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Adamo Bencivenga
Charlène
scrive d'amore
Ecco, immagina Parigi,
distesa sui fianchi di Ile de la Citè, dove la Senna
apre le gambe, e sembra una donna che ignara s’impregna,
d’arte e cultura del centro del mondo. Immaginala a fine
Ottocento, sotto i portici del Cafè Hugo, sotto la
pioggia del giardino antistante, una carrozza traballa
sul selciato sconnesso, tra gli ombrellini alla moda
ornati di fiocchi, tra i cappelli di piume e i colletti
di pizzo, e i tigli d’estate che si schiudono in fiore,
e danno un sapore denso e dolciastro, che nell’aria si
espande ed impregna le stoffe, l’allegria di quei gesti,
i modi gentili.
Ecco, immagina ora ai tavolini
all’aperto, seduta in attesa, una signora elegante, il
suo nome è Charlène, nobile come un fiore, capelli rosso
rame lunghi fino al cuore, e denti bianchi e seno
grande, materno come il pane, sostanzioso come un brodo,
accogliente come culla. E’ vestita di rosso intenso,
come le amanti nelle locande in attesa, come le sue
labbra grandi, gonfie e lussuriose. Porta guanti di
pizzo nero, porta un cappello viola e lilla, ornato da
una gemma di pesco marzolino, e due pendenti d’oro con i
bulbi di rubino, e un filo di perle vere che
ingentiliscono il suo cuore. Perché Charlène è bella,
bella come il grano, bellissima con due occhi colore
azzurro mare, quello profondo dei fondali, quello triste
del silenzio, costretto per anni e anni dentro quattro
mura.
Ecco la vedi? Illuminata da un timido
raggio, che a fatica la rischiara, sta bevendo un dito
di rosso, di marca nobile francese, perché lei ama la
Francia, ama la sua cultura, l’arte che traspira da ogni
angolo del cuore, perché Charlène è un’artista, ora di
successo, ma quanto è stato difficile ed ardua
l’impresa, per donne dell’Ottocento considerate solo
spose, e carne per il letto, oppure madri, oppure suore.
Ecco, lasciamola lì seduta e facciamo un passo
indietro, e immaginiamola bambina, che corre
spensierata, tra i vigneti generosi della tenuta di suo
padre, tra quei chicchi di Borgogna, densi come il
sangue, oppure nuda che fa il bagno insieme ai pesci
rossi, nella grande vasca al centro dell’aia assolata.
Vedi il suo seno? Vedi i suoi capelli? Sono stoffe e
sono sete come spume d’onde bianche. Guarda i brividi
sulla pelle vellutata color pesca. Guarda le sue gambe
lunghe, magre e snelle. Promette bene vero?
Ecco, ora lascia che il tempo passi e la faccia più
matura, e le tracci sul bel viso i segni delle sue
ambizioni, che poi sono sogni, che poi è un uomo vero,
che la faccia poi vibrare come piuma tra le dita. La
vedi? E’ bella Charlène, bella come un’alba, sta salendo
quelle scale della sua villa di campagna, ma è l’ora del
tramonto, quasi ora per la cena, ma lei è presa dal suo
impeto al quale mai rinuncerebbe, e per nulla al mondo
s’opporrebbe al fiume di parole, perché Charlène scrive,
e scrive il suo amore, e le parole sono spremute
d’arance provenzali, sono gusti che non conosce e
fantastiche visioni, sono verità e bugia che si
confondono nel foglio, sono i desideri che l’avvolgono
di notte.
Le sue parole sono Parigi, i bistrot e
le taverne, sono belle donne a passeggio lungo i viali,
e rossetti freschi e rossi spalmati con malizia, e
cappelli alla moda, e guanti e ricami. Le sue parole
sono un uomo, bello come il sole, lo disegna e lo
descrive, lo sogna e lo ripassa, e sa chi potrà essere
anche se non lo conosce, ignora il suo nome come la sua
altezza, non sa cosa faccia, ma sa che sarà un artista,
sa che sarà adulto come un grande amore.
