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Adamo Bencivenga
EVA INNAMORATA DELL'AMORE
Delitto d'onore
«Le rose che de' suoi baci hanno odore. Non mi bastano più:
lui solo io voglio.»
Allora cominciamo. Immagina una donna d’animo sensibile, si
chiama Eva, ma questo non ha nessuna importanza, nessun
riferimento. Eva da adolescente è una ragazza ingenua come il
pane caldo appena sfornato, bella, bella come il grano a giugno
o le viole a marzo, fate voi. I suoi capelli sono biondi, una
cascata soffice di primavera oltre le spalle, i suoi seni mele
verdi colte appena acerbe. Da grande invece immaginala
signora che ha raccolto i suoi capelli, il colore è sempre di
grano, ma maturo per la falce, non credo sia mai uscita di
giorno senza cappello. Guardala è solenne quando cammina,
austera quando ti guarda e non dice e non capisce, e le si forma
una ruga che la tradisce, solcando appena la sua fronte ed
arrivando fino al cuore. I suoi occhi sono profondi, spirituali
come l’incenso, chiari come l’alba quando s’alza un po’ di
vento, ma sono assenti, racchiusi nel suo mondo, perché lei
scrive racconti, ha scritto poesie, e gelosa le raccoglie come i
suoi capelli nella crocchia.
Ha passato la sua infanzia a
Cannes, ma è italiana vera, padre di Firenze e la nonna di
Ancona. Lui è un console in carriera e gira spesso il mondo, la
madre invece è greca, tuttora una pianista, famosa in tutta
Europa, con le fughe d’Albinoni e le sonate di Corelli a volte
un po’ Scarlatti ma solo i virtuosismi. Ecco, facciamo un
passo indietro, immaginala bambina, circondata dall’affetto,
benessere e premure, immaginala al piano o quando fluidamente
parla, l'inglese, il francese, lo spagnolo, il greco e
l'italiano. Ora ha sedici anni e si esibisce al pianoforte,
davanti ad una platea numerosa ed entusiasta. Ora ha diciotto
anni e pubblica una raccolta, di poesie che trasudano d’anima
romantica. Ora ha ventidue anni e la troviamo a Firenze nei
salotti più esclusivi, sempre al centro dell’attenzione, sempre
bella come il sole. Siamo negli anni cinquanta e le donne a
quell’età non cercano lavoro, ma un marito che le sposi e le
renda felicemente madri. E lei conosce un giovane con la divisa,
diciamo un ufficiale, un carabiniere in carriera adatto al suo
rango. Il suo nome è Saverio e lei se ne innamora, tanto che
dopo qualche mese si promettono l’eterno, davanti ad un prete
slavo, greco ed ortodosso, davanti ad una platea di sete e di
cappelli, davanti ad una crema di notabili ed ufficiali.
I primi tempi sono meravigliosi, hanno tanti amici,
viaggiano, si divertono e il talamo è bollente. Ecco ora
immagina che per lavoro lui venga trasferito a Milano. Lei lo
segue naturalmente, ma si sente sola. Passa giornate intere
guardando dalla finestra, la sola cameriera le tiene compagnia.
A volte esce, ma detesta quel cielo grigio e uggioso, così getta
il suo cuore tra quei versi e quelle rime, tra i tasti
malinconici del suo piano, finché tramite un conoscente, un
amico del marito, conosce un gruppo di poeti, artisti bohémien,
anticonformisti e scapigliati. Eva è bella, di una grazia
ammaliante, corteggiatissima per il suo aspetto, adulata per ciò
che scrive, blandita perché dolce, perché unica e di classe. Il
suo cuore inizia a battere, ma nessuno ha la chiave, per ora è
confusa e scrive versi alla luna. Suo marito la sera esce, per
giocare d'azzardo o incontrare altre, quelle che sanno di
nettare d’albicocca, quelle che fumano sedute sui divani, quelle
che segui in cima alle scale.
Eh già ci siamo, gli
elementi ci sono tutti, il matrimonio inizia a scricchiolare, e
in casa si respira, un’ineluttabile aria di tradimento. E
l’ineluttabile arriva, certo che arriva, ma non è un artista e
neanche uno scapigliato. Semplicemente è un amico del marito.
