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I RACCONTI DI ARTE PASSIONE

Un amore tra luci e ombre
La storia tra Maddalena
Antognetti e Caravaggio Roma
1602. Caravaggio sedeva a un tavolino in disparte dell'Osteria "Al
Moro" quando vide per la prima volta Lena: alta, bella come una
Madonna con i suoi capelli neri e il corsetto che stringeva il suo
seno florido...

La Roma del 1602 era un
labirinto di vicoli che si intrecciavano come vene di
una città viva e corrotta. Le osterie, con i loro fumi
di vino, puttane e risate sguaiate, erano il cuore della
notte eterna. Fu in una di quelle taverne, tra Piazza
del Monte d’Oro e gli ortacci, che Caravaggio incontrò
Maddalena Antognetti, detta Lena, una donna destinata ad
essere la protagonista della sua vita e della sua arte.
L’osteria “Al Moro” come tutte le osterie romane era un
microcosmo di vizi e passioni. Le pareti, annerite dal
fumo, portavano i segni di coltelli e versi d’amore
incisi nella foga della notte. I tavoli, appiccicosi di
vino, ospitavano soldati che brindavano alla morte
sfiorata, cortigiane che negoziavano il loro prezzo,
artisti come Caravaggio che cercavano ispirazione in
quel caos. La luce delle torce danzava sui volti,
trasformando ogni scena in un quadro vivente, e il
pittore, con il suo occhio affamato, assorbiva ogni
dettaglio: le candele che gocciolavano cera sui tavoli
di legno grezzo, il riflesso di una candela su una
guancia, l’ombra di un pugnale nascosto, la curva di un
sorriso.
L’aria era densa di odori: vino acido,
sudore, carne arrostita e un vago sentore di rose
portato dalle cortigiane. Caravaggio sedeva in un
angolo, il mantello sgualcito, una coppa di vino tra le
mani macchiate del suo mestiere. I suoi occhi, inquieti
da artista, scrutavano la folla: mercenari che giocavano
a dadi, poeti che declamavano versi ubriachi, donne che
vendevano letti e promesse con un sorriso. Fu quella
sera che entrò Lena. Alta, i capelli neri inchiostro che
cadevano sulle spalle, il corsetto che stringeva il suo
seno florido, si muoveva con una grazia che sembrava
sfidare la rozzezza del luogo. Il suo ingresso zittì per
un istante il brusio, come se la luce di una candela
avesse improvvisamente illuminato un dipinto. Caravaggio
la fissò, ipnotizzato, mentre lei si avvicinava al
banco, ridendo con l’oste. Lui attratto da quella
bellezza, si alzò e con il vino che gli scaldava il
sangue si fece largo tra la folla. Appoggiandosi al
banco con noncuranza le disse: “Sei nuova qui?”. Lena
si voltò, squadrandolo da capo a piedi. I suoi occhi
scuri brillavano di malizia. “Non proprio…” Rispose,
ridendo sfacciatamente. “Ma tu sembri uno che cerca
guai. O sbaglio?” Caravaggio rise a voce alta
coprendo la voce della donna. “Guai? Li porto con me,
bellezza. Mi chiamo Michelangelo, ma non sono uno di
quei santi che dipingono in cielo.” Lei inclinò la
testa, studiandolo. “Michelangelo, eh? Non sembri un
angelo, questo è certo. E che fai, oltre a bere e
importunare le donne?” “Dipingo.” Rispose
avvicinandosi di un passo. “Catturo la luce. E qualcosa
mi dice che tu ne hai parecchia da offrire.” Lena
rise ancora: “Parli bene, pittore. Ma la luce costa
cara, sai? Non sono una di quelle che si lasciano
incantare da due parole, un pennello e un bicchiere di
vino.” “Non voglio incantarti.” Ribatté Caravaggio,
abbassando la voce. “Voglio guardarti. C’è tanta
differenza, ma forse tu non sei abituata…” Lei lo
fissò per un lungo momento, come se stesse decidendo se
valesse la pena giocare quella partita o bere da sola il
suo bicchiere di vino. Poi, con un gesto lento, combinò
le due scelte, prese la coppa di vino che l’oste le
aveva messo davanti e ne bevve un sorso, senza mai
distogliere gli occhi da lui. “Vedremo, Michelangelo. Ma
fai attenzione perché se ti avvicini troppo la luce
brucia.”
Lui riprese il suo posto e lei lo seguì.
Quella notte parlarono fino a tardi, isolati in un
angolo della taverna. Lena gli raccontò delle sue notti
con i cardinali, dei loro segreti sussurrati tra
lenzuola di seta, mentre Caravaggio le parlava delle
tele che prendevano vita sotto le sue mani, di come
cercava la verità in ogni pennellata. Tra loro si accese
una scintilla di passione...
Lena e Caravaggio
divennero una presenza fissa in quella taverna. Si
sedevano vicini, le spalle che si sfioravano, mentre lei
lo stuzzicava con racconti piccanti e lui rispondeva con
battute taglienti. “Non ti stanchi mai di queste
bettole?” Gli chiese una sera. “Sempre in cerca di guai,
eh?” Lo prese in giro, sorseggiando il suo vino.
“Solo se i guai hanno i tuoi occhi.” Rispose Caravaggio,
e poi fissandola intensamente aggiunse: “Come fai a
incantare cardinali e ubriaconi con lo stesso sorriso?”
