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Adamo Bencivenga
Una Giornata
Particolare
Photo Ionut Caras
Ci conoscevamo da tre settimane. Lui sin dalla prima
volta mi chiese di incontrarci, ma non era un invito
deciso. Pensavo fosse solo curioso di vedermi di persona
e che in qualche modo anche lui avesse timore che dopo
l’incontro qualcosa tra noi non avrebbe più funzionato.
Eravamo entrambi sposati, ma la sera, dopo che i
nostri rispettivi coniugi erano andati a nanna, ci
lasciavamo andare alle nostre intimità, ogni giorno più
profonde, ogni giorno più liberatorie. Più che di
parole, le nostre telefonate erano diventate dei lunghi,
intensi respiri stravolti dai nostri desideri di unirci
e fondere le nostre anime solitarie e la nostra carne.
Certo in fin dei conti erano passato poco meno di un
mese ed entrambi ogni sera ci meravigliavamo per quel
feeling raggiunto in così poco tempo e soprattutto senza
mai esserci visti. Alle volte, durante il giorno, mi
soffermavo ad immaginarlo, a dare materia al suo viso
facendo tesoro dei pochi indizi che lui mi aveva
concesso.
Ormai per me quel bel signore dalla
voce calda e sensuale era diventato una costante, quel
contatto segreto l’alcova dei nostri sogni, la terapia
delle mie inquietudini. Fin dalla prima sera poco prima
della mezzanotte, facevo il giro della mia casa a due
livelli e dopo aver controllato che i miei figli, Luca e
Serena, fossero nelle loro rispettive stanze e che mio
marito dormisse sonni tranquilli, andavo in bagno e mi
facevo bella per lui con un po’ di trucco, l’intimo nero
e una leggera scollatura. Anche se sapevo che non mi
avrebbe visto mi collegavo su quella chat scoperta per
puro caso. Dopo una settimana decidemmo di sentirci per
telefono e lì percepii la vera passione che mi legava a
quell’uomo. Seduta in penombra sul divano in sala da
pranzo mi abbandonavo alle sue parole e mi facevo
guidare sapendo che di lì a poco avremmo raggiunto
insieme l’estasi.
Abitavamo in due paesi
diversi, distanti qualche centinaio di chilometri, ma
quella distanza non ci proibiva di fantasticare e
immaginare il nostro primo incontro tanto che alla fine
venne tutto spontaneo e decidemmo di vederci in una
piccola stazione lontano da occhi indiscreti,
promettendoci che comunque sarebbe andata il nostro
rapporto a distanza sarebbe di certo continuato, ma in
realtà entrambi ci facevamo forza sulla nostra sintonia,
come se in qualche modo ci fossimo sempre conosciuti,
forse in un'altra vita, in un’altra dimensione, liberi
da ogni retaggio di corna, di figli, di tradimenti ed
amanti.
Come ogni mattina per non dare sospetti
sarei uscita di casa alle sette e quaranta ed avrei
preso il treno delle otto in punto per Vicenza e sarei
scesa nella piccola stazione di Montecchio Maggiore. Lui
sarebbe venuto in auto e l’avrebbe lasciata nel
parcheggio della stazione. Poi mi avrebbe aspettato
sulla banchina con una rosa rossa in mano. Entrambi quel
giorno avremmo finto di andare regolarmente al lavoro.
Così fu.
Durante il viaggio mi rannicchiai sul
sedile di quel treno pieno di pendolari, qualcuno tentò
di rivolgermi la parola, ma io con gli occhi chiusi
ascoltai più volte nel mio iPhone la canzone di Battiato
“L’animale” e come una ragazzina mi sorpresi a cantare:
“Ma l'animale che mi porto dentro, non mi fa vivere
felice mai, si prende tutto anche il caffè, mi rende
schiavo delle mie passioni, e non si arrende mai e non
sa attendere, e l'animale che mi porto dentro vuole te…”
Mi sentivo su di giri, per me del resto era la prima
volta che incontravo un uomo conosciuto in una chat.
