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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Avevo un amante
 


 
 


Avevo un amante che mi spaiava i capelli, uno per uno dall’alba al tramonto, uno per uno senza rendermi conto, che avevo un amante e m’accarezzava la faccia, con l’alito caldo sussurrando il mio nome. Avevo un amante che parlava ai miei occhi, come se il resto fosse solo un contorno, e mi imbrattava le attese, i fianchi e i pensieri, che ora puliti sono sparsi nell’aria, come perle preziose in cerca di filo, come nuvole basse che fanno la pioggia e inutili bagnano quest’arida terra, questo seno sfacciato che muto ora chiede, il fiato più caldo per germogliare di nuovo, come se fosse a portata di mano, fosse dietro la porta che aspetta e mi vuole, se solo stasera m’azzardassi ad uscire. Perché avevo un amante che mi teneva sospesa, nel dubbio perenne di non essere bella, di non essere adatta al suo desiderio morboso, che mi succhiava nel cuore il mio sangue più denso, m’asciugava il sudore con la lingua e la bocca, che sgorgava più fitto in mezzo ai capelli.

Avevo un amante ma era di un’altra, e sa Dio come vorrei se ancora lo fosse, si divideva tra due donne e dava il suo meglio, una per una senza mai risparmiarsi, nella mia carne coetanea dell’altra di moglie, dentro le mie gambe di femmina paga, e le altre in attesa e così viceversa. Perché avevo un amante che mi spaiava i capelli, e si spaiava in un giorno come se fossero due, sempre disposto a correre in fretta, un anonimo squillo per sentirlo fiatare, di promesse e certezze sul mio seno già pronto, perché avevo un amante e pensavo a sua moglie, alle stesse parole a giorni alternati, agli stessi vapori che scaldavano il cuore, il sesso dell’altra che per anni convinta, ho creduto più caldo e perfino più stretto. Nei momenti d’amore lo costringevo a parlare, a descrivermi l’inezia di certi momenti, per filo e per segno ogni suo gesto, quando chiedeva di spettinarle i capelli, quando la smania la faceva gridare, e quali parole colpivano il segno, le stesse le mie che mi piaceva sentire.

Era un gioco al massacro duro e violento, dove raggiungevo veloce l’orgasmo più intenso, dove dopo l’amore gli gridavo d’andare, di lasciarmi da sola dentro la pena, di non essere unica femmina bella, di non esser migliore per dormirci la notte. Avevo un amante che mi portava regali, mi copriva di gioie di profumi e vestiti, ma nel cuore sapevo che erano copie, perché ciascun amante che si rispetti, ha nella tasca sinistra l’identico anello, lo stesso profumo per continuare a saltare, di fiore in foglia come farfalla, di donna in donna senza temere. Come vorrei pensarlo ancora che salta, dentro di me nelle attese di sempre, tra queste gambe che rimangono intatte, quando un’ora è già troppa ed il desiderio rimane, quando una porta si chiude e rimani a pensare, che solo domani leggerai in fondo ai suoi occhi, se t’ama e ti brama e ti piace sentirlo dire, perché domani d’incanto riuscirà a farti vibrare, a toccarti le corde che dico dell’anima, a toccarti la pelle che penso di sesso.

Durante il giorno ci pensi e metti da parte parole, le fissi e le scrivi le ripeti da sola, perché siano uguali a quando le dici, a quando la sera lo baci e ti vuole, ed in piedi all’ingresso ti cerca e ti chiama, con un nome che a caso fa rima con donna, e nel letto lo urla e ti prende per voglia, per i minuti contati che passano in fretta. Avevo un amante che mi parlava dei figli, dell’auto in panne e non poteva venire, di sere trascorse con i tacchi per casa, perché il più piccolo a scuola s’era preso la febbre. Squilli muti che fanno rimbombo, che ti fanno più sola dentro una casa, arredata con grazia per negozi da sola, sognando il momento di viverla in due, perché avevo un amante e mi faceva soffrire, pomeriggi trascorsi a stirarmi la gonna, pene d’amore che si scioglievano in pianto, gioie d’ardore che passavano i muri. Come vorrei ora che niente fosse diverso, nel letto vestita con i tacchi e le calze, nel letto in attesa d’un rumore giù in strada, d’inconfondibili passi che riconoscevo tra i tanti, avevo un amante ma era di un’altra.

Poi tutto cambia e passano gli anni, ora è qui ed è mio per sempre, lo guardo mi guarda ha rinunciato a sua moglie, ai suoi figli ormai grandi che non li sente da tempo, che io testarda sono riuscita negli anni, ad averlo per me dai piedi ai capelli. Mi vuole un bene profondo nell’anima dentro, ma come faccio a dirgli che avevo un amante, che mi schiariva le notti con i colori dell’alba, mi dedicava più tempo di quanto qui in casa, gira in ciabatte senza nessuna sostanza. Lo guardo delusa che vaga svogliato, distratto mi dice che vuole dormire, come se trasparente non avessi più pelle, più forme e vestiti da cullarci le voglie. Lo guardo mi guarda senza nessuna intenzione, allo specchio i miei seni si lasciano andare e non hanno nemmeno la forza d’offrirsi, l’orgoglio di essere candidi e nudi.

Avevo un amante che m’accarezzava leggero, risaliva le gambe gonfiando l’attesa, e fremevo di voglia di baci d’amore, nel mio sesso che ora è solo un dettaglio, la parte più muta dove non si sente né mare, né vento che sbatte grondaie di fuori, né pioggia battente per farci l’amore... Perché avevo un amante che mi spaiava i capelli, uno per uno dall’alba al tramonto, uno per uno senza rendermi conto, che avevo un amante e l’ho perso per sempre.

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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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Photo  © Drazen Boric







 
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