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Adamo Bencivenga
Cammina sulla riva
del mare
Cammina cammina sulla riva del mare, lei porta un cappello di paglia
leggero con un ciondolo antico di sua nonna scomparsa, fuggita una notte
calda d’agosto. Era bella sua nonna in bianco e nero a cavallo, profilo
spagnolo e zigomi alti, pittrice per hobby, moglie per forza, morta di
parto negli anni sessanta.
Cammina cammina e il sole la indora col vento che soffia e caldo l’avvolge
del vestito di garza, dei capelli d’ovatta che lunghi, che neri, le
coprono il viso. In riva al tramonto l’ombra s’allunga e fitta disegna sul
mare la forma e solca il risucchio del contorno di spuma che scorre e
galleggia a pelo sull’acqua.
Cammina cammina e la gonna che ammicca, la fa sentire più bimba degli anni
che porta, nell’infinita ricerca di non essere sola, ma parte integrante
di questa natura. Come una gemma, un granellino di sabbia, che da solo non
serve e neppure fa spiaggia, spaiata dal mondo scompagnata dal resto, come
calze di seta messe di fretta.
Cammina cammina riparata dal sole, da un ombrellino di carta di riso
cinese, più attraente d'un’ape che sciama e si posa, d’una bimba che canta
canzoni di guerra. Le ripassa a memoria come fossero nenie, come fossero
gambe che si snodano esperte, lasciando la voglia alla gente che passa,
d’affogarci le mani e non essere sola.
Cammina cammina, l’ha coperte d’un niente, d'impalpabile nero come se
sotto quell’orlo, ci fosse una donna a forma di ventre, in perfetta
simbiosi con questo tramonto. Sarà questo vento che le imbroglia i
pensieri e le scompone i capelli dopo ore allo specchio, ma stasera si
sente terra grassa bagnata, di pioggia abbondante dopo giorni di secca.
Cammina cammina e non porta mutande, perché mai le porta quando annusa
l’odore, e gonfia il suo petto scarso e sterrato, ed allarga le gambe al
vento che sbatte. Alza la gonna ed ostenta il bisogno, s’affida al
mestiere più antico del mondo, perché illusa lei possa contenere ogni
suono, ogni gabbiano e parola trasportati dal vento.
Cammina cammina su questa brezza leggera, che le asciuga la faccia e le
inumidisce la brama, e le fa chiedere ancora come ha potuto saziarsi, d’un
uomo per anni che le scorticava le membra. Cammina e si siede ed apre il
bisogno, dove barche e battelli si stipano a turno, e fitte nel sogno
s’accodano in fila, piene di gente di lingue straniere.
Si sente l’approdo dei loro bisogni, porto ed enclave dove ormeggiano
giorni, passati da soli col resto del mondo, col vuoto alle spalle e la
voglia davanti. Cammina cammina lungo questo tramonto, per sedersi ogni
giorno ed aspettare impaziente, che il vento la sfumi, che l’acqua le
sfami, la sete di essere parte del mondo.
Cammina cammina e la sera l’avvolge, con la luna che gravida partorisce di
giorno, il frutto dei semi notturni e infecondi, lasciati sull’orlo da
uomini inquieti. Se passasse qualcuno vedrebbe una donna, che fa l'amore
col mare e un cappello di paglia, che s’offre e spalanca due gambe
gemelle, in preda all’oblio di sentirsi capiente.
Se passasse qualcuno! Ma chi vuoi che a quest’ora s’inoltri? Neanche più i
cani che sbavano sassi, pittori che intingono i pennelli di sabbia, e
sfumano gli occhi con l’acqua salata! Chi ha desiderio di vedere una
donna, il suo seno che pende come un ciondolo antico e s’appaga le voglie
con gli avanzi del mare, e si sfama le cosce guardando il tramonto?
Cammina cammina e s’accarezza leggera con le dita più fitte nell’intimo
dentro, dove lento si scioglie il prodigio più denso, e corre e s’aggruma
poi a rami si spacca, lungo le sponde come un fiume alla foce, lungo le
gambe e si deposita in mare, mentre il vento che soffia la rigenera
intatta, le asciuga la pelle e lei ricomincia a sognare.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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