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Adamo Bencivenga
Il suicida
Probabilmente si svegliò ad un’ora insolita
decisamente, le cinque e tre quarti e fuori ancora
buio. Sotto una doccia calda e la barba appena fatta
sentì una moto correre e un gallo canticchiare.
Sicuramente si vestì curando i dettagli, colletto
bianco panna e la camicia a fiori, il suo viso senza
accenti come se dovesse andare, di festa a
passeggiare o gli altri giorni a lavorare, bussando
porta a porta in cerca di clienti, entrando in
quelle case di casalinghe appena alzate, tra l’odore
di caffè e il fumo di una sigaretta, per poi
mostrare le meraviglie del suo ricco campionario,
tirando fuori quei feticci come un mago sopra un
palco. Probabilmente sì, probabilmente lì, uscivano
le parole, le prime del mattino e le ultime di sera,
per descrivere fiocchetti e pizzi e merletti,
collant e reggiseni a volte neri, a volte lilla,
adatti ad una donna che ha passato i cinquanta, che
sogna una serata davvero un po’ speciale.
Probabilmente uscì, chiudendo dietro sé la casa in
penombra, indugiò per un momento ancora sulle scale,
poi riprese lentamente, ma aveva fatto il giro
quattro volte, probabilmente sì, in casa tutto a
posto, aveva chiuso il gas e dato l’acqua alle
piante, la bambola sul letto, un film programmato a
registrare. Probabilmente sì, probabilmente no,
aveva lavato le posate e messo i piatti a scolare,
chiuso le tapparelle per via dei gatti in calore.
Probabilmente uscì, fermandosi un istante davanti
alla guardiola, mise sotto lo zerbino la delega
firmata, indicando il suo vicino con nome e cognome,
probabilmente no, non ce l’avrebbe fatta, per via
delle due faccende quel giorno da sbrigare.
Probabilmente andò, con un ghigno lungo il viso, a
causa di un mal di denti che lo stava tormentando,
avrebbe chiamato il dentista o fatto un salto dopo
pranzo, sorrise per un istante, appena appena
accennato, si rese conto dell’assurdo e cosa avesse
mai pensato! Probabilmente no, non aveva tanto
tempo, si inoltrò nell’alba rada con il bavero
alzato, un cappello a falde larghe ed un paltò sotto
il ginocchio, come un poliziotto nei noir parigini,
tra le nebbie della notte sotto i ponti della Senna.
Probabilmente no, non era notte fonda e
nemmeno il Lungo Senna, solo un parapetto che
guidava i suoi passi, solo un branco di cani stanchi
per via di quella cagna, che smorfiosa ed indolente
s’attardava ad annusare. Probabilmente sì,
probabilmente no, solo un viale di pali radi e la
ghiaia sotto i piedi, adorava quel rumore, che
cadenzava i suoi respiri, l’andatura un po’ di
fretta, qualche auto di passaggio, una mano stretta
in tasca e nell’altra un biglietto. Probabilmente
sì, lungo una neve spolverata, si fermò sotto i
portici al bar della stazione, gustando un croissant
ripieno di marmellata, bevendo latte caldo,
rileggendo le parole, virgole e punti, i verbi e i
congiuntivi, semmai per un caso strano avesse fatto
qualche errore.
Probabilmente sì, non c’era
nulla ormai da fare, tranne per l’alzataccia o quel
pensiero nella mente, quando si soffermò ad
osservare le vetrine, tra le maglie strette delle
serrande abbassate. Lo colpì una cravatta a strisce
orizzontali, pensò che fosse adatta per ciò che
doveva fare, poi guardò l’ora tarda e decise di
ripassare, perché sarebbe strano vedere un uomo
aspettare, come sarebbe strano vederlo ora andare,
senza una cravatta per poterlo ricordare.
Probabilmente andò e si lasciò dietro tante storie,
qualcuna incompiuta e molte altre consumate, per via
del suo lavoro e le casalinghe con i rolli, scosse
la testa stanca con quel ghigno sulla faccia, ancora
il mal di denti o perché ormai per così dire, s’era
fatto troppo tardi pur essendo molto presto.
Probabilmente no, non ci sarebbe più riuscito, a
recapitare quella lettera che teneva nella tasca,
imbucarla nella cassetta o darla alla portiera,
perché non si sa come e perché non si sa mai, perché
solo in questo modo avrebbe avuto la certezza, che
lei l’avrebbe letta oppure solo aperta.