Ecco
guarda i suoi occhi, guardali nel fondo, sono umidi come
il sogno, necessari come la tristezza, e dentro il sogno
c’è Parigi, lei seduta al Cafè Hugo, e dentro il sogno
un incontro quando meno te l’aspetti, sotto i portici
una gonna che danza al primo soffio, le calze verde
autunno o di una punta un po’ più scura. Immaginala
Charlène, guarda quando scrive, e dal cappello una
treccia esce impertinente, che la fa bambina e la fa
viziosa, figura interessante, per gli occhi di un
pittore o il cuore di un’artista, preda d’acqua dolce
per un pescatore.
E come nelle favole, eccolo il
pittore, in cerca di una musa che esca dai pennelli, ed
eccolo l’artista che insegue un nuovo estro, un’amante
ispiratrice, una femmina da letto, in cerca di una forma
per riempirla di colori, in cerca di una tela da
imbrattarla ogni notte. Si chiama Paul ed è un artista,
con un ricciolo ribelle, artista della luce e delle
tinte chiare e scure. E’ bello e maledetto adulto quanto
basta, quasi il doppio dei suoi anni, e lei se ne
innamora, pazza a prima vista, persa al primo
appuntamento. Forse è proprio lei che lo invita e lo
reclama, forse è proprio lui che sicuro si avvicina, o
forse è solo il fato o la sorte quella buona, oppure una
sequenza di tanti casi insieme, e la meta è questa
piazza, l’incontro del destino, è l’uomo che le porge
una rosa settembrina, una donna che sorride per tanta
gentilezza.
Immagina ora i loro occhi, fusi nel
piacere, si rubano carezze come vecchi amanti, e dopo
quell’incontro passano solo poche ore, lui sa dove
cercarla, lei sa dove aspettare. E’ una casa al
pianterreno, piccola, ma curata, sul tavolo un vaso con
un mazzo di violette, un posacenere di legno e due
bicchieri d’anisette. Le tendine alle finestre, una
brocca d’acqua ed un catino, fanno da cornice a quel
primo incontro, perché lui la guarda e lei si fa
guardare, perché lui la tocca e lei si fa toccare, e i
suoi seni sono mele acerbe di settembre, i suoi occhi
noci grandi che si lasciano penetrare.
E basta
un gesto, basta niente, un sorriso e una carezza, la
penombra di un tramonto su quel letto quasi sfatto. Ecco
li vedi? Ecco li senti? Senti i loro fiati, bollenti
come un brodo, guarda i loro baci, ardenti come un rogo,
ma più che baci sono morsi, che fanno male e fanno bene,
ma più che amore è un trionfo sopra un campo di
battaglia, perché ora lui la prende senza tatto e né
riguardo, come fosse uno sfogo, come fosse a pagamento,
anni e rabbia d’astinenza, fame e sete di una donna.
Ecco, immagina Charlène, nella penombra di quel
letto, innamorata lei s’illude, a gambe aperte lei
s’inganna, perché non è così, perché Paul ha un’altra
donna, una vecchia relazione che si trascina già da
anni, anche se dice che non l’ama, che è solo madre di
suo figlio, anche se l’ha sposata, anche se ci vive
insieme. E Charlène ci crede o forse ora non le importa,
perché quello è il suo uomo e lei la sua donna, e il
destino ha fatto il resto, riempiendo i suoi giorni, e
il destino l’ha copiato da uno dei suoi scritti, perché
quel corpo è ancora maschio e lo vuole e lo rivuole, e
dentro sé sente i colori, le tinte forti di un tramonto,
le sfumature dell’autunno e leggere d’acquarello, sente
l’arte che si fa spazio, e ritratti e paesaggi, la tela
e la cornice, in quell’anima quasi vuota.
Ecco,
immagina ogni giorno, più o meno la stessa ora, in quei
tardi pomeriggi senza mai saltarne uno, e lei lo aspetta
pazientemente, lo aspetta e lo reclama, vestita solo da
una camicia ed un filo di rossetto. E Paul arriva, prima
o poi arriva, generoso la trattiene, prodigo la brama, e
mai si fa pregare per ore su quel letto, disponibile
rimane anche fino a notte fonda. Perché Charlène è
bella, bella e testarda, e sa che quanto prima si farà
spazio nel suo cuore, e sa che quanto prima lui lascerà
l’altra donna, e affitterà per lei una dimora, l’unica
sua casa, dentro quella villa dove lui dipinge e lei
scrive, circondata da distese di fiori variopinti.