Lui si chiama Giuseppe e lavora in banca. Conosce l’arte del
corteggiamento e conosce anche le donne. Gli basta poco per
capire e trovare quella chiave che lo porta direttamente dove
lui vuole stare. C’è anche un bacio, anzi due. Succede un
pomeriggio, seduti sul divano, al centro della sala, sotto le
gocce di un lampadario antico. Giuseppe ha dei fogli in mano,
sono cedole bancarie, ma sono solo scuse, e sta aspettando il
ritorno di Saverio. E non si fa sfuggire l’occasione, ci pensa e
ci ripensa prima del the e dopo un buon sigaro toscano, poi
avvicina il viso e lei non si ritrae, poi avvicina la bocca e
lei schiude le labbra. E’ un bacio sì, l’overture di una
sinfonia, l’epilogo di una tragedia. Guarda quanta intensità,
quanta passione tra quelle labbra rosso ciliegia di lei piene di
arsura, da dissetare, da sgualcire, che desiderano soltanto
l’umido dell’amore.
Ecco ora immagina che lui non si
faccia più vedere, chissà forse per un disegno preciso, per un
piano oppure perché non ha scuse, non ha altre cedole da far
firmare, ma ogni giorno le faccia recapitare, splendidi mazzi di
rose rosse, fasci di cuore e sensi forti che lei puntualmente
annusa, e si sazia e si riempie, e i suoi seni si
inturgidiscono, e il piacere come un miracolo copioso diluisce.
«Le rose che de' suoi baci hanno odore. Non mi bastano
più: lui solo io voglio.»
Questo lei scrive, sospira e
pensa, quando è sola o quando mente, dicendo al marito che
quelle rose belle, le compra ogni mattina la cameriera al
mercato. Ecco la prima bugia, ne seguiranno altre, tante,
troppe. Una donna innamorata mente, sfacciatamente mente, e
se scoperta, ha mille motivi per giustificarsi, con se stessa,
lo specchio e gli altri. E ci crede, e ne è convinta. Perché ha
un solo scopo, che crede ideale, il toccasana d’ogni suo male,
il balsamo d’ogni tristezza, e per nulla al mondo ci
rinuncerebbe, anche mettendo in gioco i propri occhi, il ruolo
di moglie e quello futuro di madre, per non parlare della
dignità che baratterebbe al tavolo del gioco dell’amore.
Ecco ora immagina che siano passati giorni, ma non pensare che
siano banali giorni, perché lei è un tumulto di cuore e sesso,
una bufera di vento e neve nell’inverno russo. Aspetta ogni
giorno quelle rose, le desidera e le pretende, le aspetta come
un telegramma, un destino atteso, il crollo di un campanile dopo
un terremoto. Manca poco, vero, manca niente. Finché arriva quel
benedetto invito. E’ un foglietto scarno, la data, l’ora e un
indirizzo, dell’alcova desiderata a due passi da casa sua. Il
bel Giuseppe si è dato da fare, non ha perso tempo, ed ha
trovato l’alcova promessa. Lei non ha alcun ripensamento, è
presa da quella voluttà, lo scrive nelle sue poesie, sceglie le
parole adatte, che trasudano d’immoralità e d’indecenza, e
compone versi di perdizione e vizio come fosse già successo. E
succede certo che succede, quel primo giorno e tanti altri.
Ecco, immaginala quando si prepara per uscire, immagina le
sue calze di seta nera, i suoi corpetti rosa, i fiocchetti da
donare a chi le presta tanta attenzione. Immagina quei capelli,
quanta cura che ci mette, quel rossetto rosso fuoco, quelle
unghie laccate rosse, quelle giacchine corte alla vita, le forme
tonde dei suoi fianchi. Ecco immagina la sarta paziente, che la
sta a sentire, immagina il parrucchiere, la cameriera solerte e
complice, il suo cane in disparte che ha notato il cambiamento.
Tutti hanno capito, tutti attori di un tradimento! Immagina lei
allo specchio prima di uscire, immagina come si guarda e come si
cura, ogni giorno alle tre del pomeriggio, oggi santo giorno
come il sole che si alza, come una messa comandata, mentre suo
marito si riposa sulla poltrona a fiori e inevitabilmente si
addormenta.