Sicuramente si fermò un attimo a pensare, come fosse
tutto inutile e non sarebbe più servito, per via
della faccenda, l’altra che a breve, avrebbe
vanificato il sapere o non sapere, l’attesa e la
risposta o il suo viso indifferente. Probabilmente
entrò in un ufficio Banco Posta, fece una
raccomandata all’indirizzo conosciuto, ringraziò
l’impiegata che rispose con un sorriso, pagò ben
volentieri quei due euro e cinquanta, pensando come
fossero davvero spesi bene.
Probabilmente no,
non girò verso destra, s’incammino lungo il viale
tra i pali radi e le siepi fitte, s’alzò un profumo
intenso, d’alloro fresco fresco, lesse un cartellone
d’un film prossimamente, la sua attrice preferita in
una giallo intrigante, probabilmente sì, vide il
fiume e vide il ponte, il volo di un gabbiano, raso
a pelo d’acqua. Probabilmente sì, c’era a destra una
sinagoga, due rabbini vestiti in nero ed a sinistra
un ospedale, sopra un'isola di verde che spezzava il
corso d’acqua, il solito gabbiano in posa per la
foto, una partoriente sofferente che arrancava sulle
scale, una finestra aperta che dava sul cortile.
Probabilmente sì, era un uomo di parole sole, di
promesse appese ai sogni, di castelli sulla sabbia,
si sentì dentro una nuvola, come se non pesasse
niente, come se il suo passato fosse già da un’altra
parte, anticipando di minuti quello che doveva fare.
Probabilmente sì, decise di proseguire, si toccò la
guancia destra, lasciò cadere una moneta, rapito dal
rumore del piattino di metallo, tenuto a bada con la
zampa da un cane magro magro, come del resto il
padrone, un uomo impaurito con un violino sulla
spalla, che si tolse il cappello per un grazie ed un
inchino.
Probabilmente sì, lo pregò di
suonare, un brano a suo piacere, che parlasse anche
di un treno, perso naturalmente aggiunse sottovoce.
Probabilmente sì, gli fece l’eco sibilando, ma era
solo un soffio breve senza note e né parole, ma era
solo un pensiero, lo stesso che tante volte, lo
sorprendeva a quest’ora davanti ad un mendicante.
Probabilmente sì, probabilmente forse, lasciò il
barbone e lasciò il cane magro, fece ancora qualche
passo lungo il parapetto, l’asfalto un po’ sconnesso
lo costrinse a saltellare, si era alzato molto
presto, per due faccende da sbrigare, la prima
quella lettera lasciata al Banco Posta, la seconda
era lì a breve, solo trenta passi, lungo quel muro
dritto, in fondo a quel viale.
Probabilmente
sì, probabilmente no, avrebbe potuto fare quel
tragitto, anche ad occhi chiusi e le mani ferme in
tasca, perché ogni cosa era già prevista, già
contato i trenta passi, già deciso il punto adatto,
segnato con un cerchio ed una croce di gessetto, che
se non fosse stato per la neve, ora senza affanno,
l’avrebbe riconosciuto senza tanto poi penare.
Probabilmente sì, probabilmente forse, si guardò
ancora intorno, e vide come tutto fosse così
normale, gli uomini di corsa, gli autobus alla
fermata, e come tutto il resto girasse come sempre e
nulla che facesse pensare a quell’evento. Eh già
sarebbe stato un peccato continuare e allora si
fermò e scosse il capo, poi decise di rimandare, di
correre alla Posta e chiedere all’impiegata, di
riavere quella lettera per non lasciare traccia.
Probabilmente sì, probabilmente no, ci pensò
ancora un attimo, semmai ci avesse ripensato, ma
tutto rispondeva come sempre immaginato, la neve
fitta fitta e la mattina di buonora, l’aria
frizzantina, la lettera spedita, un brano alla
francese, Sognami se nevica. Probabilmente forse, si
fermò per non capire, guardò avanti e guardò
indietro, la strada era vuota e il violinista già
ubriaco, cercò ancora invano quel cerchio di
gessetto, o forse fece finta di non averlo visto e
all’angolo col ponte decise di proseguire...
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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