Avevo avuto pochi mesi prima un’esperienza simile, ma al
dunque, proprio il giorno stesso che avremmo dovuto
incontrarci, avevo declinato l’invito dicendogli che non
mi sentivo pronta, ma in realtà era per una pura e
semplice mancanza di coraggio. Lui invece mi aveva
confessato senza remore che aveva avuto altre due
esperienze del genere con due donne altrettanto sposate
e all’incirca della mia età. Me le descrisse belle,
affascinanti e naturalmente insoddisfatte della propria
vita sessuale e coniugale. Insomma donne vere con
qualche leggera imperfezione che a suo dire le rendeva
ancora più attraenti. La cosa ovviamente non mi fece
piacere, ma dall’alto dei miei 47 anni, il fatto che
avesse accennato a quell’imperfezione, mi rese più
sicura e soprattutto, sotto sotto, confidai nella sua
esperienza per trascorrere una giornata in assoluta
tranquillità e nella più estrema riservatezza. Certo,
prima di uscire di casa, mi ero guardata e riguardata
allo specchio immaginando quale effetto gli avessero
procurato il mio trucco insolito e quel rossetto rosso
fuoco che avevo comprato il giorno prima seguendo i suoi
desideri.
Scesi dal treno alle otto e venticinque
col cuore in gola e le gambe tremanti per l’emozione.
Indossavo per l’occasione, sotto un leggero soprabito
non adatto alla stagione, un tubino nero aderente e
sopra un cappello dello stesso colore. Beh sì il mio
intento sarebbe stato quello di non dare troppo
nell’occhio, ma lui aveva insistito ed io lo avevo
accontentato volentieri compresa la calza nera velata e
il solo reggiseno bianco. Come mi aveva chiesto non
avevo messo le mutandine e stranamente mi sentii libera
e fiera della mia sfrontatezza. Beh sì dovetti ammettere
che aveva fatto bene ad insistere perché, per la
mancanza di quel pezzo di stoffa insignificante, avevo
la sensazione di poter avere tutto il mondo ai miei
piedi immaginando il momento in cui, come una vera
regina che regola e dispone le voglie dei suoi amanti,
gli avrei mostrato il mio tesoro nudo.
Iniziai a
camminare lungo il marciapiede col fiato in gola e,
precaria sui miei tacchi alti, cercai di scorgere tra i
tanti uomini quella rosa rossa. Solo a quel punto sentii
il telefono squillare. Mi stava aspettando! Smaniosa,
camminai più in fretta e lungo quel binario un uomo
anziano mi fece una serie di complimenti piuttosto
pesanti, un altro più giovane, voltandosi al mio
passaggio, mi sorrise guardandomi da capo a piedi. Beh
sì certo, non ero abituata a tutte quelle attenzioni e
mi chiesi da dove si intuisse il mio cambiamento, da
dove si percepisse che non portavo le mutandine e
soprattutto da dove si capisse che non ero lì a caso e
che per la prima volta nella mia vita stavo per
diventare l’amante di un uomo sposato.
Affrettai
ancora di più il passo dentro quella piccola stazione
andando incontro a quell’uomo che aveva saputo
emozionarmi scrivendomi solo frasi d’amore e che avevo
visto solo la sera prima dentro un francobollo di foto
per giunta sfocata. Emozionata e sudata cercavo qualcosa
che gli assomigliasse finché lo intravidi da lontano, lo
riconobbi e mi avvicinai sorridendo, ma dentro me sentii
il cuore scoppiare. Lui non perse tempo, mi diede la
rosa e per togliermi dall’imbarazzo mi abbracciò come se
ci conoscessimo da chissà quanto tempo. A
quell’abbraccio sentii i miei muscoli rilassarsi, ma le
mie gambe continuarono a tremare e quando lui mi disse
che ero bellissima, che ero un sogno inaspettato, tornai
con la mente al mio primo incontro d’amore, ai miei
sedici anni ormai lontanissimi quando per la prima volta
mi allontanai da casa di nascosto dai miei genitori ed
andai al mare salendo nella macchina di un ragazzo molto
più grande di me. Il mare non lo vidi e quando ci
appartammo sotto una pineta lui, alla vista del mio seno
ancora acerbo, mi baciò e mi promise amore eterno che
poi durò circa una settimana.
Stavo bene, quella
stretta mi aveva dato fiducia e sicurezza, lui premuroso
mi chiese più volte come stessi e che sensazioni avessi
avuto vedendolo. Lungo le vie del paese camminammo
fianco a fianco e poi mano nella mano. Entrambi ci
guardavamo intorno sospettosi, ma sapevamo benissimo
che, distanti dai nostri rispettivi paesi, nessuna di
quelle persone avrebbe mai potuto riconoscerci.
