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Adamo Bencivenga
Abbandono
Scorre scorre la notte. Scorrono i giorni, guardo il gelso antico
appena piantato in una terra non sua, dicono che
seccherà, ha invece sempre foglie folte e più verdi.
Tutti i giorni lo annaffio, ne accarezzo le gobbe di
croste raggrinzite da anni di pioggia E di vento; tutti
i giorni lo annaffio perché l’estate riarsa che arriva
non ne bruci le gemme a forza rinate dalle deboli radici
strappate.
Scorre buia la notte; non ha forma o
colore né voce, ma la guardo e l’ascolto sapendo
ugualmente che esiste là fuori, oltre il vetro senza
persiana. Siedo sugli scalini di legno di olmo laccato
sapendo che è solo questione di ore, una luce leggera
comincerà a spandere colore alla terra ai profili dei
colli, d’arancio tingerà l’orizzonte e la palla del sole
salirà veloce ad accecarmi gli occhi.
Io ti amo
penso, ti amo sempre. Ti annullo in altri uomini, con
mio immenso piacere. Mi ubriaco di baci diversi e di
vino. Temo di diventare folle. Ma tu lo vuoi, tu
imperterrito, uomo testardo. Tu, dolcissimo sorriso di
traverso che non ricordo. “Non ti cercherò più!” mi
dico, ti dico. Ma ti cerco in altri baci, in altre
carezze. Mangio poco, pochissimo. In compenso bevo, come
mai era accaduto.
E una settimana è passata. Non
ho più letto giornali che parlano di te, e sono pure
felice. Scorre la notte, scorre buia e cupa la notte,
penso alla tua immagine pubblica e al danno che ne
farei, al dolore vero che hai dentro, che ti allontana
da me, che deve essere pure lasciato libero di vivere
perché tu compia quello che devi. Penso ai giorni che
verranno e mai ci vedranno insieme, penso al silenzio e
sono pure felice.
Penso ai giorni in cui guardavo
da lontano le cime dei tuoi monti imbiancate e pensavo:
Avrà freddo? A quando a volte sentivo il vento ululare
e nuvole grigie addosso e nuvole nere a far da cappa e
pensavo dove sarà? Quale strada percorrerà, in quali e
quanti guai e pericoli sarà? In quali gambe velate che
lui adora. E poi al sole. Il sole che indorava la terra,
già splendida dei suoi colori, in quel periodo. I colori
dell’autunno. I miei colori! Quell’ anno le piante
avevano mantenuto le foglie ed era un’esplosione di toni
gialli e rossastri. Ti struggevano l’anima. Mi
struggono l’anima.
Là fuori c’è tutto quel che ho
costruito. È buio e non vedo, ma ho fatto tutto io. I
roseti rampicanti invadono la rete. Colori forti rompono
gli spazi. Finito l'inverno sarà un profumo intenso di
rose e di gelsomino e sarà il profumo della mia vita,
della mia anima, sempre solitaria e sola eppure tenera.
Sprovveduto essere io, rinserrato in se stesso e pur
proteso all’esterno. Sento il tuo silenzio da lontano e
la mia voce da dentro, sicura, serena.
E t’amo,
t’amo sempre e non ti cercherò più! Non mi vedrai più
sola! Non mi vedrai sola. Non mi sentirai più reclamare
il tuo amore! Mai per te. Mai più. Ripeto monotona e
lenta a calmare le parole che salgono da dentro con cui
vorrei spiegarmi e spiegarti una vita che all’improvviso
ha avuto bisogno di te, ripeto monotona e lenta a
scolorire il dolore fitto che mi attraversa le spalle,
che mi stringe il petto e soffoca il respiro. Non mi
vedrai più sola e questa casa bellissima è la mia.
E quel che mi dicevi, in quell’ultimo pomeriggio di
una lunga estate, fra i monti, fra erbe che stavano
rinsecchendo e che non saprei ritrovare, ora sto
riascoltando, quel tuo intenso raccontare e raccontarti.
In quel tuo sorriso soffuso, gli occhi distanti nel
futuro che dicevi era l’oggi, le nostre mani intrecciate
davanti al tramonto, le bocche sorprese a riempirsi
dell’anima dell’altro.
Scorre, scorre la notte e
t’ amo e t’amo infinitamente, le gambe sfinite da un
altro uomo. Ieri, è stato ieri. Mi mordeva di baci ed io
godevo. Mi diceva bella ed io mi sentivo femmina, ma non
eri tu. Ma è quello che vuoi, perdermi, uno ogni sera
tra le mie cosce obbedienti che offro. Lo so che non è
amore, ma solo tradimento ed io ho paura di obbedirti
anche in quei momenti. E ci saranno altre voci: la tua
non tornerà eppure ce l’ho dentro, lenta e monotona. Le
tue risate, il tuo sigaro di traverso, il tuo viso
stretto, dissonante e ruvido.
Ti amo
infinitamente, t’amo. Strappo erbacce dal mio campo e
mi pungo e tu sei la mia terra in cui affondo le mie
unghie. Tu sei lì, sei la mia terra, il mio cuore, la
mia anima. Tu sei il mio sono. Tu sei il respiro
profondo al mattino, quando esco a respirare l’alba e a
toccare il sole. Tu sei lì immancabilmente, tu sei me.
La notte avanza, il buio è schiarito, tante stelle e
ancora terra nera, desidero dormire. Sfinita e femmina
desidero dormire. E io sola nella notte come sempre.
Io e il buio il freddo e le stelle e terra nera.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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