Probabilmente siamo in California, una strada
polverosa, quattro case sparse, quattro case al sole, a
pochi chilometri da San Francisco, dove curva un fiume
secco, dove l’aria si fa spessa, calda di provincia, e
tutt’intorno una vista, ossuta, gialla e rinsecchita,
della Grande Depressione, del grande Sogno Americano.
Probabilmente un’auto corre, lungo la Statale,
s’insinua tra le buche, il sole e le sterpaglie, ai lati
sassi irregolari, residui di deserto, al volante Cat
fuma, fuma e guarda fuori, dalla sua Buick nera, usata e
rumorosa, al volante un cappello, di tela da cow-boy, ma
lui non è un vaccaro, non ha mai munto una mucca, e
nemmeno l’ha mai vista, partorire un vitello. Ora
rallenta e guarda fuori, si vede che è di passaggio, ed
un paese vale un altro, forse questo sta pensando,
mentre scaccia un insetto, ma non si sa da dove venga,
né tanto meno dove vada, ma di fatto pigia il freno,
forse deve far benzina, o ha una noia al motore, e
guarda il fiume secco, che corre parallelo, e guarda le
case sparse, in cerca di un’insegna, ma forse è solo un
vezzo, di un uomo che ha tempo, forse un bisogno, forse
ha solo voglia, del caldo di un caffè, del ghiaccio di
una birra.
Probabilmente non conosce questi posti
e Cat è solo uno straniero, e chissà quale incrocio, e
quale buca inconsistente, l’ha portato fino a qui, in
questa landa cotta, con un ghigno di stanchezza, da
girovago incallito, forse è in cerca di lavoro, o forse
altro o forse nulla, ma si vede che non è un furfante,
sicuramente uno spiantato, in cerca di situazioni, più
torbide che chiare, come l’acqua del suo motore, che ora
bolle e sta fumando. I suoi capelli hanno timidi
riflessi, di biondo quasi rosso, di giallo di deserto,
per questo si chiama Cat, anche se il suo nome è un
altro, per questo somiglia a un gatto, sornione e
furbastro e le sue mani sono sporche, di olio e grasso,
forse un guasto del motore, forse giorni che non le
lava, ma con quelle mani di certo ci sa fare, eccome ci
sa fare, eccome le scompone, e le affonda da esperto,
nel ventre dei motori, le alza e le riabbassa, le
sfarfalla e poi le leva, esattamente come quando,
conquista le sue prede, saccheggia dentro carni, come un
onesto vincitore, e con cura e con solerzia, le muove
tra le gambe, come fossero cilindri, pistoni e candele.
Perché Cat è un uomo bello, e con le donne ci sa fare,
perché sono la sua linfa, e il suo sostentamento, e da
esperto le fa danzare, sapendo di piacere, perché sotto
quella maglia, c’è un uomo forte e maschio, e sotto i
pantaloni, arnesi e muscoli da letto, e di certo non
delude, l’amore senza trasporto, quello rapido dei
sottoscala, o tra i rovi all’aperto, e da queste parti,
è merce rara, saper fare sesso buono, senza un briciolo
d’affetto.
Probabilmente qualche donna, lo ha
fatto anche innamorare, ricca, elegante e signora, e di
certo qualche dollaro, è uscito dalla borsa, ma non è
questo il punto chiave, se non fosse per il rimpianto,
se non fosse che è uno sbandato, sempre in cerca di
lavoro, e per quei pochi cent, che si perdono in tasca,
ma lui ora pensa ad altro ed il passato è una Statale,
vista dentro il vetro rotto, dello specchietto
impolverato. Ora rallenta e poi si ferma, la luce nei
suoi occhi è fioca quasi spenta, perennemente
all’imbrunire, a volte buio fitto, perché Cat non ha più
fiducia, e questo è un altro tentativo, chissà a quanti
avrà già chiesto, uno straccio di lavoro, chissà quanti
hanno risposto, un no secco con il capo, muto senza
dire, una parola di conforto, una piccola fiammella, per
provare e riprovare.