Nonostante il freddo ci sedemmo ai tavolini all’aperto
di un bar. Ordinai un caffè e lui una birra. Parlammo
del più e del meno, poi i discorsi si fecero più seri e
ci raccontammo le nostre vite senza più emozioni
parlando dei figli, di sua moglie, di mio marito, dei
nostri rispettivi lavori, dei suoi due pastori tedeschi
e della mia gattina Lilly.
Faceva freddo sì e mi
strinsi dentro il mio soprabito leggero e lui sfiorò
delicatamente le mie guance rosse col dorso della mano.
Seduta davanti a lui lo guardai intensamente. Era
bellissimo. In quel momento pensai davvero di essere una
donna molto fortunata ed ebbi un fremito di gelosia
pensando alle altre donne che avevano avuto la fortuna
di avere la sua attenzione e chissà il suo amore e
quanto di quell’amore lui avesse offerto. In quel
momento mi illusi che con me sarebbe stato diverso e non
riuscii a non accarezzare il suo volto ed a stringergli
forte la mano sotto il tavolo… e lui a quel punto, senza
esitare, avvicinò il viso e mi sfiorò le labbra con un
bacio appena accennato, ma dolce e tenero….
Ci
alzammo e cominciammo a camminare, prendemmo una
stradina fuori mano, nessuno dei due riusciva a celare
il forte desiderio. Dopo qualche metro ci fermammo al
riparo da sguardi indiscreti dietro una folta siepe e ci
abbracciamo e ci cercammo prima dolcemente e poi
avidamente. Le nostre bocche si fusero ed assaporammo il
primo vero bacio che tanto avevamo desiderato nelle
nostre chat notturne. Un tizio in bicicletta ci
vide, scosse la testa e sorrise, si vedeva da chilometri
di distanza che eravamo due amanti, prede dei nostri
desideri. Stranamente mi sentii orgogliosa, del resto
non avevo nulla per cui vergognarmi perché pensai quando
si ama non si fa nulla di male, anche nelle nostre
condizioni di genitori e di persone sposate. Certo sì,
pensai a mia figlia da poco maggiorenne e cosa avrebbe
pensato vedendo sua madre lì come una ragazzina della
sua età, accaldata da quei baci intensi, ma poi mi
convinsi che mi avrebbe capita.
Lui mi slacciò il
soprabito, era un fiume in piena, iniziò ad accarezzarmi
i fianchi, mi strinse a sé e durante quei baci caldi
sentii chiaramente la sua mano, decisa e padrona, salire
lungo le mie cosce sotto il tubino. Quando arrivò al
bordo dell’autoreggente mi sorrise soddisfatto, ma
quando raggiunse il mio intimo nudo lo vidi barcollare
dall’emozione. Sì in effetti non lo avevo deluso! Mi
guardò con aria interrogativa come per chiedermi se
avessi obbedito a lui oppure a me stessa, comunque sia,
quello era il segnale, la carta di soggiorno, il
passaporto e il passepartout che avrebbe aperto tutte le
porte, dopo di che ci sarebbe stata solo la mia tacita
disponibilità di seguirlo ovunque avesse desiderato
portarmi. A quel punto mi chiese di andare. Senza dirmi
nulla aveva prenotato una camera in una piccola pensione
a pochi passi dalla stazione.
Pensione Mery.
Entrammo, lui diede il suo nome e il documento. La
padrona della pensione mi scrutò dalla testa ai piedi
con un’espressione di complicità. Non so se mi
invidiasse, ma mi illusi che non le sarebbe dispiaciuto
essere al mio posto. Si vedeva da chilometri di distanza
che eravamo una coppia clandestina e la sensazione non
mi dispiacque affatto. In quel momento rappresentavo la
figura retorica di una donna avanti con gli anni che non
si arrendeva all’età e alla vita avara di qualsiasi
entusiasmo. Mi guardai nel riflesso di un piccolo quadro
appeso al muro, sì in effetti ero io quella donna in
cerca di un’emozione che la vita di ogni giorno le aveva
negato. Lui afferrò la chiave. Stanza n. 14, primo
piano.
Salii le scale a fatica per via dei
tacchi, ma lui mi cinse i fianchi e mi condusse deciso
verso il paradiso. La stanza era scarna, buia, ma
essenziale. Per la prima volta da quando ci eravamo
incontrati i nostri sguardi si penetrarono in un tacito
assenso che non lasciava dubbi. Del resto non ci eravamo
mai negati che quell’incontro sarebbe finito lì tra le
pareti silenziose di una stanza d’albergo, esattamente
dove eravamo in quel momento. Un brivido impetuoso mi
percorse la schiena.
