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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Che la luna illumini sui tetti




 


 

Che le faccia tenerezza o la riempia di premura, la rosa che in terrazza si confonde alla penombra, la rosa che suo padre coltiva e poi la cura, al tramonto o con la neve che gela all’imbrunire, e gela la speranza che l’attesa sia breve, sul viale che ricurva dove spunta un nuovo sogno, dove un’ombra e una figura che lei non ha mai visto, sia amore a prima vista o qualcosa che somigli, ad un principe quasi biondo che s’avvicina maestoso, tra le chiome di quei pini che corrono altrove, tra i binari di quel tram che fa rumore di ferraglie.

Che poi si faccia un bel tramonto di un'arancia all'orizzonte, e poi venga un'altra sera affacciata alla finestra, la camicia già da notte ed i seni in trasparenza, certo ancora mele acerbe ma pronte per l’amore, per il principe di prima con il mantello bianco e azzurro, o un eroe o disertore che ritorni dalla guerra, con una foto in bianco e nero, stretta contro il petto, un bagliore dietro i monti per i fuochi di natale, o la coda di una guerra o solo un temporale. Che le faccia tenerezza o ne faccia differenza, la luna a mezza falce che illumini sui tetti, le antenne e i panni stesi che s’asciugano di notte, la gatta che trasporta i piccoli affamati, che li prenda con la bocca e li accarezzi con le zampe o li allatti al riparo dal freddo e le minacce.

Che le faccia tenerezza o la lasci indifferente, lo sguardo che s’appanna alla vista dei cortili, che dai vetri e le tendine, dalle grate come gabbie, escano luci azzurre, grigie di televisione, suoni misti e odori forti, di casa e di cipolla, di pianti e di bambini che non vogliono mangiare, che sanno di famiglia, di altre religioni, di spose fresche fresche alle prese con la cena, di giovani badanti che soffiano sul brodo, e lei fissa un solo punto su quel viale che ricurva, indecisa al buio pesto dalla stanza al nono piano, se è l’ultima di notte o la prima del mattino, l’ora giusta quando i grandi si offrono le labbra, e si danno baci caldi, bollenti come il brodo, come ora si domanda, se nell’altra stanza quei lamenti, siano frutto del suo sogno o gemiti d’amore.

Che le faccia tenerezza o ne faccia differenza, quel principe cortese che sfiora le sue labbra, quel tram che a quest’ora si trasforma in carrozza, trainata da cavalli guidata da un cocchiere, che si fermi e poi l’aspetti, proprio sotto il suo portone, per condurla lungo i viali d’alberi e fontane, e sono giochi d'acqua e sono fitte al cuore, lungo il sogno che ricorre quasi ogni sera, finché un brivido più intenso la riporti alla finestra, la riporti sulla strada e se ne faccia meraviglia, che sia un carabiniere in alta uniforme, oppure il pasticciere che s’alza molto presto, e prepara dolci e paste per gli avanzi della notte.

Che le faccia tenerezza, che le faccia meraviglia, che lieviti da dentro e gonfi quel suo seno, ancora di bambina, perlopiù di una misura, alle mani di quell’uomo amico di suo padre, alle dita frettolose sotto la sua gonna, che ne faccia meraviglia, che la lasci indifferente, che fuori solo i cani si facciano la corte, e niente e più nessuno sfidi questa notte, neanche quel barbone che ciuccia vino nelle buste, come fossero due tette calde e nutrienti, come fossero due cosce grandi come mamme, tra lo squarcio che distante si fa viola, lilla e giallo, sul treno che lontano sbuffa all’orizzonte, sul tram che vicino la ridesta dal suo sogno. Che all’angolo del viale un uomo rida e l’altro pianga, perché ha vinto un terno a lotto o perso la sua donna, che poi non era moglie, ma soltanto la sua amante, quel giorno senza sole ed ancora ci ripensa, quel letto tutto sfatto, in quella casa in riva al mare, se non ci fosse mai andato, se non avesse avuto in tasca, la chiave che ha aperto l’inferno dentro il cuore, un uomo che la tocca e lei si fa toccare.

Che le faccia tenerezza come i cuori sui diari, ma poi non sa spiegare ciò che vede e ciò che sente, perché all’orizzonte non c’è l’ombra di un eroe, neanche la carrozza trainata da cavalli, ma solo una signora che s’intravede tra quei pini, che poi porti un cappello seduta su un bidone, che si spalmi di rossetto per abbellire il suo portone, non fa certo differenza se un fuoco la riscalda, che fumi o guardi l’ora oppure si ritrucchi, che alzi un po’ la gonna o dondoli quel tacco, nell’attesa di due fari che le diano un senso.

Che il mondo sia diverso senza mai sapere come, che il passato è un ventre caldo e oggi questo viale, perché tutto avrà ragione e nulla un taglio netto, e il futuro sfuma lento senza strappi e interruzioni, anche in queste case dove ora c’è silenzio, o un uomo si sta alzando per il turno del mattino, che poi sia quell’uomo grande, amico di suo padre, che poi siano le mani non fa certo differenza, neanche questa pioggia che ha deciso di cadere, e adesso scende e cola dentro le grondaie, da sopra i cornicioni, sopra i sogni di cartoni, e lei dalla finestra, chiude i vetri e non capisce, cosa stia succedendo nei suoi sogni di bambina, come si stia trasformando quel corpo magro magro, ma ora è tardi e s’addormenta col suo orso preferito, perché la luna sta crescendo più in fretta del suo seno, perché la notte sta passando e domani è un altro giorno.

 

   







Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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Photo  Jens Bergau

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