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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Dalle due alle tre




 


 Dalle due alle tre c'è un ragazzo che aspetta, dentro una stanza con le veneziane abbassate, dalle due alle tre una donna elegante, s'avvia di fretta e fa fatica sui tacchi, vestita di bianco con un twin-set d’Armani. Ha pochissimo tempo, ma non deve mancare, il figlio, la figlia, il marito, la casa, come zavorra rimangono appesi, ai dubbi che crescono ed ingrossano il cuore e fanno tremare le gambe e la voce, che se dovesse parlare non uscirebbe che fiato, caldo bollente come d’inverno il vapore.

Dalle due alle tre il ragazzo ha vent’anni e fuma impaziente spiando dai vetri, una donna che spunta da sotto l’insegna, vestita di bianco come fosse una sposa, che corre e s’affanna per essere in tempo, per sentire se è vero e cosa c’è di diverso, nell’amore che nasce tra due corpi d’amanti. Lei ha lasciato l’auto parecchio distante, “non c’è mai un parcheggio quando ti serve”, e pensa al suo trucco, al sudore che scende, al suo viso disfatto sotto il sole d’agosto. Solo una donna potrebbe capirla, perché sa che fibrilla dentro due tette, quando l'amore l’aspetta dentro una stanza e fuma e la scruta tra le veneziane abbassate.

Dalle due alle tre, Pensione Aurora, primo piano due stelle e sembra un tugurio, l’acqua corrente che arriva a singhiozzo, ma oggi per lei vale più d’una villa, una governante servile che la chiama signora, dentro uno specchio antico e barocco, che incornicia il suo viso e il cappello di seta, che guarda e riguarda per esser bella, per chiunque stanotte al ballo di corte. Perché dalle due alle tre lei entra di corsa, la portiera la scruta da sotto gli occhiali, si chiede che ci fanno due gambe senza difetti, coperte da calze che costano un occhio, come mai una donna così bella si spreca, senza futuro per un cuore bambino, con la faccia da pupo e la barba accennata, che tutto sommato potrebbe esserle figlio.

Dalle due alle tre la saluta di fretta, lei non sa che ha un marito e dei figli, zia di nipoti che lei ama ed adora, che ogni domenica li accompagna alla messa. Guarda il soffitto e il muro scrostato, senza incrociare quello sguardo ficcante, che sa di pena, di giudizio e di sporco, che sa di donna e pensa puttana, che sa di amante che ora sale le scale e sente i suoi occhi incollati e perplessi, le sembra di vederla che scuote la testa, mentre fissa la riga che corre lungo la calza, mentre s’asciuga con uno cencio e si chiede, quanto caldo può avere in pieno d’agosto.

Dalle due alle tre, indossa un corpetto, comprato stamane in un negozio del centro, una pennellata di giallo che la copre e la indora, le strozza il respiro stringendola ai fianchi. Sa d’essere bella, ammaliante e signora, che uomini a frotte farebbero a turno, a spogliarla in un fiato o lasciarla vestita, perché quello che conta è sentirne il possesso, governarle l’istinto che tracima e cola, saziarle la carne che d’incanto dischiude, la porta dell’anima che chiamano labbra. Il ragazzo la guarda mentre si spoglia, non crede ai suoi occhi, non crede sia vera, vorrebbe sfogliarla come una rivista, come fosse una foto che respira e cammina.

Dalle due alle tre, lei s’avvicina, vorrebbe che lui la stesse già divorando, con l’occhio che sfama e la mano che tocca, col fiato che appanna la voglia infinita, d’essere presa nell’intimo dentro, con l’ardore impaziente che smaglia la calza, e il desiderio, lo stesso, che scompone la piega, dei capelli che biondi ha raccolto con cura, nel negozio dove ora ha lasciato clienti, con le teste bagnate per corrergli incontro, per aver la certezza di essere in tempo, di ricevere amore e non solo sognarlo.

Dalle due alle tre si riguarda e s’ammira, dentro quegli occhi desiderati da giorni, dentro messaggi sul cellulare segreto, inviati nel bagno quando calava la sera, ricevuti nel letto con un muto segnale, e la voglia più intensa non la faceva dormire, nel bisogno più assurdo d’aver sicurezze, che lui a quell’ora la stesse pensando, con il cuore ed il sesso in quelle brevi parole, TA e TVB “Mi manchi, ti voglio” , nel suo letto di figlio a una piazza soltanto.

Dalle due alle tre e durante il giorno, tra tagli, tinte e colpi di sole, sogni ed amanti e Novella 2000, credendo davvero che fosse giunto il momento, che l’avrebbe rivisto dopo giorni d’attesa, dopo una volta, l’unica ancora, in fila alla posta ed un sorriso che s’apre, e poi lungo il filo di un mattino diverso, di un lunedì di riposo rubato al lavoro, camminando leggeri di fianco e distanti tra il verde ed i pini di Villa Borghese. “Oddio che pazza, avrà solo vent’anni!”, ma la mano che stringe è muta ed è liscia, come di notte quando cade la neve, come in quel posto al riparo di sguardi, davanti al laghetto tirando pane alle oche, quando sale la gonna e si stropiccia la stoffa e sgualcisce anche il cuore se lo trova assopito, se negli anni passati mai ha fatto un sussulto.

