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RACCONTI D'AUTORE
Adamo Bencivenga
Sei tu acqua
sorgiva che tutto m’asseta
Sei tu acqua sorgiva che tutto m’asseta, tu
vino d’ottobre che rosso mi inebria, quando spalmi quel
limo di zucchero e mosto, di raspi che pigi, che sgrondi
e poi torchi, le mie cosce obbedienti che aspettano
l’oltre. Sei tu che mi stringi e sento il profumo, i
baci che al collo si perdono al seno, i respiri più
caldi come il mio miele, e sento le mani illegali e
bollenti, tra le gambe in cui sgorga nettare denso, come
quando m’abbracci, come ora che mi spogli, e lasci che
il fiato mi tremi nel petto.
Sei tu quel pane di
grano, nutrito dal sole, frutto maturo che placa ogni
brama, l’esatto contrario che sale e riempie, la parte
che vuota t’urla e reclama. Sei fertile seme che cullo
nel ventre, fiato che forma parole più sconce, che
distinguo dai brividi che a pelle mi sento, mentre
spandi, mi inondi e mi sazi la fica. Sei tu il mio uomo
ed io la tua piuma, che vola in un soffio, che sale se
chiami, e scende danzando fino a che la catturi, e
stretta nel pugno m’accovaccio e m’illudo, che non
esistono altri nidi per svernarci d’inverno, quando
fuori fa freddo e tu ti scaldi al tepore.
Ti
sento figlio che allatto e trastullo, ti godo amante
fratello e padrone, persa nei sensi di vite vissute, di
uomini tanti che m’hanno presa per bene, che m’hanno
insegnato a camminare di notte, ascoltando lo struscio
dei miei tacchi più alti, sentendo l’odore delle mie
voglie sospese, per il prossimo a turno che aspettava
paziente. Sono fatta di spine angosce e tormenti, vuote
parole che pioggia riempie, sono petali secchi friabili
ai venti, che un soffio li sparge e non rimane che
niente.
Chissà che diresti se mi vedessi davvero,
con un cappello da sera e guanti di rete, che aspetto e
raccolgo solo acqua piovana, avanzi di mondo di semi
infecondi. Perché sono fatta di niente, di buchi di
ventre, slargati da rami senza gemme di pesco, nel
silenzio per strada tra le tenebre fitte. Sono fatta
d’istinti di gatta in calore, che miagolava ai tetti nel
freddo di notte, di canti d’uccelli aggrumati sui fili,
che bramavano bocche come scoli all’aperto.
Vieni vicino il resto non conta, non serve all’amore il
colore degli occhi, quando spalanco le gambe per essere
foce, come mare che accoglie i detriti dei fiumi. Perché
tu sia il poeta d’ogni alba che accende, perché tu sia
la rima d’ogni impulso che coglie, a cercare tra le
righe un filo di sogno, perché io sia la musa che ispira
le voglie, e dipinge di rosso l’emozione al tramonto.
Vieni ora ti prego e lasciati andare, perché ti
offrirò neve, muta immacolata, la gioia del mio seno che
vibra al tuo sguardo, e baci ad occhi chiusi di pioggia
come perle, raccolte in quelle terre dove da anni non
piove. Creerò un regno nuovo in cui l’amore sarà legge,
dove sarò la tua regina e governerò sul tuo destino, e
ti lancerò dei sortilegi, incantesimi e fatture,
affinché tu possa amarmi e non possa farne a meno,
affinché io sia più bella e le altre senza seno.
Saranno decotti e infusi, di code e di rospi, latte
d’asina bollente con un pizzico di sale, e saranno
parole magiche, bambole e spilloni, un cucchiaio di vino
bianco e una spruzzata di limone. Mi farò piccola e
leggera perché poi tu mi riprenda, sarò la tua ombra e
quella del tuo cane, sarò il miagolio di una gatta in
amore, i tuoi sogni svaniti all’alba, i bisogni del
mattino, la tua rivincita di notte ed i sogni a occhi
aperti.
Perché sei tu che mi fiacchi le gambe,
sei tu che mi tormenti il seno e mi nutri la fica, e mi
lasci sospesa a pensare che se non ci fossi, non sarei
bucata qui in mezzo, tra queste gambe che slargo e
cospargo, perché tu non possa trovare mai attrito,
perché l’amore che ora mi sfianca abbia la forma di cui
ho bisogno. Sei tu che mi spezzi il respiro e mi stringi
la gola, fino a zittirmi parole che riduci a vapore, e
mi rintani la voglia e mi fai sentire regina, quando la
mia bocca si schiude e tu la riempi, come un cannolo
che mordo e trasborda di crema.
È nuda e non la
copro di nulla! Perché non sia mai che io possa
sbarrarti la strada, dentro qualsiasi notte tu la
sorprenda, dentro qualsiasi posto ti salga la voglia, e
muto la prendi, la sazi, l'affami, la slabbri ed affondi
perché si convinca, che il possesso che cerca non si
chiede a parole. Ringrazio il Cielo per avermela fatta
più bella, di quell’altra rosa che cogli e ne fai
paragone, di quell’altra conchiglia dove poggi
l’orecchio, ed invano ne ascolti i flutti di mare.
Ti prego vieni e lasciati andare, ti prego vieni non
resistermi ancora, affinché io sia la culla che capiente
t’avvolga, tu sia il sole che rifletta il tuo mare, nel
chiarore dell’alba che flebile appare, ed io ritrovi a
reclamare per sempre, il tuo fuoco che intenso mi brucia
e mi scioglie, che invade e si fonde con l’anima mia.
FINE
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