Ecco questo è il segnale. La vedi? Prende la
borsa e il soprabito. Un’altra occhiata per assicurarsi che lui
dorma. Ora chiude la porta, leggermente senza far rumore, ora
sta scendendo le scale, ora è in strada. Esattamente lei, la
vedi? La donna con il cappello e gli occhiali scuri. Sembra
uscita da una copertina di Vogue. Quasi sempre vestita di nero,
come un’amante, come un delitto. Senti i suoi passi? Il rumore
dei tacchi? Come un Bolero che suggestivamente sale, sempre più
convinta che quella sia la strada. Si sta recando in una camera
a dir poco squallida, sicuramente non adatta alla sua bellezza,
alla sua eleganza, alla sua classe. I muri dell’androne
trasudano di muffa, e d’odori d’unto e di sporcizia, le pareti
sono scrostate, la balaustra in ferro arrugginita, qualche
graffito osceno sulle pareti… Ecco, i due amanti si incontrano
proprio lì, ogni giorno alle tre con la compiacenza della
cameriera, che ha il compito di avvertire la signora,
nell’eventualità che il marito si svegli, prima del solito,
prima che finisca l’amore.
Immagina lei quando entra
nella camera, immagina il giovane amante già sul letto ad
aspettarla. Hanno poco tempo, il tempo di un pisolino di un
marito su una poltrona a fiori. Troppo poco per l’ardore di lui,
per l’astinenza istintiva di lei. A volte non la spoglia, alza
quella gonna stretta mentre le bacia il collo e veemente le
strizza il seno. La mano ora è tra le gambe, le scosta le
mutandine. Immagina quelle cosce accoglienti, immagina quei
fiocchetti, la grazia e la devozione, immagina l’abbandono,
quando reclina il viso e dona il suo presente, ovunque lui
voglia stare, ovunque ora quel corpo maschio, affonda e si
ritrae, nel circolo vizioso che l’amore possa fare. E lui le
dice parole sconce che sanno di bordello, e lui le dice altro,
tipo gatta in calore, e lei è un’artista e sa distinguere e
capire, e sa vedere in quelle frasi l’anima di parole, la
passione irruente, il gioco della trasgressione, e lo lascia
fare, lo lascia dire, finché da lontano avverte quel fragore,
che a breve esplode straripando sul piacere, inondando le sue
gambe, slip e poesie.
Ecco non più di un attimo, la
stessa durata di un sogno. Ora lei è pronta, lo bacia, lo ama
come una donna persa, gli dice grazie, ma lui non capisce, e si
rimette il cappello, un tocco di rossetto, ricompone il suo
chignon biondo. Per ultimo rimette in ordine le calze e gli slip
di seta e merletto. La vedi? Sta coprendo la sua indecenza, come
un assassino che lava le tracce, come un cane che copre i
bisogni. Fugge a casa. L’andatura è diversa. Non è poi così
difficile distinguere una donna che sta andando dall’amante da
quella che appagata torna a casa. Eccola sulle scale,
ripensa all’incontro, ne vorrebbe di più, sempre di più. Forse i
due non si sono nemmeno parlati, ma forse è meglio così, la
differenza culturale è troppa e in fin dei conti si incontrano
esclusivamente per altro. Certo, certo a domanda precisa lei
giurerebbe di essere innamorata. L’uomo invece è un po’ più
complesso, prevede una risposta più articolata, ma forse è solo
più furbo. Guardalo appagato che saltella per la strada, fischia
soddisfatto pensando alla sua preda. Ok certo, forse prova
affetto, o forse solo pena, di una moglie che in preghiera,
s’accontenta di mezz’ora.
Ecco ora torniamo al marito,
sospetta qualcosa, le bugie di lei sono troppo evidenti, non
vorrebbe intervenire, vorrebbe lasciar correre, ma c’è un
cognome da rispettare. Da buon investigatore non domanda,
osserva in silenzio, anzi sa che la persona più facile è
l’anello più debole della catena, e con la promessa di
triplicarle lo stipendio costringe la cameriera a parlare. E in
un pomeriggio come tanti, lui fa finta di dormire. Vede Eva
truccarsi in penombra, la vede indossare le calze, sempre più
velate, la cucitura, il reggicalze, e le scarpe con il tacco, il
rossetto ecc. ma rimane immobile, non la ferma. E’ un
carabiniere ricordi? Una donna sa negare, mentire all’evidenza,
per questo vuole agire e coglierla in flagrante!