Lei rise, dandogli una spinta scherzosa. “È un talento,
pittore. Anche nel mio mestiere e non solo nel tuo ci
vuole talento.” E mentre un suonatore di liuto
strimpellava una melodia stonata, lenta e malinconica
gli chiese con un filo di apprensione: “Ma tu? Sempre a
litigare con la guardia pontificia. Un giorno ti
metterai nei guai veri.” Lui sorrise: “Finché ho te a
tirarmi fuori, non mi preoccupo,” ribatté lui, e per un
momento i loro sguardi si intrecciarono, carichi di
promesse non dette.
Quando Lena accettò di posare
per Caravaggio, l’atelier divenne il loro santuario. Era
uno spazio caotico, ingombro di tele, barattoli di
pigmenti e pennelli sparsi. La luce entrava da una
finestra alta, cruda e spietata, e Caravaggio la
manipolava con tende e specchi per creare i suoi
drammatici chiaroscuri. Lena posava per ore, trasformata
sotto le sue mani in una Madonna o una santa, il volto
illuminato come se fosse toccato da un raggio divino.
La prima volta che posò per “La Madonna dei
Pellegrini”, Caravaggio la fece sedere contro una parete
scrostata, un bambino tra le braccia, i piedi nudi e
sporchi. “Non muoverti.” Le ordinò, aggiustando un
drappo rosso attorno alle sue spalle. “E smettila di
guardarmi come se volessi pugnalarmi!” “Non è un
pugnale che ho in mente…” Rispose Lena, con un sorriso
malizioso. “Ma se continui a farmi stare ferma così,
potrei cambiare idea. Fa freddo qui, sai?” “Freddo?”
Caravaggio alzò un sopracciglio, senza smettere di
dipingere. “Con tutto il fuoco che hai dentro? Non ci
credo. Ora taci e fai la santa.” “Santa?” Rise lei,
spostando leggermente la testa. “Hai scelto la modella
sbagliata, Michelangelo. Non sono tipo da aureola.”
“Lo decido io…” Ribatté lui, avvicinandosi per
correggere la posizione del suo viso. Le sue dita le
sfiorarono la guancia. “Tu sei tutto quello che voglio.
Santa, peccatrice, non importa. Sei perfetta.” Lena
lo fissò, il sorriso che si spegneva in qualcosa di più
serio. “Parole pericolose, pittore. Non fare promesse
che non puoi mantenere.” “Non sono promesse…” Mormorò
lui, tornando alla tela. “Ma ora sta’ ferma, o ti lego a
quella sedia.”
Le sessioni erano lunghe, spesso
interrotte dai capricci di Lena, si lamentava della
scomodità, del freddo, delle troppe ore. Caravaggio la
provocava, ma tra loro cresceva un’intimità oltre la
passione che entrambi non avevano previsto. Durante una
pausa, mentre si scaldavano con un bicchiere di vino,
lei gli chiese: “Perché io, Michelangelo? Roma è piena
di donne, di cortigiane. Perché vuoi dipingere me?”
Lui la guardò, serio per una volta. “Perché tu sei vera,
Lena. Non nascondi chi sei. E io dipingo la verità, non
le bugie.” Lei non rispose, ma il modo in cui lo
guardò disse più di mille parole. La loro passione si
accese una notte, durante una sessione per “L’Estasi di
Maria Maddalena”. Lena era sdraiata su un drappo rosso,
i capelli sciolti, gli occhi socchiusi, il corpo
abbandonato come in un sogno. La luce di una candela le
accendeva la pelle, e Caravaggio, per la prima volta, si
fermò. Il pennello gli cadde di mano, e la guardò come
se la vedesse per la prima volta. “Lena,” sussurrò
con la voce impastata di desiderio. Lei aprì gli
occhi, lentamente, e lo fissò. “Che c’è, pittore?”
Chiese, ma c’era un tremito nella sua voce, come se
sapesse cosa stava per accadere. “Non ce la faccio
più.” Non ce la faccio a dipingerti senza toccarti.”
Lena si alzò, il drappo scivolò a terra. “Allora non
dipingermi. “Toccami.”
Non ci fu bisogno di altre
parole. Caravaggio la attirò a sé, le mani ruvide le
slacciarono il corsetto con una fretta disperata. Le
loro labbra si unirono come se volessero divorarsi a
vicenda. Crollarono sul pavimento dell’atelier, tra tele
e pennelli, i corpi intrecciati sotto la luce tremula
della candela. Fu un atto selvaggio, urgente, come se
temessero che il mondo potesse strapparli via da un
momento all’altro. Lena gli graffiò la schiena, lui le
mormorò parole insolitamente tenere, e per quella notte
furono solo loro, due anime che si erano trovate nel
caos.
Il loro amore bruciò come una torcia,
intenso ma destinato a spegnersi. Caravaggio, con la sua
natura indomabile, non poteva essere fedele, e Lena,
troppo libera per essere posseduta, non lo pretese mai.
Quando lui fu costretto a fuggire da Roma, dopo l’accusa
di omicidio, Lena rimase indietro, il suo volto
immortalato nelle tele, da prostituta a Madonna eterna.
Nelle osterie romane, tra i vicoli e i ricordi, si parla
ancora di loro: il pittore ribelle e la sua musa, un
amore che sfidò il peccato e si trasformò in arte.
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ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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