Ecco immagina Charlène dentro quella casa,
immaginala quando scrive nella sua mansarda, ecco
immagina lui con le tele e i colori, l’odore d’olio e
trementina, del talco e la vaniglia, immagina quei muri
intrisi di vapore caldo, d’odori di minestra, di ceci,
amore e farro. Immagina loro dentro un sogno, immagina
la quiete, e in quanto sogno nessuno può sapere, neanche
la famiglia, suo padre e suo fratello, perché la legge
al tempo non concede di vivere con un uomo, e farci
l’amore, e fare figli, anche se sono solo aborti. E
Charlène perde la faccia, per quell’uomo già sposato,
per quell’amore illegale che la fa donna e le
appartiene.
E poi tutto passa in un lungo
divenire, ecco immagina la casa, lei sola su quel letto,
il canto degli uccelli, il ruscello a pochi passi,
guarda quelle gocce che le imperlano la fronte, è sudore
per lo sforzo, per la rinuncia a quei figli. Lui non
c’è, non c’è mai quando serve, comincia ad essere
distratto e passa il tempo fuori, dice per vendere le
tele, dice per nuove ispirazioni, che poi non sono
ispirazioni, ma muse belle in carne ed ossa, e tette
grandi e scuse buone, e gambe umide già pronte per nuovi
toni di colore. Ecco immagina Charlène relegata
nell’attesa, non crede più ad una parola e il sospetto
sale, sa che le tante assenze, le passa con sua moglie,
ma quel dubbio atroce fa più male dell’aborto. Che lui
abbia conosciuto un’altra? Che sia giovane e più bella.
Che sia più brava a scrivere romanzi, e forse più
signorile e dignitosa, ad essere tradita ad abortire i
suoi figli.
Ecco immagina tutto questo, i dubbi
sempre più pressanti, lui la sera torna tardi, ubriaco e
violento, la picchia e le fa male, la tiene in
astinenza. E lei soffre, piange e si dispera, detesta il
suo corpo, odia il suo seno, odia il suo sedere, non più
appetitoso, non più oggetto di attenzioni, ignorato
dalla brama, disprezzato dal suo uomo. In un momento
d’ira reagisce, rompe l’unico specchio che possiede, ed
è testarda e non si arrende, a perdere il suo amante.
Ecco guardala ora, presa dalla gelosia, e un pomeriggio
lo segue, passo passo nei suoi giri, e la realtà è
brutta più di quanto sia il sospetto, perché Paul ha
tante donne, una per ogni locale, perché Paul ha tante
muse una per ogni suo colore, perché Paul ha un figlio e
soprattutto Rose, l'unica sua moglie.
Ecco
immaginala una sera, accostata dietro la finestra, che
spia e si fa male e vede lui e l’altra donna, vede che
la bacia e vede che si fa baciare e vede anche altro, un
seno che si fa toccare, e poi un letto, una penombra, la
stessa della loro prima volta. E immagina che quella
sera lui non torni a casa, e le mandi un biglietto di
sole quattro righe, ecco immaginala delusa quando legge
e lo rilegge, perché lui mai lascerà mai, la madre di
suo figlio, e lei fa appello alle sue forze, passa
giorni a scrivere, a riempire i suoi fogli, racconta la
sua storia, racconta quel dolore, ma non serve a
rasserenarla, non serve per il cuore, lì c’è solo il suo
uomo e la voglia di riconquista, e allora eccola
Charlène con una gonna corta, ed eccola Charlène con le
calze di seta nera, con la bocca di rossetto che fuma e
fuma e si fa male, tra quei vicoli di nebbia, di sesso e
prezzi a buon mercato, dentro quei locali per l’amore a
pagamento. L’unico suo intento è farlo ingelosire, e
Paul la vede ma non ha alcuna reazione, s’informa solo
quanto costi per una notte intera, e quanto quel suo
seno, e quanto quella bocca, per darla in dono ad un suo
amico come pacco da regalo.
