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RACCONTI
 
 

La Violinista
Adamo Bencivenga



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Dopo una giornata di sole passata tra Petra e il Wadi Rum mi ritrovo in un bellissimo hotel ristorante di Aqaba. Di solito amo viaggiare solo e trovarmi qualche compagnia nel paese dove vado, è un modo per conoscere un po’ più a fondo la nazione che mi ospita.
Ovviamente essendo partito per un paese islamico come la Giordania non mi ero fatto troppe illusioni anche se durante il viaggio mi sono dovuto ricredere in quanto la Giordania è una nazione assolutamente non radicale, le persone sono gentili, negli alberghi si trova alcol con estrema facilità e le giordane adorano vestirsi all’occidentale, forse incoraggiate dalla figura della loro Regina Rania.

È sera e prima della cena scendo nel grande salone della hall, una musica soft mi avvolge completamente, davanti a me due splendide musiciste eseguono pezzi di Handel e Chopin con piano e violino. Sono incantato dalla morbidezza di quella musica e dalla leggerezza della violinista. Alta, mora, truccata con indosso un leggerissimo abito nero mi sorride, naturalmente ricambio cercando di attrarre ancora di più la sua attenzione. E infatti, qualche minuto dopo, mentre la collega esegue un meraviglioso Chiaro di luna, lei si avvicina e mi chiede il permesso di sedersi al mio tavolo.
In perfetto inglese mi dice di chiamarsi Nour. Intuisco che ha voglia di parlare e allora mi dice che ha 24 anni ed abita ad Amman in un piccolo appartamento che divide con altre due ragazze. È single, usciata da poco da una relazione burrascosa, e attualmente è impiegata in un’agenzia di viaggi, ma guadagna una miseria per cui nel periodo estivo viene qui ad Aqaba a suonare negli alberghi per mantenersi gli studi al conservatorio. Quando le dico che sono italiano di Roma, le brillano gli occhi in ricordo di un weekend passato nella capitale con una sua amica.

Ordiniamo due boccali di birra locale Carakale e poi due calici di Mount Hermon, un vellutato vino rosso giordano. La guardo stupito per via dell’alcol lei ride e mi dice che la sua religione non è quella islamica e che, essendo i suoi genitori di origine libanese, appartiene ad una sparuta minoranza cristiana.
Continuiamo a parlare fissandoci negli occhi, vorrei dirle che sono splendidi, ma non oso, anzi, la prendo alla larga e mi informo su come siano i rapporti tra uomini e donne non sposati in questo paese.

Lei sorride di nuovo, forse ha capito, e ad un certo punto, complice anche il buon vino rosso giordano, mi tocca incuriosita i tanti braccialetti d’argento e di pelle che porto al polso sinistro. Il gesto è molto confidenziale e mi prendo la libertà di stringerle la mano. Lei non la toglie. Le dico che ha due occhi meravigliosi, lei che sono molto carino. Non mi chiede se sono sposato, ma si informa se sono solo o ho una compagna di viaggio che mi aspetta in camera. Sorrido e faccio di no con la testa. Lei guarda l’ora sul telefono e mi dice che il concerto vero e proprio inizierà tra due ore per cui nel frattempo è libera. Subito dopo si rivolge in arabo al cameriere e chiede il conto, fa per pagare, ma la fermo immediatamente. Le sue intenzioni diventano ancora più chiare quando va dall’amica e le dice che si assenterà per due ore, poi mi prende sottobraccio e senza parlare saliamo i gradini della grande scala di marmo.

Sento il fruscio del suo vestito di seta, il rumore del tacco che sale, il profumo intenso del gelsomino e non posso che ringraziare il cielo per questo regalo inatteso. Appena entrati in stanza ci baciamo, il suo corpo è caldo, le spalline del suo vestito scendono automaticamente e davanti a me si materializza un seno perfetto dalla pelle di luna. Compiaciuto l’ammiro estasiato, le dico se è vera, lei ride, poi mi allontano come se fosse un’immagine sacra e fosse un peccato toccarla. Certo lo so, è stato troppo facile salire quella scala, immagino i sospiri come fossero una proposta velata, insomma qualcosa in cambio per trascorrere quelle due ore.

