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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
CAFE' DE PARIS
 


 
 


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.Lei è la donna vestita elegante, viso ovale e camicia di seta, seduta ai tavoli di un caffè all’aperto, ha un rosso Ferrari che le disegna le labbra, un cappello alla moda di stoffa leggera, che le ombra la fronte coprendole gli occhi e la lascia sospesa tra fioriere di gigli, nell’attesa che un uomo le dica buongiorno, ed interrompa di netto l’altalena che in mente, la dondola lieve tra la certezza ed il dubbio.

Lui è l’uomo vestito elegante, un completo a righe panna e celeste, ha un viso accigliato per via dell’attesa, legge il giornale, solo i titoli grandi, ogni tanto si volta e guarda la strada, ogni tanto si fissa su una sagoma bella e si chiede se fosse, sarebbe un incanto e la segue con gli occhi fino all‘angolo ed oltre, quando il suo sguardo smuore e s’appanna nell’attesa di un altro sogno che avanza, incerto sui tacchi, sicuro sul volto.

La strada è a Roma, viale grande del centro, profumi di viole, di sale da the, dolce vita di muse, di vedove allegre, di dive sedute ai tavolini di fuori, che sorseggiano freddi aperitivi pastello, per un concerto all’aperto, per una sfilata di moda, per un incontro galante o un’amica che a breve prenderà sottobraccio, per negozi o vetrine o un giro in carrozza, sui sampietrini sconnessi, per sentirsi più belle per via dei cappelli, per sentirsi ammirate baciate dal sole.

Lei è la donna e si guarda allo specchio, un tocco di cipria leggero sul viso, che ogni tanto ripassa per via del sudore, per essere bella perfetta e signora, come si deve ad una donna che aspetta, come conviene ad una signora di classe, che spera convinta di lasciare una traccia, negli occhi e la mente di chi fino ad ora, ne ha sentito soltanto la voce suadente, per giorni e per mesi facendo promesse, nel dirgli ti amo senza averlo mai visto.

Lui è l’uomo e si lascia alle spalle, una vita andata di fretta negli anni, una morte sfiorata in un incidente di notte, una ferita che corre sotto la barba, un intervento chirurgico andato a buon fine, qualche prova sbagliata, un solo grosso rimpianto, che a pensarci è rimasto un alone di fumo, la decisione di lei, la valigia sul letto, un figlio mancato per via di un aborto.

Sono entrambi arrivati più presto, tutti e due con dei colori diversi, da quelli decisi e promessi più volte, scanditi al telefono per giorni e per mesi, come la rosa che lui mostra all’occhiello, da rossa passione a viola pervinca, come il cappello di lei quello giallo limone, che è rimasto adagiato ai piedi del letto.

Tutti e due seduti all’aperto, quasi ad un metro che guardano avanti, senza sapere che chi stanno aspettando, è seduto di fianco con l’identica smania. Sono attenti a chi passa, a chi si ferma un momento, per quel gioco curioso di indovinare il soggetto, prima che l’altra accenni un sorriso, prima che l’altro s’accorga d’essere visto.

Lei è la donna con una calza leggera, ogni tanto un’occhiata all’uomo di fianco, così di sfuggita senza tenere lo sguardo, per vedere se l’ombra o qualche gioco di luce, avesse per scherzo cambiato le tinte, ed il viola pervinca della rosa all’occhiello diventasse d’incanto un rosso passione.

Lui è l’uomo e si lascia cullare, annusando quel soffio di vento sottile, che passa leggero e ne prende l’odore, e sa di femmina e viole, di rossetto Ferrari, identico al sogno che per mesi e per giorni, ha saziato i suoi occhi di sole parole, ma ora ha un cappello di un altro colore, di una donna che aspetta o si lascia aspettare.

Tutti e due aspettano e guardano l’ora, ogni minuto che passa diventa un tormento, ogni tanto un’occhiata sempre la stessa, ma lei è la donna e non fa il primo passo, ma lui è l’uomo e non è certo elegante, importunare una donna seduta che aspetta e dirle per caso se ha cambiato cappello.

Tutti e due si lasciano rapire dai dubbi, sarà l’ora e sarà quello il posto, sarà il giorno e sarà quello giusto, finché per caso incrociano gli occhi, uno sguardo più intenso per vedere l’effetto, e lui che sorride e lei che rimane, a vedere fin dove quel sorriso si spinge, se è solo un galante cortese saluto oppure un complice segno d’intesa.

La strada è di Roma, viale grande del centro, alberghi di lusso, vetrine di scarpe, automobili ferme luccicanti e scoperte, dolce vita di muse, locali notturni, principesse sedute ai tavolini all’aperto.
Lei è la donna ed accavalla le gambe, lui è l’uomo che felice la guarda, e s’alza e le chiede cortese il permesso, di potersi sedere per imbrogliare l’attesa.

Lui è l’uomo e lei la donna, il posto è il caffè più famoso del mondo, seduti di fronte ora si lasciano andare e sorseggiano piano un aperitivo pastello. Parlano fitti di tutto e di niente, del caso stasera che li ha fatti incontrare, senza che mai nessuno dei due, dica all’altro il vero motivo, la ragione per cui si trova in quel posto, o per caso si chieda il perché nessun altro, è venuto o verrà stasera all’incontro.
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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