Quindi
il buon Saverio la segue, a poca distanza fa gli stessi suoi
passi, la vede che sale quelle scale. Chissà se il cuore batte
con la stessa cadenza, ha il fiato grosso certo e i pensieri
torbidi come la sporcizia di quel posto. Non gli pare vero, sta
vedendo la sua donna, abbellita come una di quelle, che lui ben
conosce e se ne sazia ogni notte. La vede portare a domicilio la
sua parte migliore, già calda e disponibile, già persa per
quell’uomo. E la gelosia non si ferma davanti a scrupoli di
coscienza, la gelosia segue un percorso proprio ed il percorso
ora sono quelle scale. Cosa non si farebbe per la gelosia? Cosa
potrei fare io? Cosa potresti fare tu, mio caro lettore? Ok
torniamo a lui che la sta seguendo per le scale, sente il rumore
di quei tacchi, la scia di profumo finché sente la porta
chiudersi. Slam!!! Dal rumore violento capisce già tutto, la
fretta, l’ardore… Quello slam sa di tradimento, sa di corna, di
onta e di vendetta! E da buon carabiniere aspetta, aspetta il
tempo necessario, dopo il quale lei non può più avere scusa,
decenza e dignità. Aspetta lì fuori, in silenzio come un ladro,
quatto come un gatto che aspetta il suo turno, muto come un
silenzio prima del fragore. Ecco, ora immaginalo lì, sente i
primi rumori dell’amore, della passione. Sente gli stessi rumori
dietro le altre porte di quell’infimo luogo, quasi si
confondono. E’ una casa per amanti, una fabbrica di corna a
pochi passi da casa sua. Si domanda come possa sua moglie
conoscere quel posto, come una persona eterea ridursi in quella
fogna.
Ecco immaginalo ora che stringe con la mano
destra un paletto, un piccolo asse di ferro in dotazione ai
carabinieri. Guarda la mano, trema ed è arrossata! Questa non è
un’operazione di polizia, una classica irruzione dentro un
appartamento. Dentro quella casa non ci sono trafficanti di
droga, non c’è una banda di portoghesi a spartirsi il malloppo
dopo aver svaligiato una banca, dietro quella porta c’è lui, la
sua vita, la sua Eva, c’è il confine che separerà l’oggi al
domani, una rete da pesca che divide due mari, uno squarcio
permanente su un vestito di seta.
Comunque procede,
ormai ha deciso, e per lui è un gioco da ragazzi far saltare
quello scatto, e in un attimo apre quella porta. La scena che ha
davanti è romantica e penosa, comunque li vede, i due amanti
sono lì, distesi su quel letto di lenzuola ingiallite e
consumate da quell’amore impuro. Lui è di spalle, nudo su di
lei, lei nuda sotto di lui. E’ bella, anche in quella situazione
è bella. Si ok è a gambe aperte, sta accogliendo lui, il suo
piacere, la sua liberazione. Ma è bella. Suo marito per un
attimo incrocia il suo sguardo, ma non gli vengono parole, né
cagna e né puttana, solo un denso sguardo di disprezzo.
L’amante invece quasi non se ne accorge, o comunque non ha la
prontezza di fuggire, rimane lì dentro di lei, nelle cosce di
una moglie non sua, tra quella seta infiocchettata, tra quel
velluto di pelle color pesca. Eh già, rimane immobile, come un
bersaglio fisso al poligono di tiro. La donna caccia un urlo, è
terrorizzata, ma esce ben poca cosa, l’urlo rimane strozzato in
gola, come il piacere rappreso nel suo sesso. Sono attimi come
lame di un coltello, gelidi come una canna di pistola prima
dello sparo, ghiacciati come il cuore dopo un tradimento. Sono
attimi lunghi e corti, pieni e vuoti, ma il carabiniere sa
quello che deve fare e lo fa, come un dovere, una fede, come
fosse in servizio… professionalmente… obbedisce ad un ordine.
Uno sparo e via senza pensarci troppo. Uno sparo secco, netto,
preciso, uno sparo di morte e di vita. La sua.
