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RACCONTI

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Adamo Bencivenga
Profumo di donna





 


 
Sarà che stasera avresti voglia di uscire, sentirti padrona della notte che cala, sentirti regina, cortigiana di corte, sentirti una Dea tra broccati e velluti, che poi sono pioppi che storti corrono al mare, che poi è una strada che va verso Ostia, tra il freddo di fuori che punge e ti gela e tu non chiedi altro che un fuoco vicino, che ti scaldi le gambe per essere pronte, al primo che ha voglia di sentirne l’odore, al secondo che indugia e fa il giro tre volte.

Alle volte ti chiedi perché solo nel sogno, ti trucchi la faccia da ballerina di circo, e metti le scarpe e sfini i tuoi tacchi, lasciando che il vento ti scoperchi la gonna, ed un uomo qualunque dia un prezzo al tuo seno. Davvero ti chiedi cosa ti manca, per essere come una moglie normale, almeno nel sogno, almeno di notte, mentre tuo marito dorme tranquillo, senza che l’anima ti sbatta e ti invoglia, dentro cunicoli stretti di melma, dove nutri i tuoi seni e nutri le gambe, nell’attesa impaziente che sia quello il momento, quando un uomo qualunque abbassa la lampo.

Oddio che volgare! Diresti a Cecilia, la tua amica del cuore in cerca d’amante, ma poi ci ritorni in quel sogno malsano, e ti spalmi il rossetto per ingrandire la bocca, finché capiente sia giusta per l’uso, ad ogni tipo di forma che abbia voglia d’alcova, e allora sì che ti chiedi, cosa ci sia nella voglia, di mostrare la tetta e farla ciucciare, come coperta da un velo di panna, di fragola e zucchero e miele che cola, e lui che ciuccia che stringe che succhia, perché non c’è di meglio di una signora borghese, che batte la strada per sentire il rumore, del tacco che struscia sull’asfalto di sera, fino a quando decisa giri di giorno, in cerca di un posto che ti pare tranquillo.

Alla fine non puoi che scegliere un viale, di pioppi e castani che corrono storti, di una siepe che dietro potrebbe servire, per maschi di fretta a passeggio col cane. Torni a casa felice pensando a cosa ti metti, che sia adatta a quell’ora dalle cinque alle sette, l’ora più giusta che non desta sospetti, quella in faccia al tramonto che ti colora le scarpe, e riflette il metallo dei tuoi tacchi appuntiti. A pranzo ti senti sbadata e confusa, tuo marito ti chiede se hai le tue cose, ma in realtà ti tormenti perché non hai ancora deciso, se quella gonna leggera faccia scattare la molla, di sesso e passione a chi ti vede di scorcio. Ti passano immagini dentro la testa, ti passano vive quando offri le labbra, perché altro non vuoi al primo incontro stasera, altro sarebbe davvero di troppo, perché al tuo sogno non serve aprire le gambe, cercarti quest’anima dalla porta davanti, ma solo sentire l’odore ed il gusto, per sentirti diversa da tutte le altre.

Oddio se tuo marito leggesse ciò che ti frulla, mentre addenta con gusto una fetta di carne, e di fretta poi esce per tornare al lavoro, sicuro che oggi incontri le amiche, a casa d’Ilaria per un compleanno. Se sapesse che sotto il vestito già indossi le calze, un corpetto di lacci che fibrillano sesso, come un operaio che indossa la tuta, nell’ora di pausa per fare più in fretta. Perché hai solo due ore per farti più bella, dirigerti dove hai scelto di stare, solo due ore per convincerti ancora, che quello che cerchi non lo trovi nel letto, puntuale da anni quando rimani in attesa, dopo la cena ogni sabato sera.