Probabilmente Cat, ora ha
aperto lo sportello, e si fa il segno della croce, a
caso e involontario, ma non essendo un osservante, è
solo uno scongiuro, quando incerto ora cammina, vicino
ad un’aiuola, e costeggia un’ombra scarna, di un
oleandro striminzito. Pesante è l’andatura, stanca la
sua faccia, con un ghigno di sorriso, cotto sotto al
sole, e una boccata d’aria, per sconfiggere l’affanno, e
uno sputo denso in terra, per via dell’arsura. Sarà
circa mezzogiorno, oppure poco dopo, sta di fatto che
non c’è nessuno, tranne un cane mezzo morto, mezzo lupo
e bastardo, di dubbia provenienza, accucciato sotto
l’ombra, dell’oleandro striminzito. Di fronte a lui un
piazzale, di polvere e di sassi, a lato uno scalcinato,
distributore di benzina, una sola colonnina, rossa e
sbilenca, ma Cat fa due passi, con le mani sempre in
tasca, chiama, fischia e guarda il cane, ma nemmeno lui
risponde, forse deve far benzina, o forse cerca un
pretesto, ma Cat non è un ladro, cerca solo
un’occasione, perché Cat ha buone braccia, perché Cat ha
buone mani, e se serve buona lingua, anche se lui parla
poco, qualche volta due parole, altre un verso è
sufficiente.
Probabilmente il sole scotta, ed è
indeciso sul da farsi, guarda l’insegna e guarda in
alto, si copre gli occhi con la mano, alza la maglia
fino alle spalle, il suo fisico è perfetto, i suoi
muscoli sono da maschio, da letto o in piedi per dovere,
da amante indefesso, di donne con la fede. Chissà
davvero quante, Cat ne ha già avute, chissà di quante
ancora, è colmo il suo destino, le vede all’orizzonte,
in ogni luna della notte, tra quelle case sparse, o
dentro quel locale, ma adesso Cat pensa ad altro, per
ora si ripara, gli occhi con la mano, dal vento e dalla
sabbia. Eccolo lì Cat, trentenne quasi biondo, rosso
ocra, e grandi spalle, abbronzato o solo sporco, immerso
in una scena, che ricorda on the road, con i jeans
consumati, e la maglietta stretta, sembra uscito da un
film, da un romanzo di Jack Kerouac, ma non siamo
nell’era beat, della protesta americana, qui si vive
alla giornata, come si alza la mattina, e sbarca il
lunario, pensando a se stesso, perché Cat è abituato, a
vivere al confine, di frontiere cupe, senza mai
sorpassarle, ed è per questo che ora pensa, ed è per
questo che respira, pronto a mettersi nei guai, col suo
futuro tra le mani, e misurare quanto vicino, sia adesso
quell’odore, vero e inconfondibile, dei prossimi
problemi.
Probabilmente sulla facciata, c’è
un’insegna nera, c’è scritto Black Cock, e sembra un
ristorante, Cat pensa ai pochi cent, poi decide di
entrare, forse non è solo fame, forse solo per il
fresco, comunque entra, decisamente entra, e dentro è
buio pesto, le finestre sono chiuse, per via del sole
alto, del caldo di California, per via di quell’estate,
torrida ed afosa. I suoi occhi si abituano all'istante,
ed ora seguono diritta, una lama di luce lilla, che
taglia nette in due, le travi del pavimento, e sale,
scende e muore, sui tavoli e le sedie. Lì dentro non c’è
nessuno e lui ora fischia, per attirare l’attenzione,
per non sentirsi in difetto, ma l’impressione è che i
clienti, siano davvero merce rara. Ma lui non ha fretta
e sa anche aspettare, finché un’ombra tonda, grugnisce
dentro il buio, ha le mani unte, e uno strofinaccio
sulla spalla, ha una gamba claudicante, e due denti
persi chissà dove. È un tipo grasso e basso, da greco
meridionale, e non ride e non parla, perché nulla c’è da
dire, solo un gesto muto, per il posto più distante, un
modo come un altro, per toglierselo dai piedi.
