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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Il Regista dei Sogni




 


 
 


Alle volte succede che un regista distratto, con la barba curata e la faccia d’attore, ed un sigaro spento come da scena, esca nella notte da un portone patrizio e passeggi e ripensi alla serata passata, un Whist tra amici giocato a due coppie. Alle volte succede che si lasci rapire, da un velo tedioso di mestizia e sconforto, da quei vicoli stretti, scoscesi e brumosi, agitando il bastone in legno di faggio, picchiandolo a volte sulle lastre di tufo, per sentire quell’eco ed aver la misura, di quanto sia vuota un’anima sola, di quanto sia ancora distante quell’alba, che sola sopisce le code eccitanti dei vapori dell’alcol e quelli d’amore.

Alle volte succede che lo stesso regista, abbia in tasca un copione stropicciato e corretto, che parla di un attore e una donna incontrata, tra i vicoli stretti di un paese inventato, tra i muri impregnati di unguenti ed odori, di un olio di carne, riserva speciale, un livido aroma di brandy invecchiato, nei legni di quercia di colore giallastro, nelle doghe di botti di rovere e farnia, come quelli descritti nelle scene retrò, perché l’anima in fondo sia in simbiosi con il resto, come quelli negli antri umidi e freddi, che si distillano al buio di vecchie cantine, nei sottoscala di case dove fondono densi, gli odori sgraziati, le essenze fragranti, di un paese da film, dai camini ardenti, dai ceppi di resina che si sciolgono al fumo, contro i muri scrostati di incuria voluta, di umido e muffa, d’inverni perenni.

Alle volte succede che il regista si fermi, a ringraziare la luna perché ha gonfia la tasca, dell’ultimo piatto vinto alle carte e il copione non dice a quanto ammonti la somma, ma è tale e quale al compenso per un po’ di piacere, in quei tetri portoni di anime sole, in quelle pensioni che fanno alcove di nulla, fanno tette a quest‘ora vuote di maschio, fanno buchi di terra dove nulla germoglia.
Alle volte succede d’incontrare per caso o forse soltanto per il buon vino d’annata, un angelo biondo tra le nebbie più spesse, la stessa figura per filo e per segno, descritta in dettaglio nella sua tasca, nel copione già scritto che conosce a memoria, tra rime e parole e maglie nell’ombra, nel cono di luce, di spirargli dei versi, nei quali si muove, nei quali lei balla, e sciama la seta e sciama i suoi anni, nelle curve degli archi di viole e violini, con un cappello di raso morbido viola, un vestito di seta che lascia sognare, di seguire le forme, le curve, le pieghe, di seguire il profilo con un dito leggero, come quando si cerchia la luna distante, come quando si intinge un dito nel mare.

Alle volte succede che a quell’ora di notte, veda quell’angelo, lo stesso dei versi, e pensi alla donna contro un fondo di luna, e si chieda se sia vera oppure solo una scena, quando danza sospesa e poi plana leggera, e il rumore dei tacchi che si propaga nel buio, sono spari taglienti tra i vicoli stretti, sono tiri precisi che colpiscono il cuore, di chiunque a quest’ora si inoltri disposto, a farsi incantare da quelle nubi di fumo, e tirate di vizio fin dentro i polmoni, boccate di anni, passato e mestiere, di una donna in attesa che sussurra parole, di un incontro vicino, un sogno imminente, come se a breve spuntasse dal fondo, un signore distratto con una faccia d’attore.

Alle volte succede che lui raggiunga la donna, e si fermi ammirando quei passi di danza, e la veda sospesa sulle crepe d’attesa, nei tagli di pieghe dei nodi di legno, di quel corpo che riluce e miete vittime ignare, perché l’uomo ora parla e lei continua a danzare, e l'amplesso dei suoni strozza il respiro, e l’abbraccio dei versi spezza quel fiato, e l’impeto incalza pressa e solleva, ed esce più netto dal cardine secco, di qualunque pensiero sia in grado a quest’ora, d’addensare il suo sangue, d’aggrumare le voglie, lasciandosi andare oltre il copione. Perché la donna sa che è dentro la mente, di un regista famoso che può cambiare la storia, e l’uomo sa che è fuori copione, quando bacia la donna e si lascia baciare, ignorando quel testo che prevede volgare, nella prossima scena un passaggio di soldi, e obbliga l’uomo al giusto compenso, esattamente la cifra che gonfia la tasca, ed obbliga lei a salire le scale, agitando i suoi fianchi di carne sgraziata, per indurre quell’uomo a fare più in fretta.

Alle volte succede che il regista si fermi, e prenda quei fogli e s’appoggi al muro, e con un lapis rosso cambi la trama, e guardi quel foglio e guardi la donna, e tutto ad un tratto si rischiari la notte, ed un’alba lontana si appresti e si affanni, e il cielo si squarci in viola ed azzurro, cambiando il colore dei loro vestiti, popolando la scena di belle persone, trasformando quel vicolo in una piazza gigante, con prati, fontane ed un reggia imperiale, e tutto intorno signore dai cappelli eleganti, e tutto intorno signori e tavolini all’aperto, tra grandi fioriere d’ortensie e begonie, perché a volte succede che un regista famoso, con il lapis rosso continui a sognare, e l’odore di muffa diventi violetta, e la coltre di nebbia lucciole d’oro, e farfalle regine e coriandoli rosa, sopra gli ombrelli delle belle signore, trasformando la donna da bella di notte, da attrice ad amante e la prenda per mano, e rimanga a fissarla, a dirle che è bella, che ha le labbra di carne, di rosso velluto, che ha lo sguardo di cielo e i capelli di grano, che paura, che voglia di portarla lontano, di prenderla in braccio e sussurrarle parole, e intingere il dito nella bocca di miele, e continuare a danzare senza nessuna fatica, perché lui ora è maschio, muscoli e ferro, e lei una piuma che danza leggera, una spuma leggera sulla cresta dell’onda, perché lui le sorride e continua a ballare, finché uno scroscio d’applauso rubi la scena, e lui guardi la donna e guardi quel fiore, ringraziando quel cielo, la fortuna, la sorte, d’esser lui il regista e non solo l’attore.
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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Photo   Jaroslav Monchak


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