Senza fare un passo lui mi
baciò, lì in piedi accanto alla porta chiusa e le mie
labbra bagnate dalla sua passione si schiusero a quei
baci avidi e profondi. Rimanemmo per minuti abbracciati,
finché il desiderio prese il sopravvento. Mi spogliò e
cominciò ad accarezzarmi ogni minima increspatura della
mia pelle finché afferrò in modo deciso il mio seno.
Sperai che quel momento così stupendo non finisse mai.
Le sue carezze si fecero più intense, le sue dita
affondarono come burro nel mio sesso nudo. Prima una,
poi due, poi ne chiesi ancora come se l’amore fosse
tutto lì e quelle dita esperte fossero bastate a
riempire la voragine di anni del mio desiderio
inappagato. Ero in estasi. Barcollai e lui mi adagiò sul
letto.
Era la prima volta in assoluto che
tradivo mio marito, mai nessun uomo avevo accolto tra le
mie grazie, ma non ebbi alcuna esitazione e a dire il
vero mi sembrò tutto così naturale come se fossi
abituata ad offrirmi senza remore e a fare l’amore con
uno sconosciuto dentro un’anonima pensione di un anonimo
paese. Sentivo un’attrazione fisica travolgente, sentivo
il mio cuore battere, l’umido delle mie cosce, il
secreto della mia astinenza e a quel punto spalancando
senza freni il mio paradiso lo pregai sfrontata di farmi
godere. Presi la sua testa e la pigiai contro il mio
ventre e lui, estasiato dalla mia audacia, iniziò a
baciarmi, a mordermi, ad annusarmi, a leccarmi. Ero sua,
completamente sua, calda, bagnata ed aperta alla sua
lingua esperta. La sua saliva si mescolò ai miei umori
abbondanti e subito dopo ebbi un primo orgasmo violento
sulla sua bocca, poi un secondo ancora più abbondante
sulla sua mano.
Mi guardò con aria sorpresa come
se non si aspettasse tutto quel calore e allora si tolse
i pantaloni ed intravidi per un solo istante il suo
sesso orgoglioso, duro e maschio perché subito scomparve
dentro di me e mi prese senza esitare. Eravamo
finalmente uniti ed amanti, lui il mio uomo, io la sua
donna. Scivolò perfettamente nella mia carne come un
aliante planò sui miei versanti umidi e ci annullammo
completamente. Nello specchio dell’armadio non riuscii a
distinguere le due figure, i nostri corpi erano fusi in
un blocco unico. Lui rallentava e accelerava,
frenava e ripartiva seguendo i miei gemiti. Era
maledettamente bello fare l’amore, sentirsi finalmente
femmina e desiderata. Sentii il mio corpo sciogliersi e
venni ancora su quel letto, poi lui mi prese per mano e
mi fece alzare, poi mi sollevò come se non avessi più
peso. Mi sentii leggera come una piuma e danzai
mentalmente nell’aria e fisicamente volteggiai e
atterrai sui suoi fianchi con le gambe divaricate.
Ci unimmo ancora contro quella parete. Lui iniziò a
martellarmi senza più accortezze, colpo su colpo cercai
di resistergli. Sentivo chiaramente quei tonfi sordi
della mia carne nuda contro il muro, sentivo la mia voce
incitarlo e la sua che mi ordinava di non fermarmi e
come un effetto domino cadde ogni nostra remora.
Appiattita contro quella parete sentii lievitare di
nuovo il mio piacere. Stavo raggiungendo l’apice, il
culmine d’ogni passione solo immaginata fino ad allora e
a quel punto fui io ad incitarlo a non fermarsi, a
continuare, a battermi, a scoparmi come se non ci fosse
altro giorno, altro domani che quel presente. Gli dissi
di insultarmi, di dirmi che ero una donna viziosa, una
madre dissoluta, una donna da bordello per il semplice
motivo che ero stata troppo lasciva e disponibile e lui
di contro non aveva dovuto faticare a portarmi a letto.
Lui concentrato ed in silenzio continuava a
sbattermi ed io ad accoglierlo, perfettamente uniti, in
simbiosi, perfettamente in un magico incastro come se la
natura ci avesse creati e modellati pensando a questo
incontro. E fu proprio in quel momento che mi promise
l’amore eterno, che gli promisi la vita, ma sapevamo
benissimo entrambi quanto quelle parole fossero adatte
al momento, funzionali alla voglia e a sfinirci fino
all’ultimo respiro. E così fu.