Questo pensa Cat, mentre si siede e guarda intorno,
questo pensa Cat, felino e sornione, in cerca di una
toilette, ma è fuori e ci rinuncia, e poco dopo torna
l’uomo, sbattendo su quel legno, due posate ed un
boccale, di birra fatta in casa, gialla, torbida e
pastosa, che sa di orzo e di malto, ma è fredda e Cat
beve, prima che il greco poi ritorni, con un piatto di
cetrioli, inzuppati nello yogurt, con un piatto bianco e
verde, con feta, pepe e salvia. Ora il greco parla, e la
sua voce è catarrosa, dice che è un piatto greco, con la
variante della salvia, e Cat che ci crede, e Cat che
s’ingolfa, ma a volte quella voce, sparisce dentro il
buio, perché lui pensa ad altro, e vuole sfidar la
sorte, imbrogliare la sfortuna, e seguire il destino, e
dice al greco che è disperato, senza un cencio di un
lavoro, e quel piatto di cetrioli, è soltanto un
sollievo. È un attimo, un secondo, un rantolo d’aglio
fritto, è Milos che adesso suda, poi s’accomoda vicino,
chiede a Cat se ha soldi, se può pagare il pranzo, ma
poi si blocca, pensa e fiuta, ha già in mente un grande
affare. Al greco serve un tuttofare, per mandare avanti
la baracca, e gli propone vitto e alloggio, e una
miseria a settimana, gli dice che è la stessa paga, che
dava al precedente, ma Cat è titubante, pensa e
s’ingozza di cetrioli.
Probabilmente il greco
sa, che questo è il momento, colpito da quei muscoli,
adatti all’officina, ma non sa e non può sapere, che
servono anche ad altro, per giovani sposate, e signore
d’alta classe, oppure forse sa, per questo lo tiene in
pugno, e come se il destino, volesse dargli una mano,
improvvisamente un’ombra fende, il buio e quel silenzio,
e rumori netti e secchi, di passi sulla scala, e Cat ne
è distratto, segue la luce lilla e guarda verso quei
rumori. Il contorno ha una forma d’anfora, di femmina
che cammina, la sagoma del seno, sa di latte e
meridione, i fianchi morbidi una curva, un segno del
destino, e poi la voce calda, gli zigomi pronunciati, le
labbra appena rosse, di carne poco cotta. Insomma è
bella e giovane, e il greco ora la chiama, le ordina di
servire, ancora pane e birra, ancora un po’ di yogurt,
per il giovane affamato, certo d’averlo in pugno, per la
pompa di benzina.
Probabilmente il suo nome è
Clara, la sua pelle raso e seta, i suoi capelli un
fascio biondo, di grano ossigenato, il suo didietro due
mezze curve, di un perfetto arcobaleno, ricco ed
abbondante, come un pieno di gasolio. Ora Cat si
stropiccia gli occhi, non può credere a ciò che vede, e
si chiede quanta differenza, corra tra quei due, anzi
no, ora ha altro a cui pensare, ripassa a mente la
proposta, pochi dollari a settimana, una miseria
veramente, ma si vede già nell’officina, disteso sotto
un camion, ora alla pompa di benzina, per due dollari di
carburante.
Probabilmente il greco, è seduto
all’aperto, all’ombra striminzita, di un oleandro senza
fiori, ha sul viso un cappello, per ripararsi dalla
luce, parla e russa e con la mano, scaccia mosche ed
insetti, finalmente può riposarsi, finalmente ha più
tempo, per la spesa mattutina, o la siesta al
pomeriggio, per dedicarsi a Clara, tutti i giorni alle
cinque. Lei intanto è nel retro, nel ripostiglio della
birra, e prepara il letto, per l’ospite gradito, e non
pensa al suo tempo, lei non sa cosa vuol dire, lei è
soltanto una serva, che manda avanti la baracca, e Milos
non è suo marito, ma solo il suo padrone, perché lei
come Cat, si presentò un giorno presto, e il greco fiutò
l’affare, e le diede vitto ed alloggio.
