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STORIE VERE
LA VENDETTA DEL MIO EX
Sara, 50 anni, madre e moglie, incontra
sui social un suo ex. Lui si dimostra carino ed affettuoso inizia a
corteggiarla…
Mi rendo conto di aver fatto
una grande cazzata! Tutto è successo circa un anno
fa. Sì certo le cose tra me e mio marito non andavano
bene da tempo. Io ho 52 anni, lui sette più di me.
Abbiamo tre figli grandi e indipendenti e quando il più
piccolo è andato via all’estero per lavoro, la nostra
casa è diventata enorme e desolata, praticamente un
vuoto siderale. La sera quando io e mio marito tornavamo
dal lavoro a malapena ci salutavamo. Lui di solito
cenava davanti alla tv in sala da pranzo mentre a me non
rimaneva che mangiare qualcosa al volo in cucina e poi
andarmene a letto. Mi ripetevo spesso: “Sara, devi
reagire, la vita non finisce a 52 anni!” Certo sì, avevo
bisogno di emozioni, ma mi sarei accontentata anche di
molto meno.
Ripensandoci la mia unica colpa forse
è stata quella di non intervenire, di adagiarmi per
pigrizia a quella noia e lasciare andare le cose, magari
se avessimo parlato, se ci fossimo spronati, insultati,
capiti, offesi, derisi, qualcosa sarebbe cambiato ed io
non mi sarei lasciata trasportare da vecchi sentimenti.
Purtroppo però non è successo e siamo andati avanti così
per quasi due anni, poi una sera prendendo il telefono
per chiamare mio figlio ho notato che c’era una notifica
su Messenger da parte di Gianni, un mio ex compagno di
scuola. “Ciao Benedetta, come stai? È tanto che non ci
sentiamo…” Un semplice e innocuo messaggio che riapriva
una grande parentesi della mia vita passata, ma
purtroppo anche una grande ferita che a stento ero
riuscita a richiudere. Rimasi un attimo interdetta, ma
poi curiosa di sapere che fine avesse fatto gli risposi
che stavo bene.
Prima di conoscere mio marito,
con Gianni avevo avuto una storia non breve di circa un
anno ai tempi dell’università, tra noi funzionava
abbastanza bene tanto che dopo alcuni mesi decidemmo di
fare le cose seriamente, lui mi presentò ai suoi
genitori ed io feci altrettanto. Mai un litigio, mai
un’incomprensione pensavo davvero che fosse l’uomo della
mia vita. Passavamo molto tempo insieme, studiando e
abbandonandoci a coccole sdolcinate senza mai però, per
mia volontà, fare l’amore completo. Poi però il caso
volle che in una banale festa di compleanno di una mia
amica, dove andai da sola, conobbi Gabriele e
quell’incontro cambiò ogni cosa. Gabriele sin dal primo
momento mi fece una corte spietata ed io persi la testa,
tanto che alla fine mi convinsi a interrompere la mia
relazione ed a iniziare una nuova avventura. Gianni
al tempo era solo uno studente che viveva con i suoi
genitori, mentre Gabriele, più grande di me, era già un
uomo indipendente e soprattutto con uno studio proprio e
avviato di oculista nonché una situazione economica
stabile. Insomma la vidi come un’occasione irripetibile,
ma comunque per me non fu una scelta facile, tormentata
ci pensai alcune settimane e anche spinta dai miei
genitori alla fine decisi.
Gianni ci rimase
molto, ma molto male. Al limite della disperazione non
passava giorno che non venisse sotto casa dei miei
genitori, dove abitavo allora, e pregarmi, anche in
ginocchio, di uscire con lui, convinto, nonostante i
miei rifiuti, che prima o poi saremmo tornati insieme.
Disperato non si dava pace e cominciò a seguirmi, a
tempestarmi di messaggi dicendomi di ripensarci e che
ero la sua unica speranza di vita e che nessuna altra
donna mai avrebbe preso il mio posto nel suo cuore.
Straziata nei miei sentimenti tenni però il punto e
forse anche per questo motivo affrettai il mio
matrimonio. Quando mi sposai e cambiai casa non lo
sentii più, credevo davvero che in qualche modo si fosse
fatto una ragione e magari mi avesse sostituita
incontrando la donna della sua vita.
