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Adamo Bencivenga
C'è un angolo
di pace
Photo SuvoDas
C’è un angolo di pace vicino alla stazione, c’è un albero di fico che non
fa frutti e non fa fiori, ma foglie grandi e verdi che scendono al fiume
ed a pelo poi con l’acqua si lasciano sfiorare. C’è un angolo di pace dove
fa buio molto presto e non è facile trovarlo se non conosci quale strada,
se non conosci quale siepe volti verso il ponte e s’interrompa giusto
apposta per fartici passare.
C’è un angolo di pace vicino alla stazione, un vento appena caldo che sa
di brezza e sa di mare, c’è un viottolo che scende e curva dopo il palo,
dove mai nessuno ad oggi s’è sognato di portare, un sorso di corrente, una
lampadina fioca, perchè in cima non c’è luce ma un nido spennacchiato, che
serve a certi uccelli che non hanno un posto fisso, ma rimangono una notte
ed all’alba vanno altrove.
C’è un angolo di pace, di terra senza asfalto, di fili dove i ragni
s’indorano al tramonto, e uno spiazzo grande quanto un urlo e una
promessa, d’amore disperato che corre lungo il muro, di una fabbrica in
disuso, di una coda che s’allunga, nell’ombra fitta e scura, sulle
macchine in sosta, che guardano il fiume in fila allineate e si fanno
compagnia avvolte nel silenzio.
Perché c’è un angolo di pace, un filo della luna, che discreto smuore
fioco sommesso sopra i vetri, d’inverno appannati che celano il segreto,
di amanti clandestini che si cercano e si danno, di chi ancora crede che
nulla sia perso, di coppie appena nate, d’amori fatti in fretta, che
sfidano il freddo al caldo dei vapori, di parole appena dette, di baci
buoni in bocca.
C’è un angolo di pace tra le maglie della rete, di fari muti intermittenti
che passano veloci e non c’è nessun intruso o poliziotto di quartiere, che
conosca questo posto o possa a caso capitare; non c’è nessuna moglie o marito in
pensiero, perché in quest’angolo di pace è seriamente proibito, curiosare
oltre il dovuto ed essere indiscreti squarciando quella nebbia che
s’addensa lungo il fiume.
C’è un angolo di pace ed un rudere romano, gatti appollaiati sul cofano
più caldo, c’è un cane che t’aspetta dopo il palo della luce, e ad ogni
macchina che passa avverte il suo padrone, un omino col berretto e la
faccia da guardiano, che ti chiama avvocato, maresciallo o ingegnere e si
avvicina al finestrino e cortese ti saluta, t’accompagna verso il posto o
ti fa cenno di aspettare.
Perché in quell’angolo di pace alle volte c’è la coda, specialmente
all’imbrunire poco prima della cena e tu paziente aspetti che
s’accendano i fari, per non perdere il turno e si liberi un posto; e lui
ti sa indicare esattamente quanto manchi oppure se è proprio il caso di
farti un altro giro, perché conosce d’ogni targa, le abitudini e i tempi e
gli basta un’occhiata per decidere l’orario.
C’è un angolo di pace, un guardiano mezzo zoppo, che ti augura gentile un
buon proseguimento e per il prezzo di una birra ti offre quanto basta, un
posto sotto il fico e se hai bisogno a parte, quello che ti serve per evitare
altre sorprese, perché in quest’angolo di Roma c’è solo tanta pace, con la
luna che ti guarda tra il rossore di un tramonto, ed a volte basta poco
per distrarsi in un ti amo.
C’è un angolo di pace dove niente poi traspare, perché da queste parti
vengono coppie non sposate, oppure già accoppiate con altri che non sanno,
che c’è un angolo di pace vicino alla stazione, dove i treni non li
aspetti e non fanno mai ritardo, e non c’è nessuna fretta o una metro
affollata, un taxi che non trovi o un vigile accigliato, ma solo una
pozzanghera che rispecchia l’imbrunire.
C’è un angolo di pace, un rifugio in pieno centro, e in quell’isola
deserta ti chiedi come mai, basti solo una scritta che promette amore eterno,
basti solo una stradina che scende verso il fiume, un nido spennacchiato ed un
palo della luce, un guardiano che somiglia al suo cane mezzo storto, per
chiudere la porta e lasciare il mondo fuori e sentire nel silenzio il
frusciare delle foglie.
Lasciati condurre se per caso poi sei solo, lasciati portare ovunque poi
ti trovi, perché appena poco fuori c’è
una donna che t’aspetta, un’amante, una compagna, una gemma in pieno
aprile, che fa le rime alle parole, e fa i ricami alle tue voglie, e fa
merletti, pizzi e sete e la coda alla luna, e
t’offre il suo cappello con i fiori bianco panna, e t’offre il suo vestito
impalpabile d’organza, che ti lascia poi sfogliare, baciare se ne hai
voglia con gli occhi e con le mani o solo con le labbra.
Tu la guardi
estasiato, ha poco di reale, somiglia a quell’angelo che ti viene spesso
in sogno, con due labbra rosso fuoco e una pelle vellutata, e un ciondolo
che pende tra quel seno madreperla, e tu tenti di
toccarla per essere sicuro, che sotto batte un cuore, che sopra sia di carne,
ma poi per caso chiudi gli occhi e ti lasci trasportare, e lei prende la tua mano
e ti guida passo passo, poi s'apre in un sorriso come un lampo della
notte, e
ti sussurra a voce bassa di fare attenzione, a quel varco di piacere, alla siepe interrotta.
Perché c’è un angolo di pace vicino alla stazione, perché c’è un’oasi di
calma, di tregua e d’armistizio, c’è un albero di fico che scende verso il
fiume, c’è una cura e un rimedio per non sentirsi soli, il velo di un
rimpianto che a volte fa dolore, c'è il suono di un
fruscio di foglie e di silenzio, un frullio d’ali al vento, un volo raso
all’acqua, ma non è facile trovarlo se non conosci quale siepe,
s’interrompe giusto apposta per fartici passare.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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