Nacque
tutto così per caso, e per caso lei rimase, e sin dalla
prima notte, andarono a letto insieme, e sin dalla prima
notte, fecero l’amore, o qualcosa che a Clara, sembrava
tanto buffo. Ed ora da quel giorno, sono passati dodici
anni, ma la valigia sotto il letto, non l’ha voluta mai
disfare, perché Milos le confidò un giorno, che era già
sposato, con una donna molto giovane, più o meno l’età
di Clara, ed era bella come una rosa, elegante come un
fiore, e lei Joanna adesso vive, sola vicino a San
Francisco, in una casa col giardino, vicino alla
stazione, e lavora in un locale, dove balla, canta ed
arrotonda, e non ha mai avuto figli, né li vuole avere.
Probabilmente ora Clara, guarda l’orologio, e
manca poco alle cinque, quando si prepara per l’amore,
quello strano e buffo, senza la minima erezione, ma
questo a Clara non dispiace affatto, anzi spera ogni
volta, che sia quello e niente altro, come fosse una
missione, come fosse una cura, e s’infila dentro il
letto, come farebbe un’infermiera, anche se a dire il
vero, sente ancora quel disgusto, la pelle di lui
rugosa, e vecchia e grassa e di cattivo odore, ma poi a
tutto si fa il callo, tutto diventa abituale, come non
sapere, cosa significhi un orgasmo, come considerare il
sesso, una mera incombenza.
Ed il greco viene,
ogni giorno puntuale, come un sesso a pagamento, e la
minima erezione, un batuffolo d’ovatta, un pisello senza
grani, anche se a lungo andare, ha trovato la sua
nicchia, tra le labbra morbide, e le fantasie a voce
alta. Perché il greco è geloso, e su quello gioca e
viene, così geloso della sua donna, che alle volte non
può evitare, di immaginarla posseduta, da avventori del
locale, o da George l’ambulante, o da Serge il francese,
e Clara si è più volte chiesta, per quale razza di
motivo, probabilmente perché il greco, sa di non poterla
soddisfare, e quindi scaccia dalla sua mente, ogni
minimo sentore, o per essere preparato, in caso lei
volesse, ma s’illude Clara, perché mai potrà accadere,
s’illude Clara quando attimo dopo attimo, partecipa
all’evento, e fa proprio quell’orgasmo, come fosse il
suo piacere, come fosse lei a venire, perché sa che sarà
libera, almeno per ventiquattro ore.
Probabilmente sono le cinque, ed il greco si sta
alzando, e poggia il cappello, di paglia sulla sedia, e
dice in greco qualcosa al cane, e si dirige verso casa.
Cat da sotto il camion, lo osserva attentamente, lui non
sa, non può sapere, cosa avverrà tra un momento, il
greco entra, e spranga la porta, e forse passa un
niente, o forse poco meno, quando sente chiaramente, il
cigolio di un letto sfatto, e poi gemiti ripetuti, più
simili ad un grugnito. Ferma di colpo i suoi attrezzi, e
immobile si lascia andare, ed immagina quel seno, ora
nudo, ora coperto, poi la immagina distesa, a dir poco
ospitale, intenta a sopportare, quella massa di carne
flaccida. Ha un brivido di disgusto, quando sente quei
grugniti, come rantoli di cane, schiacciato
sull’asfalto, e Cat non può sapere, cosa si stia
consumando, in quella stanza al primo piano, in
quell’alcova al Gallo Nero. Chissà cosa darebbe ora, per
vederli in quel momento, così diversi, così stonati,
così Zenit e Nadir, e come possano far l’amore, e come
lui ne sia capace, ma poi rimane in silenzio, fino allo
strascico più lungo, dell’atto che si propaga, come
un’eco nel deserto.
