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Adamo Bencivenga
Il narratore di spose al primo fiore
Lui passeggia tra le luci
d’arancio di un tramonto, d’argento delle lune, di
miele fluorescenti, sugli ombrelloni chiusi in fila,
sulla terrazza in riva al mare, addobbata a
matrimonio della sposa al primo fiore.
S’attarda
lungo i fili carichi di odori, di gelsomino ed ambra
scura riflessa nella sera, di sapori alla vaniglia
sulla pelle bianco latte, sulla musica che sale
nelle vene delle note, ed accarezza quelle stoffe di
invitati e testimoni, degli sposi in affanno per la
loro prima notte.
Lui non è uno scrittore e
tantomeno un pittore, forse solo un regista di
matrimoni vecchio stile, per questo lui s’aggira ed
esperto dà consigli, per questo è un narratore, un
poeta di etichetta. Ha il viso da vecchio saggio, ma
la ruga di un attore e dita morbide d’artista,
leggere come piume, perché lui è un novelliere di
oniriche visioni, intarsiate dai contorni della
sposa al primo fiore.
Lui la immagina in
carrozza, trainata da cavalli, nelle pose dentro
sfondi inondati di colori, accesi come il cuore,
pastello come il grano, e lussuria ed opulenza, di
sfarzo ed abbondanza, che arricchiscono le forme e
nutrono il suo genio e ingrassano il suo estro
lasciato a fecondare.
Perché lui è un
narratore di spose al primo fiore, vestito tutto
punto di un blu notte raffinato, ed è seduto in
disparte, ma non è uno spettatore, a volte un
maestro di riti e liturgie, un gran cerimoniere che
cura ogni dettaglio, perché tutto vada bene, ogni
cosa al proprio posto, ogni posa, ogni figura che
incornicia nel suo sguardo.
Perché lui ha i
capelli bianchi, colore di saggezza, perché lui ha i
capelli folti, tanti quanti le sue donne, spose al
primo fiore, che pennella senza tela, decora e
s’innamora, poi cuce ed infiocchetta con i pizzi e
le parole. E ravviva i punti d’ombra e s’attarda
sulle curve, barocche di merletti, d’arabeschi i
suoi profili, ridondanti come rime, ampollose come
unguenti, d’ogni singola minuzia, d’ogni vuoto che
riempie, con i bisbigli dei vestiti, e gli orpelli
dei fruscii, i barbagli delle albe cariche di
ghirigori.
Perché lui è un narratore di spose
al primo fiore, e le ama come il vino, quello buono
vellutato, invecchiato nelle botti di legno
stagionato, perché il tempo non ha anni ma solo
belle donne, che conta come calici e le associa come
fiori, d’ogni nome un’essenza, d’ogni aroma
un’emozione, d’ogni gemma un solo fiore come i
peschi rosa a marzo.
Perché lui è un narratore
di pose di signore, lascive come nettare, collose
come il miele, leggere sopra i tasti di un piano
contro il mare, ed il vento caldo soffia una sonata
in fa maggiore, oppure un tre tempi nello strascico
di un valzer.
Ora s’alza e si muove come
sopra un pentagramma, e cerca la sua sposa, la fruga
tra la folla, con tatto e discrezione l’assiste e
poi la cura, appoggiato alla ringhiera, a debita
distanza, la guarda con premura come fosse una
figlia, perché lui è un ritrattista d’anime sfumate,
a volte solo ombre, senza visi e profili, a volte
solo vuoti, che riempie di colori, oppure ridisegna
cercando quell’essenza, d’alone e di sostanza sul
volto della sposa, di gioie e desideri, di sogni mai
appagati.
Adesso è il momento e da gran
cerimoniere, s’avvicina alla sposa e le sussurra
nell’orecchio, le ultime istruzioni per l’epilogo
previsto. Lei tremante chiede aiuto, e lo prega di
seguirla, perché tutto scorra liscio fino al taglio
della torta, perché tutto sia a modo, per sentirsi
più sicura, per un ritratto sulla tela, per
quell’ultimo ritocco. E mano per la mano gli sposi
intimoriti, tra due file di invitati, di testimoni e
parenti, salgono le scale seguiti dal maestro,
perché lì al primo piano tutto abbia un senso, e
niente d’imprevisto rovini quella festa, e in caso
lui intervenga in soccorso dello sposo.
Perché lui è il narratore di spose belle in fiore,
di nozze ed invitati che aspettano il suggello,
mezz’ora per l’attesa, un’ora per l’amore, perché il
miracolo s’avveri e l’anima si impasti, in
trasparenza all’intorno come se fosse cosa sola, sul
letto al primo piano, in terrazza in riva al mare,
dando vita a un tutt’uno e musica al profumo, e il
corpo vale il vento, e la musica i capelli, la
stoffa il pianoforte, le dita i tasti bianchi, lo
smalto delle unghie il bianco della pelle, i calici
le labbra, i riflessi dei cristalli, il seno una
barca di profilo in lontananza, e una coppia sta
ballando sui colori di uno sfondo, il cameriere che
attraversa la terrazza sopra il mare, il testimone
ubriaco che s’adagia sulla sedia.
E
l’immagine in testa si dipana d’armonia, e tutto va
al suo posto in un ordine supremo, i colori dei
confetti abbinati alle fortune, dolcetti e
marzapane, i presagi della maga, e figli maschi e
buona sorte oppure due gemelli, ed i fili delle note
e i soffi di quel vento, le rime dei vestiti, i
versi dei capelli.
Perché lui è il narratore
delle spose al primo fiore, e proprio in quegli
istanti sa cosa deve fare, in caso che lo sposo
pieno d’emozione, non porti a compimento in suo
unico dovere. Di solito non capita, ma se dovesse
capitare, lui che è il narratore va in soccorso
della sposa, e coglie quella rosa da esperto
giardiniere, perché tutto abbia un fine e la sposa
soddisfatta, tra gli echi di piacere che saziano
quell’aria, di carezze e baci buoni, dei gemiti
d’amore, che si espandono nell’aria dall’alcova al
primo piano, e si fondono alle attese dei parenti
soddisfatti, alle angosce silenziose, alle ansie
dello sposo, che ora esplodono di gioia ripagandolo
a dovere.
Perché tutto abbia un senso, tutto
un’apparenza, ogni verso un suo ricamo, ogni mezzo
il proprio fine, e una musica riempie i vuoti senza
fine, e qualcuno che si chiede dove sia finito il
narratore, finché quel cielo nero s’illumina di
fuochi, con uno scroscio d’ovazioni di elogi e
battimani, perché dalla finestra in un colpo di
teatro, lo sposo mostra fiero le macchie sul quel
drappo, di sangue rosso fresco della sposa al primo
fiore...
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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Photo Idda Van Muster
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