Finimmo di nuovo
sul letto e il suo respiro si fece più caldo, intenso,
grosso, sentii i suoi denti affondare nella mia carne,
lo pregai di lasciarmi un marchio indelebile così che
tutti avrebbero saputo quanto fossi stata infedele.
Sentii il suo sesso dalle parti del cuore, la sua bocca
nella mia, il suo sudore acido, l’odore forte del mio
nettare, le mie urla viziose, le parole sporche, il suo
pene duro come marmo, la saliva fondersi, i capelli
bagnati, i baci sul collo, il cigolio del letto, le
pareti crollare quando in un fremito interminabile lui
esplose dentro di me inondandomi l’anima.
Subito
dopo, in un silenzio profondo e quasi irreale, ci
rilassammo con i nostri corpi senza più energia
guardando il soffitto e sentendo i nostri cuori battere.
Lui mi baciò ancora, mi disse che ero stata
fantasticamente donna e meravigliosamente sua.
Ascoltammo i rumori in strada e subito dopo ci guardammo
in faccia e ridemmo a crepapelle. Ignorammo entrambi
quelle parole dette prima dell’orgasmo, in fin dei conti
ci eravamo conosciuti per caso, un click in più o uno in
meno e non ci saremmo mai visti e incontrati.
Mi
resi conto di non sapere nulla di lui e lui avrebbe
potuto pensare la stessa cosa di me. Due anime in pena
che non avevano scelto l’altra, ma si erano incontrate
per la voglia di soddisfare se stesse. No, no, non era
amore, assolutamente no, era stato semplicemente un
forte desiderio, quello sì, di darsi e di aversi,
consapevoli quanto quelle interminabili chat notturne
fossero state la preparazione a quell’incontro e
coscienti altrettanto che il giorno dopo sarebbe stato
un altro giorno e un’ora dopo un’altra ora.
Mi
rivestii con una certa fretta, lui mi aiutò ad indossare
le calze ed io presi dalla borsa un paio di mutandine
bianche. Il mio sesso nudo non avrebbe avuto più alcun
senso e il gioco era finito lì. Ci lasciammo alle spalle
la nostra alcova e scendemmo le scale abbracciati
passando davanti allo sguardo curioso della padrona
della pensione, beh sì, non ci voleva molto ad intuire
quanto fossimo sazi d’amore, che da donna avevo fatto il
mio dovere e lui da maschio non aveva perso un colpo
rendendomi felice. In strada affrettammo il passo,
del resto il treno delle 11 e 32 non mi avrebbe
certamente aspettato. Lui mi accompagnò fino al binario,
ma non parlammo e non ci tenemmo per mano. Salii senza
voltarmi. Presi posto e attraverso il vetro del treno
vidi l’espressione anonima del suo viso. Guardò
l’orologio e si affrettò verso l’uscita. Pensai che
avesse un altro appuntamento, forse la moglie, forse i
figli a scuola o forse un’altra donna sposata e
insoddisfatta alla ricerca della stessa emozione. Lo
guardai finché divenne un puntino grigio e
insignificante e mi chiesi quanto unica e irripetibile
fosse stata quella giornata.
Tornai a casa in
tempo per preparare il pranzo. I miei figli Luca e
Serena arrivarono poco dopo da scuola. Mio marito invece
era comodamente seduto sul divano a godersi la sua
pensione e a leggere il suo giornale, completamente
ignaro di cosa avesse fatto sua moglie durante quella
mattinata. Mi guardai nello specchio del bagno
domandandomi come fosse possibile che sul mio viso non
ci fossero tracce di quello che avevo vissuto. Tornai in
sala, lo vidi sereno e mi chiesi se per caso avesse
saputo, quale sarebbe stata la sua reazione, ma non mi
venne nulla perché di certo non avrebbe avuto alcuna
reazione. Tra noi le cose erano ormai andate e nessuno
dei due avrebbe avuto il minimo slancio per migliorarle.
Così era.
Quando portai il pranzo in tavola, mia
figlia Serena sorridendomi mi disse: “Mamma sei
bellissima!” Già non avevo fatto in tempo a cambiarmi.
Pensai ricambiando il sorriso che in effetti non avrei
desiderato altro dalla vita, ossia di essere solo una
mamma bella. Sentii il calore di quella casa e pensai
convinta quanto quella giornata fosse stata
meravigliosa, pazza e irripetibile, perché unica e senza
repliche come del resto lo sono tutte le giornate
particolari.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
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