Probabilmente ora si chiede,
come mai abbia sentito, solo rantoli di maschio, senza
un gemito di donna, per questo ora accenna ad una specie
di sorriso, che non è un vero assenso, ma un cenno
d’aver capito, perché Cat se ne intende, di donne mai
sazie, e la curva di quel seno, è un chiaro gemito
mancato, e quelle labbra rosse, un invito in prima fila.
Ecco ora è un’ora dopo e Milos si allontana, leggero e
soddisfatto, sulla sua Chrysler da trasporto, e noi ora
sappiamo, cosa Cat stia pensando, quando all’orizzonte,
lontano sulla Statale, la macchina del greco, diventa un
punto nero. Forse è già tardi, e non c’è da perdere un
istante, ed eccolo Cat, bello, biondo e solo maschio,
che cerca di entrare, dal retro della casa, perché sa
che molti occhi, sono sempre lì in agguato, e le
malelingue, hanno sempre orecchie pronte.
Probabilmente pensa a questo, oppure ad una scusa, ma
non può immaginare, di trovare la porta chiusa, allora
bussa, discretamente bussa, con forza bussa, decisamente
bussa, ma Clara sta dando il resto a un cliente di
passaggio, e ci impiega il tempo giusto, perché il
destino ci ripensi. In effetti Clara aspetta, lentamente
aspetta, forse sa che quel rumore, non è il solito
rumore, e sa che quella porta, non apre solo quella
porta, ma sa di guai in vista, di corna e tradimenti, e
per questo aspetta, per questo è importante, che lei
misuri il tempo, di quanto Cat aspetti. Per qualunque
cosa voglia, per qualsiasi motivo aspetti, e quando
Clara si decide, si sa che il diavolo si crede furbo, ma
poi si scorda i coperchi, e dalla porta principale,
entra il greco trafelato, come se avesse avuto, almeno
un sesto senso, come se quel senso, avesse già il
sospetto, e urla dov’è Cat, e poi bestemmia ed inveisce,
anche se poi il pretesto, è solo un aiuto, quattro casse
da scaricare, di birra, aglio e cetrioli.
Immagina ora la mattina, quella del secondo giorno,
immagina il sole alto, e campi di cotone, qualche cactus
in lontananza, mentre Cat è sul piazzale. Eccolo lo
vedi? Sorseggia un caffè freddo, probabilmente sta
pensando, al pomeriggio precedente, ed ipotizza se
Clara, avesse aperto prima, e non si fosse trattenuta, a
dare il resto della birra, oppure no, pensa se Milos,
fosse arrivato poco dopo. Ecco ora immagina, cosa Cat le
avrebbe detto, forse niente, forse tutto, o soltanto
scena muta, forse che al destino, non si può mai
sfuggire, o forse solo complimenti, guardandola negli
occhi. Perché Clara è bella, come una donna
maritata, bella come un oggetto, che mai si vuol
spartire, sensuale come un fiore, lasciato appassire,
perché Cat conosce le donne, eccome le conosce, e mai
poi ha smesso, di leggere nel cuore, per lui sono un
libro aperto, ed è difficile sbagliare, dal colore del
rossetto, dal taglio dei capelli, ed è quasi uno
scherzo, misurare il tempo che ci vuole, compresi quei
timori, prima di lasciarsi andare, tranne in questo
caso, perché è pronto a giurare, che la strada è un
fiume in piena, liscia e dritta come la Statale, che la
meta è un’oasi verde, tra le sterpaglie del deserto.