Dopo tanti
anni non avevo mai dimenticato quella storia, ma
sinceramente non avevo mai pensato che lui potesse
ritornare alla carica. Al mio messaggio Gianni aveva
risposto immediatamente scrivendo che non si era mai
sposato e che ogni tanto gli venivo in mente aggiungendo
subito dopo che ricordava con piacere il periodo passato
insieme. Non avvertii alcun rancore nelle sue parole per
cui risposi che anche a me era rimasta una bella
sensazione. La sera stessa mi disse che se avessi
acconsentito e soprattutto se mi avesse fatto piacere
non gli sarebbe dispiaciuto rivederci e prendere un
caffè insieme aggiungendo: “Non vorrei mai crearti
problemi. Sappi che a me fa piacere solo averti
risentita e soprattutto che stai bene.” Era vero?
Rimasi perplessa, nonostante il suo tenore calmo e
tranquillo avevo bene in mente il ricordo di come era
finito il nostro rapporto, quelle sue lacrime avevano
rappresentato per me un peso che mi ero portata dietro
per molto tempo, per cui presi tempo. Lui scrisse
ancora: “Tesoro non voglio assolutamente metterti a
disagio, se non vuoi o non puoi non importa, ma mi
farebbe enorme piacere risentire la tua voce.” A quel
punto mi lasciò il suo numero di telefono.
Il
giorno dopo mi venne più volte in mente e soprattutto
ripensandoci affiorarono in me tutti i sensi di colpa
per come mi ero comportata al tempo e come avevo
troncato quella storia. In fin dei conti avevo preferito
un altro uomo a lui e non mi rendevo conto per quale
motivo mi avesse detto che mi ricordava con piacere. Con
lui ero stata bene certo e magari se fosse continuata
avrei vissuto una vita diversa e probabilmente anche
migliore di quella che vivevo al tempo. E in fondo in
fondo pensavo che fosse anche un po’ colpa sua, perché
le sue insistenze mi avevano fatto affrettare il
matrimonio senza conoscere profondamente quello che
sarebbe diventato mio marito. Insomma ci pensai per
giorni e giorni, lui dopo quel messaggio non si era più
fatto sentire, e alla fine anche se piena di dubbi
decisi di chiamarlo.
Ci vedemmo un pomeriggio di
settembre vicino alla Barcaccia di Piazza di Spagna.
Alto, magro con un po’ di barba e ben vestito mi si
presentò davanti un uomo a dir poco affascinante.
Entrambi emozionatissimi stentammo a scambiare due
parole, ma poi, per la voglia di conoscerci prendemmo il
via passando in rassegna le nostro vite e così seppe che
ero madre di tre figli e che con mio marito non andava
tutto a gonfie vele. Mentre passeggiavamo verso Piazza
del Popolo lui mi disse che dopo la tremenda delusione
aveva lasciato gli studi e si era arruolato in
Aereonautica. Dopo circa dieci anni era stato assunto
dalla Lufthansa e da allora era diventato un pilota di
voli internazionali.
Lo guardavo attentamente,
stentavo a riconoscerlo, e incredula gli chiesi più
volte: “Ma davvero sei tu?” Lui gentilissimo ed affabile
per tutto il tempo non smise di farmi complimenti su
come ero vestita e sul fatto che nonostante gli anni non
fossi affatto cambiata. Ero cambiata eccome! Ma mi
piaceva credere che fossi tornata la ragazzina
dell’università.
Prendemmo un caffè seduti ai
tavolini all’aperto di Canova, poi salendo la rampa per
villa Borghese, mi prese la mano e disse: “Non sai da
quanto tempo aspettassi questo momento…” Chiusi gli
occhi e non dissi nulla. Ci baciammo. Seduti su una
panchina di fronte all’orologio ad acqua del Pincio gli
raccontai dettagliatamente la situazione che stavo
vivendo in quel momento con mio marito. Lui
abbracciandomi e senza addossarmi alcuna colpa mi disse
che potevamo finalmente riprenderci quello che la vita
ci aveva tolto. Il giorno dopo sarebbe partito per
New York, ma se lo avessi desiderato, la settimana
successiva avremmo potuto vederci nella suo bell’attico
sopra il Gianicolo. Non gli diedi alcuna certezza, ma in
cuor mio sapevo già cosa avrei fatto.