Dalle due alle tre avanza e si ferma, dalle due alle tre in quella stanza in penombra, in un gioco crudele d’esser preda preziosa, Dio davvero l’ha fatta più bella!, con l’ombretto di cielo e gli occhi di mare, che bello, che voglia sentirsi sfiorare, da questo filo di perle che pende e s’adagia, dove una bocca farebbe di meglio, dove i suoi seni ora fanno da culla e s’offrirebbero osceni, caldi e volgari, a fili di fiato e brividi lunghi.

Dalle due alle tre lui seduto sul letto, fuma e la guarda tra un anello che sale, lei impaziente si lascia ammirare “Non manca che niente, lo sento che ha voglia”, per ricominciare da dove s’è fermata la mano, da quelle oche affamate, dietro la siepe d’alloro, da quella gonna sgualcita non stirata per giorni, da quegli occhi ventenni che le dicevano bella e quel cuore impazzito che scalciava da dentro, come fosse un bambino curioso nel ventre.

Dalle due alle tre ora avanza decisa, i suoi tacchi scandiscono tre passi soltanto, perché altro non serve per sentirsi una donna, femmina persa tra le braccia assetate, d’un fiume che scende e inonda le sponde, che bagna merletti ed orli e fiocchetti, se solo adesso lui scoprisse la gonna, vedrebbe una foce aggraziata da pizzi, se solo adesso la mano salisse, affonderebbe nel mare di tinte e colori.

Dalle due alle tre lui sta zitto e la guarda, la scruta, indietreggia e si sposta nervoso, vorrebbe almeno farle piacere, accarezzando il corredo che ammanta la pelle, per non deludere quello che porge e regala, che ora preme, s’inarca e si curva. Ma è solo un pensiero nient’altro che quello, perché non riesce ad allungare la mano, toccarla e baciarla dove lei s’offre e gli dona, la rosa che spoglia in un m’ama e non m’ama, come fossero petali schiusi di carne, come fosse conchiglia che danza nel mare.

Dalle due alle tre, Pensione Aurora, lei lo spinge sul letto e lenta si spoglia, sorride e lo invita mentre cala la gonna, sbottona la seta come modella, una pennellata di giallo di un pittore famoso, che ha dipinto deciso il suo seno ben fatto. Scioglie i capelli e gonfia la bocca, raccoglie il suo seno come un pacco regalo, che niente e nessuno potrebbe scartare, tranne il sorriso in fila alla posta, che per ore e per giorni s’è impresso negli occhi e di notte ogni notte ci ha fatto l’amore, accanto ad un uomo che dorme e che russa, che sordo non sente la voglia che cala.

Dalle due alle tre, lei non demorde, si toglie il corpetto, il reggicalze di seta, ora non manca che un sesso deciso, ora non manca che la voglia di maschio, per farsi vestire di baci e carezze, per essere fiore impollinato d’agosto, per essere secchio e sapere per quanto ingurgita acqua sotto la pioggia. Ora non manca che un ti amo e un invito, uno di quei messaggi con le parole troncate, su quel letto che grida di non essere vuoto, d’essere alcova di due amanti segreti, che hanno sfidato il sole d’agosto, gli sguardi invidiosi della portiera di sotto, i sorrisi beffardi delle clienti in attesa.

Dalle due alle tre lei non s’accorge e non teme, che lui è distante ed è venuto per altro, dalle due alle tre lei s'adagia sul letto, lui si sposta e s’alza evitando il contatto, lei non capisce, lui prende le chiavi, troppo presto pensare a vent’anni, che il paradiso davvero sia a portata di mano, per apprezzarla nell’intimo complice e perso, di vivere un’ora come fosse una vita. Fissa il suo sguardo smarrito che chiede, è bella davvero, ma troppo signora, seria e pesante nel trucco che offre, “troppo donna matura per giocarci leggero, troppo femmina calda per sentirsi già uomo.”

Dalle due alle tre un rumore di chiavi, lei immobile tace e lui apre la porta, pensando alla ragazza che lo aspetta a casa, nella sua stanza e sua madre tra i rumori in cucina, ed ascoltano musica e parlano piano, i jeans strappati dell’identica marca, baci sfiorati distesi nel letto, quello a una piazza con le foto sul muro, un poster gigante di New York di notte, una foto di un rave vicino a Berlino e tanta musica techno a tutto volume.

Dalle due alle tre, la ragazza ha vent’anni, sorride contenta con l’ipod all’orecchio, come nella foto che ha messo in bacheca, del suo profilo di Facebook, nel suo blog privato, e lui che la bacia e la chiama Pallina, la Play Station in stand-by, la musica a palla, lui che muore a vederla che scopre, la tetta sinistra, quella del cuore, e poi le mani che vanno giù in basso, accarezzano il bianco di un perizoma da poco, quello d’Oviesse comprato a dozzine.

 

   






 





Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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