Ed eccola Clara che esce dalla porta, lo saluta ma
non sorride, poi si ferma a qualche metro, ha un vestito
lilla, fin sopra il polpaccio, la stoffa è leggera, e
plana morbida sui fianchi, e Cat non può fare a meno, di
ammirarla e di rischiare, che il greco esca trafelato,
minacciando di sparare, ma lei non se ne cura, ed
ostenta i suoi passi, ha un modo di camminare, che va
oltre i suoi pensieri, e dalla caviglia sale e sale, lui
sa come salire, e mentre sale sogna, immaginandone le
forme, la parte morbida e calda, dove un uomo si può
scottare, ed è un turbinio di desideri, ed è un
disordine di voglie, è Clara che se ne accorge, e Clara
lo lascia fare, sicura che non è peccato, lasciarlo
immaginare, lasciare che quel sogno, la tocchi e poi la
sfiori, oltre l’orlo dei pensieri, oltre l’orlo della
stoffa, perché è un attimo soltanto, sono brividi più in
fondo, e intuisce che il destino, è a portata di una
mano, ed è questo grosso camion, fermo sul piazzale, che
toglie la vista al greco, e li ripara dalla Statale,
perché il destino è un uomo biondo, che la vorrebbe
divorare, e lei si sente ossa e carne, da condire e poi
spolpare.
Ecco ora ci vorrebbe, davvero poco o
niente, ma non può essere lei, a fare il primo passo,
non può essere lui, ad allungare quella mano, allora
aspettano, ma non sanno cosa, ma decidono di aspettare,
e sembrano minuti, ma sono dei secondi, sottintesi muti,
che sanciscono un’intesa, e sono segni taciti, che
spiegano ogni cosa. Quando lei sorride, e di proposito
s’inchina, per via della scollatura, che non passi
inosservata, ed è un attimo incerto, un invito
perentorio, un frammento di intimità, che apre ogni
scenario, probabilmente lei si chiede, se sia giusto
ostentarlo, probabilmente lui si chiede, come fare per
governarlo. Ma Clara ora rientra nel locale e pensa che
un gesto vale un altro, e non è quel dettaglio, che
cambia la sua storia, non è un seno più o meno grande,
che fa bello il suo giorno. Anche Cat pensa e non sta
più nella sua pelle, vorrebbe agire in fretta, seguirla
nel locale, vorrebbe dire al greco, che sa come
aiutarlo, perché non c’è più disgrazia, sventura ed
ingiustizia, di una donna trascurata, di una moglie
insoddisfatta. Ma è lì disteso sotto il camion alle
prese col motore, e Clara con uno straccio, da spolvero
sul bancone, e senza che una parola, sia uscita dalle
loro bocche, incredibilmente sono oltre, oltre il primo
approccio, e la domanda è una sola, che frulla nel
cervello, e la domanda non è se far l’amore, ma dove e
quando farlo. La domanda è un’attrazione, che sfida la
buona sorte, e se ne frega di quel greco, del vitto e
dell’alloggio, e probabilmente Cat, è già nel vortice
dei sensi, quando il greco all’una in punto, lo invita
per il pranzo, ed ora Clara è accanto a lui, poi si alza
e si risiede, è vestita di giallo grano, ed ha raccolto
i capelli, e il suo seno è più appetibile, del piatto di
cetrioli.
Probabilmente la penombra, è la stessa
del giorno prima, come la lama di luce lilla, che taglia
in due le travi, e come fosse un amante, si insinua tra
le sedie, e sale lungo la gonna, e su quel seno va a
morire. Cat è titubante, ma poi accetta quell’invito, ed
il greco è stanco e fiacco, e mangia a capo chino, la
sua bocca è a tre centimetri, dal piatto e dai cetrioli,
ogni tanto biascica parole, poi balbetta e tartaglia,
per via della lingua, per via di quei denti. Si lamenta
per la cisterna, ormai a secco priva d’acqua, e maledice
Dio, il tempo ed il governo, e non si rende conto, per
il buio e per la birra, che la mano di Cat è già
altrove, tranne che sul piatto, perché altrove è solo un
posto, ombreggiato se c’è il sole, fresco se fa caldo,
bollente quando è inverno, ed è uno sguardo che non si
incrocia, è l’inizio della meta, l’intesa di due amanti,
che sfidano la sorte, che guardano il piatto, e guardano
il greco.