*****
EPILOGO DELLA PRIMA PARTE
Ci fu un
processo, ma durò complessivamente tre udienze, ci fu una
condanna, ma la somma degli anni a carico risultò, guarda caso,
pari agli anni dell’attenuante per delitto d’onore. Eva per il
dolore si tagliò i capelli e andò a depositarli con delle
ghirlande di fiori sulla tomba dell'amato dove, per diversi
giorni, si recò a pregare. Naturalmente il marito la cacciò
di casa e ottenne la separazione in un mese. Lei andò via da
Milano e si rifugiò a Firenze, ma suo padre non la volle
accogliere in casa e lei visse poveramente in una camera
ammobiliata. Continuò a scrivere. Ossessionata scrisse e
riscrisse la sua storia d’amore. Ogni giorno, la stessa. Si
mantenne pubblicando saltuariamente piccoli racconti. Eh già le
rimaneva solo la poesia…
SECONDA
PARTE
Ok, abbiamo lasciato Eva in quella mansarda
fredda e umida a scrivere racconti e a piangere il suo amante.
Non sappiamo quanto pentita o meno, sicuramente con un senso di
vuoto dentro. Ha perso tutto, affetto, marito, padre, amante,
cameriera e tutti i benefici del suo rango. Ma soprattutto ha
perso l’amore quel grande amore che non aveva trovato nel suo ex
marito. Eva scrive, scrive la sua tragedia intima e per fare
questo ha bisogno di esperienze d’anima. Non riesce a scindere
la sua vita spirituale dal sesso, in lei sono fusi, solo
nell’abbandono i suoi sensi riescono a percepire quelle
profondità che traspaiono chiaramente dai suoi racconti.
Ecco immaginala a collezionare flirt, più o meno stabili, sempre
alla ricerca della felicità e del vero amore, ma questa volta
non incontra la crema della società, nelle sue giornate non ci
sono ufficiali in carriera o giovani artisti scapigliati
appartenenti alla società bene. I suoi contesti sono strade
sporche senza fogne, tuguri intrisi di olezzi millenari, i suoi
orizzonti soli e lune color melma. Molti uomini che incontra
sono avanzi della comunità, ma gente furba che intuisce
l’origine benestante della donna. Gente che, facendo leva sulla
sua ingenuità e generosità, cerca, con l’inganno d’amore, di
arrivare alla sua dote.
Ecco lei è a Firenze, la sua
città, ma anche il suo rifugio dopo la tragedia, dopo che è
stata rinnegata dal marito e dal padre. Ma Firenze è troppo
stretta per lei. Si sa che la voce corre, tutti sanno ciò che è
successo, e l’infedeltà di una donna passa velocemente di bocca
in bocca. Ha difficoltà di inserimento e allora decide di
cambiare aria. A Roma trova calma, ma soprattutto tanta
solitudine. Nelle sue lunghe giornate si impegna, passa lune
piene e notti intere a scrivere. La scrittura per ora è la sua
unica e sola consolazione. Le virgole e i punti le danno carica,
le pause l’ispirazione e la giusta enfasi al suo male di vivere.
Il dolore del resto rende l’anima più fonda e più sensibile. I
suoi racconti sono nenie e filastrocche che escono da quelle
pieghe fibrose e trasudano stille di sentimenti veri, gocce di
sangue e tradimenti e da lì nascono storie passionali e nel
contempo piene di dolcezza. E quando l’anima è coinvolta,
l’impegno e la costanza producono sempre le gemme più belle di
marzo e i frutti migliori al raccolto. I suoi personaggi
prendono forma, i suoi romanzi, seppur influenzati dalle sue
vicende personali, iniziano ad avere un discreto successo.
Lentamente esce di casa, lentamente si apre agli altri, Roma è
una città aperta e l’accoglie senza pregiudizi.
Ecco,
immaginala bella, nei salotti bene di questa città immortale,
immagina di nuovo il suo sguardo, pieno di luce, immaginala
affascinante, incantevole nei modi e nei vestiti, nella scelta
dei tessuti e dei cappelli. Ecco immaginala di nuovo sicura che
cammina tra le carrozze di Via del Corso, o quando si
intrattiene amorevolmente a conversare di poesia e bellezza, e a
disquisire tra le varie correnti di lettere e d’arte. E come
sempre accade in questo tipo di frequentazioni incontra un
giovale letterato di nome Giovanni Alfredo. I due si piacciono e
trovano modo di approfondire la loro conoscenza. Ora la troviamo
nella sua piccola casa del rione Monti, eccola le vedi? E’ alla
finestra intenta a sublimare ed a saziarsi del panorama
all’imbrunire, osservando il tramonto rossastro di Roma. Quel
tramonto colora la sua anima d’infinite sfumature. Quelle chiome
di pini storti in trasparenza la rendono fragile e in balia dei
sensi.