Lei abbassa gli occhi per dare l’assenso e scopre la fronte, le ciglia, la bocca, poi muta si avvicina come per scusarsi e mi dice che non vuole soldi, ma solo ventiquattro rose rosse in bella mostra sul pianoforte quando inizierà il concerto. La guardo, ridiamo. Attratto e smarrito dalla sua infinita dolcezza seguo l’unico verso che la visione ora mi impone, come una cometa per il viandante o un refolo di zeffiro per il marinaio.

Lei mi invita nel suo eden proibito, a seguire i suoi odori, le sue essenze orientali, forti e importanti come i vicoli del Suk ad Amman, come nelle oasi sulla via della seta o dentro l’Hammam clandestina e signora. Ora si distende impalpabile sul letto, le nostre bocche si uniscono, la spoglio, bacio la sua pelle ambrata, poi la volto supina, il suo corpo vibra come le corde del violino che prima suonava.

Lei si lascia andare, mi invita nei suoi umori, sembra una gatta in calore, niente a che vedere con le donne occidentali, i suoi gemiti sono musica, le sue labbra umide un’oasi di montagna, il suo pube una danza infinita che aspetta il suo contrario. Senza alcuna difficoltà affondo in quel lago dorato, denso, fitto, corposo e salato come le acque del Mar Morto. Scendo, scivolo ed affondo, e mentre il desiderio sale m’immergo lasciando all’immaginazione l’ultimo tratto del sentiero, il paradiso, il circo, la giostra, la Porta di Ishtar, le rose fresche dei Giardini pensili di Babilonia e la regina Semiramide. Sento il trionfo della lussuria, l’apoteosi della seduzione, l’esaltazione del sesso che non è sesso, ma qualcosa di completamente diverso perché non sono io che le sto dentro, ma è lei che mi avvolge con tutta se stessa e mi contiene come un bambino nel ventre di una madre.

In preda all’estasi avverto tutta la magia della natura femminile, quella che è in sintonia con le fasi lunari, con il montare e calare delle maree, con il pane che sazia e che nutre, preda di un ordine secco quando a comando fa la ruota e le fusa. Mi ritrovo dentro un vulcano in eruzione, è lei la madre terra colei che ha il totale controllo sulla mia virilità, ora potrebbe decidere di smettere o continuare, ma mi chiede di non fermarmi, di correre per non perdere la coincidenza, e un misto di voglia la invade e poi sbocca, come resina densa che a gocce trasuda, e cola pastosa da un tronco di quercia, e cola silente tra l'odore di spezie, ed ora ristagna e nutre il suo pube. Rallento e accelero seguendo i suoi gemiti, i profondi respiri per riprendere fiato. Sento il suo corpo sciogliersi, l’essenza di femmina, schiava del piacere e sottomessa al puro godimento. Completamente asservito ai suoi piaceri la seguo come un allievo alle prime armi e lei, in preda ad un orgasmo continuo, mi chiede di resistere.

Sento il desiderio impellente di esplodere dentro di lei, ma ubbidiente resisto. Come un aliante continuo a planare e risalire e lei ad accogliermi, perfettamente uniti, in simbiosi, perfettamente in un magico incastro come se la natura ci avesse creati e modellati pensando a quell’incontro. Il mio respiro si fa più pesante, intenso, sento il mio sesso dalle parti del suo cuore, la sua bocca nella mia, il suo sudore al gelsomino, l’odore forte del suo nettare, i suoi gemiti viziosi, la saliva fondersi, i capelli bagnati, i baci sul collo, il cigolio del letto, le pareti crollare quando un fremito interminabile ci unisce per sempre.

Stremato rimango nel letto, lei si alza, guarda l’ora, come per scusarsi mi bacia e si dirige verso la doccia. “Devo andare, tra poco inizia il concerto e stasera suonerò per te.” Sussurra quando ricompare in accappatoio. La guardo, Dio mio quanto è bella! Mi chiedo se davvero abbiamo fatto l’amore. Lei si sta rivestendo. Le chiedo se c’è la possibilità di rivederci. “Inshallah” Mi risponde. Le chiedo cosa vuol dire. “Vuol dire che siamo stati bene insieme, che è stato il destino a farci incontrare e lo stesso destino deciderà per noi.”

Poi apre la porta e si guarda intorno, nessuno l’ha vista, certo lei è solo una violinista che ora scende superba, maestosa e regina, per la scala di marmo tra le luci velate, di questo albergo di ricchi, di stranieri ad Aqaba e tra poco suonerà il suo violino con in bella mostra ventiquattro rose rosse sul pianoforte della collega. Alzo il telefono e chiamo la reception.









Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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