Perché altrove è un varco aperto, un
pertugio in un recinto, un oleandro striminzito, una
spugna assorbente, è terra arida quando piove, un fiore
che si schiude, altrove è un momento, che non ha ieri e
né domani, è un odore intenso e forte, che sa d’umido e
d’amore, un gesto ed un istinto, un impulso naturale,
come mettere le mani, dentro un motore, perché altrove
sono due gambe aperte, femmine in attesa, è carne vuota
tra le dita, sopra il legno senza stoffa, è questa mano
assillante, che dà sollievo e non dà tregua, e dà
piacere e distanza, una meta all’orizzonte, un soffio di
vento caldo, che dà conforto e fa sudare. Altrove è il
greco a capo chino, che a volte rutta, altre russa,
altrove è una scommessa, un terno secco a lotto, è
questa pelle grassa e calda, che a caso si chiama Clara,
bella e pronta come un vitello, lasciato sanguinare,
come i funghi per il sugo, lasciati ad essiccare, e Cat
tocca e poi ritocca, struscia, striscia ed accarezza,
come fosse un pistone, per sentirla poi vibrare, altrove
è un fiato caldo, muto a bocca aperta, che ingurgita
aria densa, senza potersi liquefare.
Poi di
colpo tutto muore, come il tonfo di una pigna, dove
prima c’era il prima, e dopo un’eco muto, e dopo c’è il
greco, che si sveglia all’improvviso, e continua a
mangiare, come nulla fosse accaduto, o non avesse mai
russato, e i due amanti così vicini, non ancora due
amanti, ma lei la moglie del padrone, lui solo un
lavorante, e probabilmente il greco, si scola un’altra
birra, e probabilmente chiede a Cat, come vada il
lavoro, e tutto ciò che è successo, fosse davvero
naturale, e quella mano un compenso, o il giusto acconto
di una paga. Cat non sa che dire, non gli vengono
parole, ha la prova tra le mani, l’odore tra le dita, e
lo sente forte come una condanna, secco come una
sentenza, ed ha paura che il greco, lo riconosca tra i
cetrioli, e intanto mugugna versi, ma vorrebbe stare
altrove, in quell’altrove dove ogni cosa, torna al posto
giusto, perché ora è giusto, che il greco si alzi e
chiami il cane, e si diriga sbadigliando, sotto
l’oleandro.
Probabilmente il greco non ha sonno,
ed è solo ubriaco, ma è il destino che lo guida, che lo
spinge all’aperto, lui non sa che è una siesta, molto
diversa dalle altre, non sa davvero cosa, stia per
accadere. Perché Clara sta salendo e sa dove sta
andando, è un rischio ineluttabile, che corre lungo la
spalliera, sopra le lenzuola bianche, che sanno di
bucato, perché non si può far l’amore, sopra un letto
sporco, non si può cambiare vita, sulle lenzuola usate,
perché è il destino che la guida, ed ha voluto che le
cambiasse, come prima ha voluto, che fosse nuda al
naturale, sopra quella sedia, dentro quella mano.
Probabilmente anche Cat, ora sta salendo, di corsa le
sue scale, senza il bisogno d’orientarsi, annusa l’aria
e l’odore ed eccolo che ora entra, senza perdere altro
tempo, perché il tempo è poco, il tempo è quasi niente,
il tempo è un momento, senza passato e né futuro, senza
il greco che sta dormendo, sotto l’oleandro, il tempo
sono quattro case sparse, e la Buick nera che rallenta,
è Cat che le bacia il collo, e lei a conchiglia si
richiude, lui in piedi e lei in ginocchio, poi distesi
sopra il letto. I movimenti sono a scatti, i loro
pensieri quasi folli, non c’è governo in quelle mani, né
opposizione in quelle cosce, solo un gorgo, una spirale,
più simile ad una tormenta, di baci e morsi con le
labbra, di bocche che si separano, poi violente si
ritrovano, e si lasciano ferite, di sangue e di saliva,
d’inganno senza colpa, di voglia irruente, di muscoli e
metallo, sopra quel ventre aperto, che ora non aspetta,
sopra quell’istinto a gocce, che ora si spalanca.