Eccola, la vedi? Ora è tra le braccia di
Giovanni, fanno l’amore sì, ma lui è gentile, rispettoso e
delicato, i suoi baci un refolo leggero di ponentino. Il suo
animo è nobile, l’amore unico e sereno. Adora Eva quasi come una
sorella o madre o sposa. Ma, c’è sempre un “ma” nella vita
di Eva, è un “ma” carico, pieno di sensazioni che lei non riesce
a trovare in un normale rapporto. E’ un “ma” che sa di stazione,
di treni a vapore che partono e arrivano. Eccola la vedi? Con la
gonna stretta, il cappello, l’ombrello, la valigia sempre pronta
per altre stazioni. Ed infatti non si sente appagata da quel
tipo d’amore, lei ha bisogno di altro, di emozioni e stupori,
per questo è alla finestra, per questo pensa, pensa, sente
dentro una forza ribollire, un qualcosa che la trascina in altri
lidi, inspiegabili e misteriosi, appunto quella forza oscura che
il giovane per sua indole e natura, mai potrà addomesticare.
E il tormento dell’anima è sempre alle porte, lei non lo
cerca ma si fa cercare, ed ecco Pietro, pittore di modesto
talento, ma artista dalle pennellate forti, dai chiaroscuri
netti. Lo conosce per caso, anzi per lavoro. Lui deve illustrare
la copertina del suo nuovo romanzo. E quel romanzo è una sorta
di autobiografia con cupe riflessioni sui suoi affetti, vista
attraverso la vita di una bambola, pensante e senziente, una
bambola che per tratti e carattere somiglia molto a lei.
Ecco immagina costui, praticamente un povero diavolo,
venticinque anni senza arte e né parte, una vita povera di
denaro, ma ricca di stenti. Ha studiato all'Istituto di Belle
Arti, ma riesce solo ad imbrattare tele o dipingere muri per
sbarcare il lunario. Non ha né casa né studio e si atteggia a
bohèmien più per necessità che per scelta. Di origini napoletane
mangia quando può e ciò non avviene quotidianamente. Conserva i
mozziconi delle sigarette, le sue tasche sono gonfie di pane
raffermo, la sua barba è incolta, sporca, e la sera molto tardi
va a dormire da sua sorella.
Durante le sue lunghe ed
inconcludenti giornate per Toledo incontra Eva di passaggio per
Napoli. Il primo approccio è banale, lui le chiede il permesso
di farle un ritratto. Non chiede un prezzo ma si affida al buon
cuore di lei. Eva è perplessa, ride e sta al gioco. Il ritratto
è bellissimo, i suoi occhi dipinti sono profondi come due anime
incavate, scintillanti come due calici di cristallo. Lei si
appassiona a lui e alla sua vita. Si chiede come sia possibile
che un artista così pieno di talento abbia quell’aspetto e
quella condizione. Allora comincia ad aiutarlo, gli propone di
dipingere la copertina del suo nuovo libro e lo raccomanda ai
suoi amici. Lui si trasferisce a Roma, ma è timido e lei lo
incoraggia. Pietro non raccoglie e una sera Eva decide si essere
più diretta proponendogli di cenare a casa sua anziché saltare i
pasti. Naturalmente ci sono anche i “dopo-cena” ossia l’inizio
della loro storia.
Poi si sa le cose come vanno, i due
decidono di convivere. Le loro notti sono notti di fuoco, di
strizzate d’anima e sesso, di paradiso terreno, di gambe
capienti come culle e maschi tesi. Tutto sembra non avere fine,
ma ben presto tornano le nuvole, e tornano i treni e le
stazioni, la donna con la valigia, e l’anima di Eva di nuovo
ribolle e l’atmosfera diventa cupa, per via delle continue
assenze di lei. Ecco immagina lui disteso nel letto, in
canottiera che fuma e guarda il soffitto, è notte, è sempre più
notte, le ore si allungano ed è sempre più attesa. Dicevo,
immagina lei che torna, bella sensuale e femmina sazia, il
trucco dimesso, i capelli sciolti che sanno di perdizione e
sesso appena consumato. Ecco, immagina lui, l’aspetta e la
guarda, le scenate di gelosia sono sempre più violente, lui non
capisce cosa significhi anima libera, anima d’artista, lui pensa
solo alle sue corna, beh sì queste sono tante e la sua bassa
cultura non riesce a sopportare.
