|
HOME
CERCA NEL SITO
CONTATTI
COOKIE POLICY
RACCONTI
Adamo Bencivenga
A te
A
te, che sai di miele di castagno, che sai di resina e di
legno, d’ortica quando viene inverno, di lino e di malva
quando ho il mal di denti. A te, che sai di luna, quella
piena che fa paura e filtra tra i tuoi rovi, quella
rossa che s’immerge nel mare all’orizzonte. A te luna,
quella bianca che ripone, i mali ed i dolori, levatrice
d’ogni pianto, balia di seni enormi, che nutre e che
allatta ogni ora della notte. A te acqua sorgiva che
tutto m’asseta, tu acqua piovana che a gocce si sgrana e
disseta la terra a rigagnoli e rami, nelle lande di
pelle, nelle secche d’attesa, prosciugate negli anni da
arsure d’amore.
A te, mio unico respiro, che sai
piangere e gioire, che strizzi gli occhi per capire, che
sei materia nei miei miraggi, che dai corpo ai miei
sogni, quelli veri ad occhi aperti, quelli falsi quando
parti. A te sole che tramonti, sopra i colli ogni sera e
ti fai arancio e giallo ocra, come l’attesa che
s’allunga, come la vita che s’accorcia, e rendi vano
ogni affanno. A te vino d’ottobre che novello mi
inebria, ancora mosto di raspi e d’uva che rossa, la
pigi, la sgrondi e poi la ritorchi, e spalmi con il limo
di lievito dolce, l’odore che denso sul mio corpo ti
inebria, tra le cosce obbedienti che aspettano l’oltre.
A te, mio delirio, alcova segreta dei miei lamenti,
sorgente che sgorga e mare che nutre ogni gabbiano
affamato che cerca; a te madre infinita, che fai piccolo
un dolore, che fai grande un abbraccio, perché mai so
come ti presenti, mai come t’addormenti, che sei la
notte quando non ho sonno, che sei l’alba quando mi
risveglio, un pensiero intrufolato fra le pieghe del
lenzuolo, una smania tra le onde, tra le righe della
luce che filtra tra gli scuri. A te pane di grano
nutrito dal sole, tu farina di crusca che moli
integrale, perché io me ne sazi e ne apprezzi la vita
come frutto maturo che placa ogni brama, l’esatto
contrario che sale e riempie, la tua parte che vuota
urla e reclama.
A te, mio deserto, che mi perdo
alla tua vista, tra cammelli e carovane che arrancano
sulla sabbia, e lasciano le orme perché possa poi
seguirti, finché un punto all’orizzonte, nero e grigio
tra le dune, mi fa capire la distanza, se un giorno poi
tu mi lasci, se un giorno poi non ritorni. A te sole di
marzo che gemma il mio pesco, tempo d’inverno che
sboccia le viole ed inneva e zittisce la tua terra
feconda, di fertile seme che proteggi nel ventre e mi
scaldi al tepore della tua bocca che freme, al fiato che
forma parole più sconce, che distinguo dai brividi che a
pelle mi sento mentre spandi e mi inondi in simbiosi
ancestrale.
A te, che mi fai sentire importante,
perché nulla è cambiato e lì nevica e qui piove, e sento
ancora quel rumore, di vento e di grondaie, di gatte in
calore tra i vicoli in discesa, che eterni vanno al
mare, che umidi perenni non hanno mai visto il sole. A
te figlia che mi porgi la fronte, per sentire se calda
hai una linea di febbre, a te femmina madre, sorella di
sangue, persa nei sensi di vite vissute, di uomini tanti
di un passato che ignoro, che t’hanno sorpresa a
camminare di notte, seguendo le orme dei tuoi tacchi più
alti. A te che fai bello il mio giorno, che trasformi
l’attesa in un magico evento e ti dipingi le labbra di
porpora e pepe, di seta e broccati la tua pelle che
m’offri, come una concubina che aspetta il suo turno.
A te, che mi rendi l'allegria, quando anche al sole
vedo tutto nero, quando l’arcobaleno si forma con la
pioggia e sospeso ci galleggio ed appeso resto a galla,
perché tu fai leggère le noie d’ogni giorno, le ugge
d’ogni tempo e tu ci ridi ed allarghi il pugno, come per
dirmi “che ci vuole”, come per dirmi che basta un
niente, per rasserenare un nuovo giorno. A te che ti
nutri delle mie parole, che fondo, cucio e foggio i
suoni, e tu che le conservi e le riannodi ricamandoci
dei fiori, come una merlettaia china china, che ricama
la sua tela e disegna a punto croce i suoi santi
favoriti.
A te, anima antica che vede, sente e sa
dov’è l’Amore, lo scova nei meandri oscuri del mio
cuore, nella anse irrigidite dei misteri, dove i ragni
fanno la tela, dove gli anni la mia storia. Ti prego
vieni e lasciati andare, perché io sia la culla che
capiente t’avvolge, perché io sia il tuo ombrello quando
piove, e tu quel raggio di sole che spunta dal mare, nel
chiarore dell’alba che flebile appare ed io ritrovo il
tuo fuoco che brucia all’amore ed invade e si fonde con
l’anima mia.
|
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
© All rights
reserved
TUTTI I
RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
© Adamo Bencivenga - Tutti i diritti riservati
Il presente racconto è tutelato dai diritti d'autore.
L'utilizzo è limitato ad un ambito esclusivamente personale.
Ne è vietata la riproduzione, in qualsiasi forma, senza il consenso
dell'autore
Photo
Alexey tejido Krupyshev
Tutte
le immagini pubblicate sono di proprietà dei rispettivi
autori.
Qualora l'autore ritenesse
improprio l'uso, lo comunichi e l'immagine in questione
verrà ritirata immediatamente. (All
images and materials are copyright protected and are the
property of their respective authors.and are the
property of their respective authors.
If the
author deems improper use, they will be deleted from our
site upon notification.) Scrivi a
liberaeva@libero.it
COOKIE
POLICY
TORNA SU (TOP)
LiberaEva Magazine
Tutti i diritti Riservati
Contatti
|
|