossa come quella volta a Fiumicino!

Ora vorrei che il tempo rallentasse, che i secondi fossero minuti, vorrei centellinare queste ore, dei minuti ogni frammento, voglio gustarmi i tuoi occhi, ogni vezzo e le parole, e come le colori e quanto zucchero ci metti, Dio amore mio, vorrei diluirmi nel tuo sangue, e prendere la forma, perfetta del tuo cuore. Ti chiedo come mi trovi, se mi vedi invecchiata, ma tu non vedi rughe e mai le hai viste. Ed invece io vedo solo il sole anche se ora fuori piove.
Dio come sei bello, unico uomo mio, mi dici come sempre che ho gli occhi dell’amore, ma sei tu a farmi bella, sei tu che fai bello il mio giorno, Dio quanto ti amo, ti fai serio e non rispondi. Sono pazza vero? Di te amore mio.

È tutto tuo quello che vedi, nonostante tutto, la vita ha i suoi prezzi, un velo di tristezza, noi due così lontani, l’attesa che non passa, il vuoto dei tramonti, già il tempo aggiusta tutto, ha ago, filo e rammenda, a volte poi ricama, altre solo poi rattoppa.
Ma ora sei qui, ti prego dimmi che mi pensavi di notte, dimmi che abbiamo fatto l’amore, come io l’ho sempre fatto con te. Eri tu che scaldavi i miei seni, tue le mie cosce abbandonate al sogno di una notte insieme, tua la mia bocca vogliosa della tua passione.

Ed ora sarà questo incredibile gioco di andare e fuggire, questo sentirsi distanti, ma legati da un filo, ovunque tu sia stato, sospeso in un volo, ovunque mi chiamavi, per dirmi “Ci sono”, per poi ritrovarci poi tra le coincidenze dei treni nelle intercapedini strette di ore strappate, e lasciare una traccia in un posto nel mondo, e sentire il profumo che nei giorni distanti, m’insegue e m’illude d’averti a due passi, come ora di fronte respiriamo la gioia, d’essere insieme in un ritaglio di mondo, d’essere veri, noi due, in carne ossa, non solo una voce, un messaggio di fretta, non solo regali comprati da soli. Boulevard des Italiens, un caffè, lo stesso, un timido sole tra le nuvole fitte fa ombra e fa luce sul tavolino di marmo, fa bello il tuo viso, il tuo mezzo sorriso, lì proprio dove un gesto vale un ricordo, un segno, una foto impressa nel tempo, come i tuoi occhi che mi ascoltano muti, guardinghi, in attesa d’esplodere a un cenno.

Cafè Gramont, Boulevard des Italiens, sul tavolo di marmo due bicchieri di Martini, il cameriere che ci parla in italiano, “come stai, buon giorno, pizza e sole”, lui ride e noi siamo pieni di noi stessi, gonfi nel cuore e gonfie le labbra, il mio velluto, il tuo dopobarba. L’orchestrina suona e canta la nostra canzone… «Mais, mon amour, Mon doux, mon tendre, mon merveilleux amour…». Lascio la tua mano e faccio per alzarmi, basta un po’ di mancia per comprare i ricordi….

Balliamo sì dai, balliamo amore mio. Mi ripeti che sono bella, che mi sta bene questo rossetto, mi dici che il rosso mi dona, «Amore grande e dolce, immenso amore mio. Ne abbiamo avute di occasioni, ne abbiamo fatte di pazzie…» Rido, ridi e ci abbracciamo, le stesse sensazioni di quella volta in quella pensioncina di Orly, abbiamo fatto l’amore con le valigie sul letto.

Ho conosciuto qualche uomo, ne hai avute di donne nei tuoi letti, forse amanti o solo ragazzine a poco prezzo. Beh sì occorre pur vivere, occorre pure che il corpo si sazi, per essere pronti, per essere ottimisti ed esser sicura che in qualche ritaglio di tempo ti avrei pur rivisto. Mio dolce tenero amore mio, ce ne vuole di coraggio per diventare adulti, ce ne vuole di paura per pensare di averti sempre accanto, come adesso che sento il tuo calore. Sono fiera di te sai? Per tutte le donne che hai avuto, per tutti gli uomini in cui rivedevo te, ci ho fatto l’amore sai, ma in quei letti giuro c’eri solo tu, meraviglioso amore mio.

Qualcuno ci sta guardando, due signore ed il pianista, certo mi sta mangiando con gli occhi e con i tasti, ma non ci importa cosa pensi, se sbaglia qualche accordo, perché non è difficile capire che siamo due amanti, e gli amanti sono belli, certo, per definizione.

Ti guardo, mi stringi, penso che un’anima sia davvero di troppo, come due sorrisi quando si fondono, quando ti bacio o penso di farlo, quando mi dici che non stai nella pelle, per poi cercarmi le mani e scoprire di nuovo, che ogni dito d’incanto s’intreccia con l’altro, che i tanti letti negli anni non ci hanno cambiato. “Sei bella” mi dici e tu indugi sorpreso, poi strizzi i tuoi occhi e socchiudi le labbra per un bacio che viene, puntuale e più denso, più di quanto la voglia l’abbia ingrandito nel tempo, più di quanto di notte ho bussato al tuo sogno.

Dio quanto tempo! Ed ora siamo qui, noi due e nessun altro, forse tutta la notte intera, non oso chiedertelo ancora, mi bastano questi momenti, mi basta la tua bocca, la sento ora sai, sa di fragola e di miele, sa di fiato grosso denso, conosco il sapore, lo riconoscerei tra mille bocche, sinfonia di tante notti, l’overture all’Operà, il preludio dell’amore.

D’un tratto la musica si ferma, tutto si ferma, tu guardi l’ora e mi dici che è tardi, tardi da sempre, che non puoi perdere l’aereo, che qualcuno ti aspetta, ma discreto ti blocchi e non pronunci il suo nome, “E’ ora di andare”, usciamo abbracciati, tu col tuo cappello nero, io con la mia gonna rossa. Boulevard des Italiens, la pioggia è più fitta, il freddo ci invade, ti allacci il cappotto, il vento che soffia ci taglia la gola, stringi le spalle e muto mi chiedi, tante domande e nessuna risposta, tanti domani, chissà e poi vedremo, qui su questo marciapiede, nella coda di un giorno, Boulevard des Italiens, storia d’amanti, che si giurano amore, amore per sempre…

Meraviglioso spirito libero, ti ricordi di me? Io credo di sì. Mio amore, grande meraviglioso amore, ti amo ancora sai, nonostante le distanze, il tempo, mi hai chiesto scusa tante volte, t’ho chiesto amore senza motivo, per non arrenderci a noi stessi, alle miserie d’aver ragione, alle paure d’avere torto. Amore mio, mio dolce meraviglioso amore, ti amo ancora sai, ti amo tanto. Ma a cosa serve? Tanto tu non puoi sapere, se grido non t’arriva, ti rimane solo il mio profumo, ma credo davvero che la vita non ci potesse riservare di meglio. Anche questo sogno, quest’attesa vuota e piena, io qui seduta su uno dei tavolini del Café Gramont con la gonna rossa e tu chissà in quale parte del mondo col tuo cappello nero e il tuo mezzo sorriso. Balliamo sì, balliamo dai, per il nostro concerto, quello degli amanti, per una notte almeno, Boulevard des Italiens, per sempre mon amour...


 





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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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