Il posto che hai scelto è una strada che corre, il posto perfetto per uomini soli, che ci sbattono il muso se intravedono al bordo, un mistero di donna che accavalla le gambe, che punta i suoi tacchi per mostrare le punte, per alzarti di fretta al primo che frena. S’accorge eccome s’accorge, che sei in attesa del primo cliente, perché un euro o cento non fa differenza, se poi ti guarda e ne apprezza il contorno, se quando sali ti dice che mai fino ad ora, ha visto una donna con due gambe perfette, che quella trama di calza è troppo elegante, troppo costosa e non batte all’incrocio, della strada che porta in pineta ed al mare.

Sono gambe di donna che accavalli leggera, una gonna che sale fino al ricamo, sono cosce di pelle che si schiudono al tatto, d’una mano che suda e lentamente risale, fino nel punto dove è più forte l’inganno, perché quello che offri non è un sesso slabbrato, sai di sapone e te ne vergogni, e vorresti davvero strusciarla ad un muro, impregnarti d’odori e mostrarla con vanto, per il piacere di maschi che non cercano attrito. Lui se ne accorge e ti chiede un nome, perché non avrebbe senso chiamarti signora, ma la sua mano la senti eccome la senti, che ti stringe le maglie d’una calza di rete, che ti stringe nel mezzo come se volesse tapparla. La senti eccome la senti, che ti cerca nei posti dove non avevi pensato, perché mai tuo marito ha inoltrato la voglia, dove il dito ad uncino ti scosta la seta. E tu obbediente ti lasci toccare, e poi di nuovo ad accavallare le gambe, ed intanto ti sfiori con la lingua le labbra ed ostenti leggera il tuo seno che esce.

Oddio davvero ti chiedi nel sogno, che ti facesse provare, che ti facesse sentire, sotto la chioma di pini marini, in faccia ad un sole che ti tinge d’arancio, cosa vuol dire un corpo di donna, senza che l’anima si ribelli all’istinto, senza per altro dovergli giurare, che lo ami da sempre perché t’ha fatto godere. Sei labbra e tette il resto non conta, seno abbondante e unghie laccate, e fingi convinta che non è il primo cliente, in anni ne hai presi un sacco e una sporta, e solo stasera non basterebbe una gabbia, per contenere gli uccelli che volano bassi, all’altezza precisa delle tue labbra più rosse. Ma lui non ci crede e gli sembra un delitto, sprofondare in un corpo che sa di famiglia, di pulito e di talco e non di mestiere, come un uomo maturo su una vergine intatta, come un uomo per bene che ora ti chiede, quale ragione ti faccia aprire la gambe, quale istinto la voglia di sentirti una troia. Ma tu ti ribelli perché non puoi accettare, che il tuo primo cliente non ti tratti per come, ti sei conciata stasera per due ore allo specchio, per due ore che ora sono inutili e vane, e stizzita gli chiedi di riportarti nel posto, da dove t’ha presa con il fiato sospeso.

E’ un uomo per bene e ti paga lo stesso, e vorrebbe incontrarti in un posto diverso, ma tu rifiuti con rabbia e con sdegno, perché quello che cerchi sono maschi diversi, che come nel sogno ti puntino il sesso, imprevisto e indecente dove vibra la pelle, dove fa male e ti piace e ne chiedi, senza aspettare il sabato sera. E torni testarda su quello steccato, convinta che col prossimo sarà tutto diverso, e allora, t’impregni di corteccia di pioppo, perché ne prenda l’odore o quanto meno il gusto e copra per sempre il profumo di talco, l’indelebile odore di fica borghese. Riaccavalli le gambe riscopri la gonna, ti spalmi a secchiate le labbra di rosso, e ripeti a memoria le mosse studiate, finché un’auto rallenta e poi un’altra si ferma, e ti chiede per quanto e pretende uno sconto, non lo vedi convinto ed apri le gambe, non lo vedi deciso e mostri il tuo seno, perché i suoi occhi non abbiano dubbi, che sei di mestiere e non è solo un vezzo, perché questa volta non è consentito fallire, quando ti cerchi nel silenzio di notte, quando ti sfiori con le dita più fitte, quando trattieni i respiri più intensi, perché tuo marito che dorme ha il sonno leggero.





 

 
FINE







 
 
 




Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale..

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