E sono spilli come istanti, che allungano l’attesa,
parlano senza parole, mugugni impazienti, versi
strascicati, accordati ai movimenti, tracce d’umore
denso, nell’oblio del riflesso, sono nudi senza saperlo,
vestiti d’incoscienza, prede d’un destino, a cui tutto è
concesso, senza più il potere, di poterlo contrastare, o
ragione che a ragione, abbia il sopravvento. Lui la
chiama Clara, lei uomo finalmente, Dio quante notti, a
sognare quel momento, a dargli un volto vero, come vuole
il desiderio, a dargli un sesso duro, tra le pieghe di
un concetto, e sentire brividi di miele, nella parte più
capiente, sicura che quel giorno, non fosse poi
distante. Ripete uomo mio, uomo finalmente, come se
tutti quegli anni, fossero stati un’attesa, come se lui
fosse il postino che bussa per due volte, con la
speranza intatta, di vederlo arrivare, giorno dopo
giorno, mese dopo mese, e lui fosse in ritardo, per un
banale contrattempo.
Probabilmente Cat, con una
mano le copre il pianto, e poi la gioia ed il dolore,
stati d’animo confusi, e fusi ora si cercano, nell’oltre
dell’altrove, come se nulla ora bastasse, come se quei
corpi nudi, fossero solo uno strumento, e si cercano in
quell’altrove, d’anima e di carne, e lui sfiorasse
l’infinito, con l’indice ed il medio, e lei aprisse i
suoi palmi, per esser più capiente, perché lei lo sta
accogliendo, come se non avesse fine, e fosse nettare ed
essenza, sostanza primordiale, come se fisicamente,
avesse un senso andare oltre, oltre il quale ci fosse
ancora, un’ampolla di piacere, per questo si fanno male,
per questo si fanno bene, per questo lui la lascia
andare, in un volo senza spazio, per questo lei ora
esplode, senza curarsi di quell’urlo, per questo il
greco dorme, incatenato dal destino.
Probabilmente il greco dorme, con un occhio solo, oppure
sta sognando, oppure sta sentendo, due amanti che si
cercano, avvolti dentro un letto, e sarebbe un delitto,
spezzare quell’amore, proprio ora che un urlo intenso,
esplode verso il cielo, proprio ora che un seme denso,
feconda quell’ardore, e sale nel posto giusto e si
insinua nell’altrove, dove c’è l’unica ragione, per cui
il greco può dormire. Probabilmente ha già fatto i
conti, di paga e straordinari, probabilmente aveva già
previsto, che fosse solo per due giorni, ed ora lo sta
aspettando, in piedi sul piazzale, per dargli il
benservito, e una pacca sulle spalle, compreso questo
extra, senza grasso e né motore. Probabilmente ha
pensato a tutto, e ride sotto i baffi, se Cat non fosse
l’uomo giusto, se occorresse riprovare, e tra un mese o
poco più, non ci fosse alcun ritardo, accoglierà un
altro biondo, con un’altra Buick nera, in cerca di
lavoro, in cerca di una storia, tanto sa che poi accade,
basta chiudere un occhio, offrirgli una zuppa, o una
crema di cetrioli, e far finta d’avere sonno, oppure una
sbornia, e non sentire ciò che accade, sotto un tavolo
di legno, e non vedere Clara in fiamme, che sale quelle
scale, come fosse un richiamo, come fosse un invito,
mentre lui riposa all’ombra, di un oleandro striminzito.
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