Ecco ora immagina
Charlène che sale quelle scale, immagina quel viso con
un velo di dolore, perché si rende conto che la storia è
finita, e tutto ciò che le rimane è una notte con un suo
amico. Eccola la vedi? Sta chiudendo il suo passato, e
chiude quella porta e lascia quella casa, quegli alberi
sempreverdi, quei fiori variopinti, e va a vivere in una
casa, senza bagno e pavimento, in un antro scuro scuro,
al centro di Parigi. Eccola, trasandata e sporca, sola e
sofferente, per compagnia i suoi gatti, il vino rosso a
fiumi, nessun amico e nessun parente, ossessionata dalla
vita, distrutta dal rancore e dal suo disordine mentale.
Ma lei lo aspetta, aspetta il suo pittore, lo scultore
che negli anni ha modellato il suo cuore, ha fatto del
suo sesso, una sorgente di colori, nonostante ora sappia
che Rose aspetta un altro figlio, e lei scrive sul suo
libro d’essere come un deserto, la terra in cui si getta
un seme, e non fiorisce niente.
E sono anni bui,
di tunnel e gallerie, e sono treni fermi e muti sopra i
binari morti, e sono ponti e pensieri profondi quanto un
suicidio, e sono luci bianche e fredde, d’una stanza
d’ospedale, la paura di essere rinchiusa nel reparto dei
pazzi urlanti… ma intanto scrive, scrive la sua attesa,
scrive l’unica ragione per sentirsi viva, perché dopo
Paul c’è solo Dio, e mai un altro uomo, perché Paul non
è un amante, ma solo il suo padrone. E scrive, scrive
parole folli, sicura che sono le parole creino la vita,
e sono sempre loro che spesso la distruggono, e lei non
parla e scrive, scrive al contrario, scrive senza forma,
spesso senza senso, perché sappiano cambiare il verso
del suo sangue, il senso di quel fiume che corre verso
il mare… Ecco immaginala giorni e notti dentro quella
stanza, immagina il sudore, la rabbia, il cuore aperto,
convinta che le parole abbiano il potere, di convertire
i suoi dolori, di farlo ritornare, finché una mattina,
un giorno di gran caldo, il suo medico curante, stanco
di quel mutismo, le sottrae il manoscritto ed entra nel
suo sogno…
Eccola la vedi? Sono passati tanti
anni, lei è vestita di rosso intenso, come il suo
ombrello, ora è bella e ricca, famosa come scrittrice,
bellissima con due occhi, colore azzurro mare, quello
profondo dei fondali, quello triste del silenzio,
costretto per anni e anni, dentro quattro mura, ma ora
Paul è morto e il manicomio un ricordo, in giro ha
qualche amante, ma niente cose serie, anche se tutti i
giorni alle dodici in punto, la trovi sotto i portici
del Café Hugo, elegante e maestosa, sembra una regina,
nobile come un fiore, capelli rosso rame, lunghi fino al
cuore, e denti bianchi e seno grande, materno ed
abbondante, caldo come il sole. Porta guanti di pizzo
nero, porta un cappello viola e lilla, ornato da una
gemma di pesco marzolino, e due pendenti d’oro, con i
bulbi di rubino e un filo di perle vere che
ingentiliscono il suo cuore. Ecco la vedi? Illuminata da
un timido raggio che a fatica la rischiara, sta bevendo
il dito di rosso e sorseggia il suo futuro, e nonostante
sia famosa, nonostante la sua storia, abbia commosso
tutto il mondo, e venduto copie e copie, aspetta ancora
il suo destino, un artista maledetto, con il ricciolo
sulla fronte, con la faccia da pittore, che dà in dono
la sua donna come pacco da regalo, che insegue la sua
musa, e lei esca dai pennelli, un’amante ispiratrice,
una femmina da letto, in cerca di una forma per
riempirla di colori, in cerca di una tela da imbrattare
ogni notte…
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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