Ecco immagina questo per
tanti giorni e tante notti e immagina pure una volta, una di
quelle banali, una delle tante. Il giovane pittore finalmente ha
la prova provata, è in allarme e la cerca ovunque, finché
intercetta una lettera indirizzata a lei, è una lettera d’amore,
le parole galleggiano come una foglia sull’acqua, come ninfee
quando sbocciano il primo fiore, delicatezza e passione,
bramosia e sesso. Ci sono dei riferimenti chiari sulla natura
delle assenze di Eva e questo basta a Pietro per scatenare notti
e giorni di gelosia, scenate violente con tanto di percosse. Eva
è sconvolta per questa reazione, non capisce, ma poi trova la
chiave giusta dicendo e mentendo che è solo un’appendice di un
vecchio rapporto, e quella storia da tempo è morta e sepolta.
Lui insiste e a questa pressione lei risponde di essere confusa,
che ha bisogno di tempo…
Ma si sa come vanno le cose, da
quel momento il tenebroso pittore diventa violento, manesco e
possessivo, ogni pretesto è buono perché l’ira prenda il
sopravvento. La tratta da donna di strada, ha perso la fiducia e
non crede più ad una sua parola. Eva ha paura, ma non riesce
ad allontanarsi da lui. Comunque qualche tentativo lo fa, una
volta tenta di chiuderlo fuori di casa. Ecco immagina lui
barcollante che bussa alla porta, è ubriaco, puzza di gelosia
affogata in un vino da poco e in donne di malaffare, immagina
lei in casa, ha paura, sa che anche stasera ci saranno percosse.
Lei spranga la porta, ma lui forza una finestra ed entra in
casa. Puoi immaginare cosa possa succedere, ma Eva non si
convince, non fugge, accetta quelle percosse, alcuni amici le
consigliano di denunciarlo alla Questura, ma lei non si fida, ha
paura e teme che lui possa vendicarsi.
Uno di questi
amici, seriamente preoccupato, intuito il pericolo, per ogni
evenienza le regala una pistola da tenere nella borsa. Ecco
immagina lei, ora è di nuovo a casa, immagina lui, sono a cena,
lui per un pretesto alza la voce, poi le si avvicina minaccioso.
Lei istintivamente prende la pistola e gli intima di andarsene e
lasciarla in pace! Lei grida, lui grida, volano parole di
bettola, la situazione si fa pesante, la vista della pistola,
invece di calmare gli animi, li rende incandescenti. Il giovane
pittore in preda all’ira strappa dalle mani di Eva il revolver e
spara, spara, spara tre colpi. Non sappiamo quanta
intenzionalità ci sia in quelle pallottole, sappiamo solo che i
primi due non vanno a segno, ma il terzo centra e trapassa
l’addome della povera Eva.
Non muore immediatamente,
viene operata d’urgenza e durante la lunga agonia ha modo di
dire a chiare lettere alla Polizia che il gesto dell’uomo è
stato dettato solo ed esclusivamente da interesse economico e
non da motivi passionali, in modo che la giuria, visto le leggi
di allora, non sia costretta ad applicare alcuna attenuante alla
condanna.
*****
EPILOGO
La storia di Eva innamorata dell’amore finisce qui, una vita
movimentata con un epilogo degno della letteratura del tempo…
Soprattutto un’agghiacciante coincidenza tra letteratura e vita,
lei muore proprio della stessa morte violenta che tante volte
aveva descritto nelle sue opere conferendo alla sua biografia e
alla sua memoria un alone di tragica e ineluttabile fatalità.
Con immenso trasporto e pena ci pare di sentirla ancora
mentre sussurra i suoi versi e tra le righe legge: “Noi amanti,
noi donne infedeli, noi donne che abbiamo interrotto un grande
amore, siamo destinate a vivere la nostra unica vita qui, su
questa terra, perché per noi non ci sarà mai il Paradiso!”
|
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
© All rights
reserved
TUTTI I
RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
Photo Maja
Topcagic
© Adamo Bencivenga - Tutti i diritti riservati
Il presente racconto è tutelato dai diritti d'autore.
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