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I RACCONTI DI ARTE PASSIONE

Un amore avvolto nel mistero
Emilie Flöge e Gustav
Klimt Emilie, “La donna del
Bacio”, non si sposerà mai e rimarrà per sempre segretamente
innamorata del pittore. Klimt invece, donnaiolo incallito, cercò
sempre di mantenere un rapporto platonico, continuando a vivere
nella sua casa materna

A Vienna, nel 1891, il
destino intrecciò le vite di Gustav Klimt ed Emilie
Flöge in un incontro che avrebbe segnato un’epoca. Tutto
iniziò attraverso un legame familiare: Ernst, fratello
di Gustav, aveva sposato Helene, sorella di Emilie. Ma
la tragedia colpì presto: Ernst morì appena un anno dopo
le nozze, lasciando Helene e la giovane Emilie, allora
diciottenne, in una situazione precaria. Gustav, con il
suo animo generoso e protettivo, si fece avanti,
assumendo il ruolo di sostegno per le due sorelle. Fu in
quel contesto, tra le ombre del lutto e la luce della
solidarietà, che i suoi occhi incontrarono per la prima
volta quelli grandi e profondi di Emilie.
Emilie,
nata nel 1874 in una famiglia della media borghesia
viennese, era una giovane donna dal fascino singolare:
slanciata, con un volto illuminato da uno sguardo che
sembrava contenere mille storie. Non era solo la sua
bellezza ad attrarre Gustav, ma la sua indole ribelle,
la sua mente libera che sfidava le convenzioni di
un’epoca rigida.
Quando si conobbero, lei era
poco più di una sarta, ma già si intravedeva in lei una
scintilla di genialità. Gustav ne fu stregato. Nei mesi
successivi, Emilie divenne non solo la sua musa, ma
anche la sua confidente, una presenza costante che
ispirava la sua arte e scaldava il suo cuore.
I
loro primi approcci furono cauti, quasi esitanti, come
se entrambi temessero di infrangere l’equilibrio di quel
legame nascente. Gustav, più grande e già affermato, la
guardava con un misto di ammirazione e reverenza, mentre
Emilie, giovane, ma determinata, rispondeva con
un’audacia che lo disarmava.
Si incontravano
spesso nella casa di lei o nei caffè di Vienna, dove le
loro conversazioni si trasformavano in confessioni
sussurrate, in sguardi che parlavano più delle parole.
Tra loro si instaurò un’intesa profonda, un amore che
non aveva bisogno di etichette, ma che vibrava di una
passione trattenuta, quasi clandestina.
Eppure,
nonostante l’intensità del loro legame, la scintilla
fisica rimase sotto la cenere. Si diceva che Gustav,
segnato dalla malattia – forse la sifilide, come
sussurravano le voci dell’epoca – rifuggisse da
un’intimità completa, scegliendo di preservare Emilie,
di proteggerla anche da se stesso. Ma questo non
impediva loro di cercare rifugio l’uno nell’altra.
I loro incontri, spesso nascosti agli occhi
indiscreti della società viennese, erano momenti di pura
connessione: si trovavano in atelier silenziosi o in
angoli discreti della città, dove potevano essere
semplicemente Gustav ed Emilie, lontani dai ruoli che il
mondo imponeva loro. Non c’era bisogno di parole quando
le loro mani si sfioravano mentre osservavano un
bozzetto, o quando i loro sguardi si intrecciavano
davanti a una tela ancora incompleta.
Il loro
amore era tutt’altro che platonico nel cuore. Era un
fuoco che ardeva in segreto, nutrito da lettere, da
momenti rubati, di carezze accennate e da una complicità
che sfidava le convenzioni. Emilie, con la sua
indipendenza e il suo talento, non era solo la musa di
Gustav, ma la sua pari, una donna che costruiva il
proprio destino mentre camminava al suo fianco. E
Gustav, nel dipingerla – come nel “Ritratto di Emilie
Flöge” del 1902, dove la ritrasse audace e regale – non
faceva che celebrare la sua essenza, cercando di
catturare sulla tela l’anima di colei che, pur senza mai
appartenergli del tutto, era il centro del suo universo.
Così, tra le luci e le ombre di Vienna, Gustav ed
Emilie vissero il loro amore clandestino, un legame che
non aveva bisogno di promesse o vincoli, ma che si
rinnovava ogni giorno nella condivisione di sogni, arte
e silenzi. Un amore che, pur trattenuto, non fu mai meno
vero.
La mente di Emilie vagava. Fantasticava su
di lui, sul suo corpo nascosto sotto le tuniche da
artista, sulle sue mani abili che tracciavano linee
sulla tela con una sensualità che lei non poteva
ignorare. Immaginava il calore di quelle mani sfiorarle
la pelle, non solo in un gesto casuale, ma con
un’intenzione che lui sembrava sempre trattenere.
Nei suoi pensieri più intimi, si vedeva avvicinarsi
a lui, sciogliendo quella barriera invisibile che Gustav
manteneva: sognava di premere il suo corpo contro il
suo, di sentire il ritmo del suo respiro accelerare, di
scoprire cosa si celasse dietro il suo sguardo
penetrante. Quei momenti di fantasia erano carichi di un
erotismo sottile, fatto di possibilità non dette, di un
desiderio che si accendeva proprio perché represso.
Quando erano soli, magari davanti a una tazza di
caffè o in una passeggiata serale lungo il Danubio,
Emilie si sorprendeva a osservare il modo in cui lui si
muoveva, la curva della sua bocca quando sorrideva, e si
chiedeva come sarebbe stato abbandonarsi a un bacio che
non arrivava mai. Nei suoi sogni a occhi aperti, si
immaginava di prendere l’iniziativa, di sfidare la sua
riservatezza, di sussurrargli parole che lo avrebbero
spinto a lasciar cadere ogni difesa. Ma poi, tornando
alla realtà, si ritrovava a custodire quei pensieri, a
nutrirli in segreto, sapendo che il loro legame, pur
vibrante di tensione, viveva di un’intimità diversa,
fatta di arte, confidenze e silenzi carichi di promesse
mai mantenute.
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ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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