Passai
quella settimana pensando esclusivamente a
quell’incontro, alla scusa più credibile per mio marito
e, per vezzo femminile, a quale vestito fosse più adatto
per una serata che immaginavo romantica. Se avessi
potuto avrei azzerato quei trent’anni che ci avevano
diviso per apparire di nuovo quella fanciulla ancora
acerba di cui lui si era innamorato pazzamente. Più
volte pensai cosa provasse ora realmente e allo stesso
tempo cosa rappresentassi io per lui o se fossi solo un
capriccio da soddisfare. Alla fine optai per un
outfit sobrio con un tubino nero e in filo di perle che
impreziosiva la mia scollatura, legai i capelli, misi un
velo di trucco, una calza velata e un tacco importante
tempestato di strass. Beh sì certo volevo apparire
bella, ma non provocante.
Lui non fu da meno e mi
accolse nella sua bella casa vestito con una camicia
celeste, un foulard di seta e un abito chiaro molto
elegante. Appena entrai dopo un mezzo inchino e uno
sfuggente baciamano non smise di farmi i complimenti
sussurrandomi più volte che ero a dir poco incantevole.
Mi tremavano le gambe, in effetti era la mia prima
volta in assoluto che incontravo un uomo, nella
consapevolezza che non fosse solo una cena innocua. Lui
si accorse del mio disagio e mi cinse i fianchi, poi mi
fece strada verso la sua bella terrazza fiorita. La
tavola era già apparecchiata ed una candela tremolante
dentro una bottiglia liberty colorata rendeva
l’atmosfera più che romantica. Aiutandomi a togliere il
soprabito mi disse: “Roma a settembre verso sera si
trasforma in una bella signora incantevole, come te…”
Non resistetti e per apparire disinvolta lo baciai. Oh
sì, ero sposata e madre di tre figli, ma in quel momento
mi giustificai pensando che in fin dei conti era stato
il mio uomo e se non avessi dato retta ai miei genitori
lo sarebbe stato ancora.
Cenammo su quella
terrazza con vista sui tetti di Roma, un filo di vento
piacevole asciugò i miei sudori dovuti più a ciò che
sarebbe successo dopo, che alla temperatura più che
gradevole. Certo sì, mi stava corteggiando ed io mi
sentivo bene, ma allo stesso tempo notai nel suo sguardo
qualcosa di indefinito come se le sue parole romantiche
e piene di dolcezza fossero staccate dalla sua mente,
insomma come se stesse recitando una parte studiata in
precedenza. Fu solo un pensiero che scomparì in un
istante.
Del resto lui aveva pensato a tutto e
tra le altre cose si dimostrò un ottimo cuoco. Gustammo
come antipasto una granseola allo zenzero e limone, poi
un’ottima orata al forno in crosta di patate, annaffiata
da uno squisito Fiano d’Avellino. Ero sorpresa ed
esterrefatta e grazie a quel buon vino, che mi aveva
resa allegra e leggera, scherzando gli dissi che avevo
davvero perso un’occasione, che se fossi tornata
indietro... Lasciai la frase in sospeso, ma lui non
proseguì e non si scompose affatto, anzi dopo aver
cenato ci sedemmo sul suo morbido divano di pelle nera
ed ascoltammo insieme dei brani di Gustav Mahler e
precisamente il “Das Klagende Lied”. Fu esattamente
quello il momento in cui, non avendo mai tradito mio
marito, pensai seriamente che quella serata sarebbe
diventata unica e importante e che se ci avesse provato
non mi sarei affatto tirata indietro.
Anzi seduta
accanto a lui e rapita da quella musica e dal suo
profumo di uomo maturo fui io stessa a dargli il
segnale. Feci in modo che il mio tubino nero, forse per
l’aderenza o forse perché era giusto così, iniziasse
lentamente a salire, lasciando alla sua vista le mie
belle calze velate. Lui evidentemente non aspettava
altro e subito accolse il mio invito muto pregandomi di
alzarmi. Insieme abbracciati percorremmo un lungo
corridoio che ci portò tremanti nella sua camera da
letto.
Mi cinse delicatamente i fianchi ed io
leggera come una piuma mi feci trasportare, avvolta dai
sensi di quella complicità. Mi sussurrò che mai e poi
mai avrebbe pensato che saremmo finiti a letto, ma le
mie movenze, la mia disponibilità, la mia incoscienza e
poi il tacco alto, il mio corpo sensuale, i miei anni,
la mia calza con la cucitura erano stati per lui un
richiamo di mille sirene. Insomma c’era più di un motivo
per non perdere altro tempo. Allora decise di agire
stringendomi, accarezzandomi con quella mano che
magicamente scivolò sotto il mio tubino fino al punto da
rendersi conto di quanta femmina nascondesse quel
vestito.
