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Adamo Bencivenga
Belle ragazze di Vilnius
Io le ho viste nell’autunno mite e il sole
appena caldo, passeggiare tra le foglie e i nidi
di cicogne, lungo i parapetti silenziosi di quel
fiume freddo, tra le tele appena fatte e le
barbe degli artisti. Oh sì che le ho viste, nei
parchi di betulle sedute sulle panchine, tenersi
fragili per mano e cantare a bassa voce, vecchie
filastrocche delle nonne lituane, sole alle
fermate quando aspettano il tram, con le loro
facce tristi e trecce bionde senza trucco,
infagottate nei maglioni di lana fatti a mano.
Sì, io le ho viste dentro i bus lenti appoggiate
ai finestrini, che guardano curiose dietro i
vetri appannati, con le loro guance rosse e i
libri sotto il braccio.
Io le ho viste
dove batte insieme un cuore russo e lituano,
camminare lungo il freddo dei meno trenta e poco
meno, che si scaldano le mani coi loro fiati
freddi, come il vento artico che soffia da quel
mare, sulla danza di una foglia, che cade
dondolando, che gialla muore lenta dentro il
cono di una luce, sul sussurro di una voce che
recita le rime, dei loro regni d’ampie lande che
donano al sogno. Oh sì che le ho viste bimbe
devote e mani giunte, pregare inginocchiate nel
buio di una chiesa, e promettersi illibate al
loro santo Casimiro, e giurare e poi giurare, in
questa Vilnius istruita, romantica e pagana,
cattolica ed ebrea, nell’unica sinagoga rimasta
al proprio posto.
Io le ho viste tra i
polacchi di Wilno e i tedeschi di Vilna,
tolleranti come i santi, protettive come madri,
in quel dedalo di viuzze piegate a gomito e
medioevali, e incollate tra di loro da cortili e
porticati. Sì, io le ho viste negli angoli
freddi delle strade, belle come cupole, e croci
e tetti rossi, che si stagliano perfette come
statue romane, fra la tavolozza dei colori degli
intonaci ambra e oro, e azzurro fiordaliso e
grigio e rosso intenso, dei mattoni alle
finestre e i tetti obliqui per la neve.
Sì che le ho viste fumare una sigaretta in
fretta, belle cassiere, alte e bionde dei
supermercati, io le ho viste bere un thè caldo,
un punch e un caffè, quando un sole pigro
tramonta sopra il mare. Per poi passare tra
ghiaccio e luppolo, di una birra densa e scura,
e gustare cosce di pollo fritto e cipolle rosse,
tristi come il salame all’aglio e lardo sui
crostini. Ma poi il ghiaccio raffredda e la
birra fa allegria, e allora sì che le ho viste
sorridere con gli occhi tristi, prendere un
appuntamento per la sera o il giorno dopo, e
divertirsi e ballare al ritmo di una polka
lenta.
Io le ho viste dentro un Harem
sedute sui divani, degli hotel di lusso per
stranieri ricchi e grassi, e parlare in russo o
in inglese e ridere per un niente, sì che le ho
viste accavallare le gambe lunghe, e lanciare
nubi cariche di fumo e di rossetto… Io le ho
viste come farfalle volare di fiore in fiore,
salutare in lituano labas, iki o arrivederci, e
chiedere al turista il numero della stanza, per
poi salire separati per un po’ di compagnia. E
poi uscire infagottate alle quattro di mattina,
dalle hall degli alberghi o miseri motel, belle,
truccate fresche, con i tacchi del mestiere,
camminare sotto quel cielo che non si spegne
mai, inghiottite da un’alba nuova e qualche
soldo in tasca.
Io le ho viste girare per
Vilnius e mettersi in posa, davanti ai grandi
silos di mais e di grano, con i loro foulard a
fiori gialli, azzurri e fantasia, con le loro
borsette da poco di vera pelle nera. Io le ho
viste nei caffè nell’ora della pausa, belle
commesse sedute ai tavolini, e ordinare
acquavite, vodka o sidro nero, come fosse latte
caldo e fumare e poi fumare... Io le ho viste
innamorarsi perdutamente per un uomo, per un
italiano sposato, o un russo delinquente, e poi
piangere lacrime come ghiaccioli, davanti alle
finestre o dentro letti sciatti, in attesa di un
messaggio che non arriverà mai.
Sì che le
ho viste alte oltre un metro e ottanta, bionde
con gli occhi azzurri, nere con gli occhi
chiari, castane, rosse d’origine tedesca o russa
o slava, ma belle come il sole quando riflette
su quei tetti, dolci e zuccherate come la zuppa
di ciliegie. Io le ho viste mangiare spaghetti
con il ragù in scatola, o grossi gnocchi alla
carne e lardo sui crostini, e bere birra scura e
vino e Coca cola, meravigliose cattoliche legate
alle tradizioni, e fare tre giri intorno al
tavolo apparecchiato, e poi lasciare gli avanzi
della cena ai parenti morti.
Io le ho
viste con gli orecchini d’ambra ed anelli di
turchese, vestite di lino bianco nelle giornate
di bel sole, e passeggiare lungo i viali e
rispondere cortesi, a chiunque faccia un saluto
a chiunque un inchino, e ripetere il proprio
nome perché tu lo tenga a mente, e fissarti
dentro gli occhi consapevoli di essere belle,
belle e disinibite dopo la caduta di quel muro.
E di notte ciondolare brille ed ubriache, tra
palazzi antichi e fregi e decorazioni, e cavalli
e militari e stemmi socialisti, per poi vomitare
dentro il fiume freddo, e specchiarsi nell’acqua
dove è sempre inverno, tanto poi l’alba fredda
pulisce e scolora…
Eh sì che le ho viste,
tra le parole cucite della mia fantasia,
imbastite di notti chiare coi fili di una seta,
perché obbediscano ai tasti neri di un
pianoforte a coda, a una falce di luna che trema
sopra l’acqua, lungo il fiume che corre lento e
fa d’alone e da contorno, a quel vento che
soffia e fa la ruota a quelle gonne, agli
orecchini d’ambra che tintinnano a quel soffio,
al valzer su una corda d’un violino lituano. Sì
che le ho viste, sorridere per un niente, belle
ragazze di Vilnius.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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