In bilico precario, addosso a quella
parete, mi tolse le mutandine facendole scomparire
nell’oblio dei nostri sensi. Stringeva il mio sesso
caldo ed io allibita per la facilità con la quale mi
stavo offrendo agevolai ogni suo movimento. Aveva tutta
la mia intimità nella sua mano e contro quel muro
assaporai tutto il gusto del possesso fisico e mentale,
ma soprattutto l’attesa di quel letto che ci avrebbe
uniti. Lo desideravo sopra ogni cosa, anzi lo avevo
sempre desiderato e allora gli sussurrai che sarebbe
stata a tutti gli effetti la nostra prima volta e lui
fissandomi negli occhi e quasi dispiaciuto mi disse: “Ma
io ho già fatto l’amore con te. Tutti i giorni, sempre.”
Rimasi per un attimo a pensare. I miei sensi di
colpa salirono nuovamente, ma non dissi nulla, non
volevo aggiungere nulla a quella magia, a quel miracolo
che l’aveva già sciolta. Lui mi aiutò a togliere il
vestito e scivolammo insieme in quella penombra
silenziosa dove solo un piccolo raggio di luce si faceva
spazio illuminando i miei merletti strategici che non
lasciavano dubbi su cosa avessi previsto per quella
serata. Mi mostrai a lui e gli chiesi: “Cosa credi
di trovare tra queste cosce?” Sorrise perché sapeva
benissimo che non era una domanda, ma solo un invito.
Scivolò come uno divo sul mio tappeto rosso ed io lo
accolsi urlando e aprendo il più possibile le mie gambe
in modo che non incontrasse ostacoli. Non dimenticherò
mai quel bacio, il più lungo in assoluto di tutta la mia
vita! Le nostre bocche si unirono per tutto il tempo che
facemmo l’amore. Era dentro di me, padrone delle mie
voglie ed io succhiai la sua anima e lui tutta la mia
passione. Mi penetrò nella carne e nella mente, a volte
rallentando, altre accelerando e come un esperto pilota
mi guidò verso vette mai raggiunte con mio marito. Mi
abbandonai e chiusi gli occhi per sentirlo meglio e in
estasi dissi: “Ti prego prendimi ancora, prendimi ora e
non smettere finché non mi vedrai esausta, perché tra
qualche minuto sarà già futuro e quello non ci
appartiene. Si fermò di colpo!
Vidi il suo
viso scurirsi, i muscoli della mascella tendersi. Mi
strinse forte, ma non era un abbraccio da amante, bensì
una presa da poliziotto: “Tu sei mia, mia. Non ti lascio
andare. È successo una volta e non succederà più!”
Tentai di calmarlo, lo pregai di lasciarmi, di essere
comprensivo. Ero una donna sposata e madre di tre figli,
ma a lui questo non importava. Gli dissi che sarei stata
la sua amante per sempre, ma evidentemente non era
quella la soluzione che aveva vagheggiato per tutta la
vita. Rosso in viso, scuoteva la testa, come per
liberare la sua mente da pensieri molesti. Alla fine mi
disse: “Ti voglio legare, così sarai mia per sempre!”
Gli risposi che ero già sua e non servivano corde o
manette, ma lui si era già alzato e barcollando era
andato in un un’altra stanza alla ricerca di chissà che
cosa. Fu in quel preciso che avvertii chiaramente di
essere in pericolo ed allora mi alzai, mi rivestii in
fretta, ma non trovai più le mie mutandine. Scivolai
lungo il corridoio, presi al volo borsa e soprabito e
uscii da quella casa senza fare rumore. In strada
nonostante i tacchi corsi per qualche centinaio di metri
finché presi un taxi al volo che mi riportò a casa.
Ero sconvolta e mi diedi più volte della cretina per
esserci caduta di nuovo. Mio marito dormiva sonni
tranquilli allora mi infilai nel letto senza fare
rumore, ma non riuscii per tutta la notte a prendere
sonno. Non mi sentivo sicura, ripensai ad ogni momento
di quella sera, ai miei dubbi quando mi era parso che
stesse recitando un copione già scritto, ma soprattutto
pensai alla sua futura reazione e a come avrebbe potuto
reagire. Mi prese il panico. E se il giorno dopo me lo
fossi trovato sotto casa? E se in qualche modo avesse
incontrato mio marito? Pensai a qualche scusa avrei
potuto dire a Gabriele. Sì certo un mio ex, che non si
era rassegnato, ma mi rendevo conto che dopo trent’anni
quanto la cosa non fosse del tutto credibile. Alla
fine mi alzai, era l’alba, accesi il telefono, non ci
potevo credere! Vi erano circa 500 messaggi non letti!
Lessi gli orari praticamente era stato sveglio tutta la
notte! Mi ingiuriava, mi offendeva, mi amava, mi
desiderava, mi pregava di tornare da lui, mi minacciava
e soprattutto mi diceva a caratteri maiuscoli: “TE LA
FACCIO PAGARE!”
Ero praticamente nel panico, ma
fortunatamente per tutto il giorno il telefono rimase
muto. Quando la sera tornai a casa dopo il lavoro ero
quasi sollevata, mi ripetevo forse ha capito, per la
prima volta avevamo fatto l’amore e forse per lui non
ero più un sogno incompiuto, ma purtroppo non fu così…
Appena poggiai le chiavi sulla mensola
dell’ingresso, mio marito seduto sul divano mi disse:
“Devo parlarti.” Il tono era serio, avvertii
immediatamente la classica calma prima della tempesta.
Mi pregò di sedermi accanto a lui, poi prese il telefono
e mi mostrò una foto dicendomi: “Guarda che cosa mi ha
mandato oggi un mio paziente?” Un suo paziente… non
capivo… Aggiunse subito dopo con tono ironico: “Se non
sbaglio anche tu hai un paio di mutandine identiche a
queste vero?” Mi si gelò il sangue. Era la foto delle
mie mutandine adagiate sul letto dove avevo fatto
l’amore la sera prima. La didascalia recitava: “Guarda
cosa si dimentica tua moglie quando è fuori casa!”
Ero con le spalle al muro e come prima risposta
dissi a Gabriele che sì era vero, ne avevo un paio
uguali, ma essendo così comuni era del tutto evidente
che non fossi la sola a portarle. E per la didascalia
accennai a qualche imprevedibile maniaco ossessionato,
ma mentre parlavo mi rendevo conto di non essere
credibile e allora dopo un attimo mi abbandonai in un
pianto liberatorio confessandogli che la sera prima non
ero stata a cena con la mia amica, ma avevo accettato
l’invito di un mio ex. E lui: “… e hai pensato bene di
scoparci, vero?” Il mio silenzio fu più di una conferma.
Lui non aveva mai visto Gianni, ma conosceva bene e nei
minimi dettagli la storia che avevo avuto con lui e come
era finita, per cui non gli fu difficile ricostruire
quello che effettivamente era successo. Infatti
aggiunse: “Qualche giorno fa un certo Gianni è venuto a
studio, era la prima volta che si faceva visitare da me,
e mi era parso strano quel paziente perché all’occhio
non aveva nulla di ciò che lamentava, tra l’altro mi
aveva anche chiesto il numero di telefono per una visita
più approfondita… Lì per lì non ci avevo fatto caso, ma
ora capisco tutto…”
In quel preciso istante un
lampo nella mia mente mi fece vedere tutto chiaro!
Gianni aveva architettato tutto, compreso il messaggio
su Messenger, la passeggiata romantica a Villa Borghese,
la finta visita oculistica da mio marito, la cena in
terrazza, il finto corteggiamento, l’amore nel suo
letto, la finta disperazione e il furto vero delle
mutandine. Tutte tessere che messe in fila avevano un
unico movente ossia quello di far saltare il mio
matrimonio! Davvero c’ero cascata con tutte le scarpe,
ovviamente col tacco a spillo.
Gabriele non disse
più nulla, solo in quel momento notai la mia valigia già
pronta accanto alla porta di entrata. Ero disperata,
sconfitta e distrutta, senza più forze mi alzai a fatica
e senza dire altro, uscii da quella casa senza mai più
tornarci. Forse anche Gabriele aspettava un mio passo
falso che da vera cretina gli avevo offerto su un piatto
d’argento. Presi la mia auto, girovagai senza meta,
finché lungo la strada della mia disperazione pernottai
sola e sconsolata in un piccolo albergo. Gianni si
era vendicato!
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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