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Adamo Bencivenga
IL TEMA DI LARA
Ci sono dei
giorni che scorrono lenti, come fiumi che portano masse di fango
e straripano su sponde e inondano campi, e ti chiedi da dove
provenga la brama d’essere un’altra con una faccia diversa, un
trucco a farfalla con le ali di seta, di lilla e di viola con i
riflessi pervinca su un vestito a fiori e un cappello di paglia,
e le labbra più rosse ed i capelli di grano, che voglia che
bello andare lontano, che bello e che voglia tenersi per mano e
chiudere gli occhi in attesa di un bacio, e correre incontro al
sole che batte, che indora la pelle ma che ora di latte, ti
lascia il sapore d’un’anima morta.
Perché ci sono dei
giorni che vorresti cambiare, questo lutto nel cuore che porti
da mesi, questi toni ormai lisi diversi dal nero, che non danno
eleganza ma solo grigiore e tu che ripeti che se non avessi tuo
figlio, potresti sentire di nuovo l’effetto, d’un cuore che
batte e lento riparte, ed una voce che calda chiama per nome, le
tue gambe gemelle che si snodano agli occhi, d’uno sguardo che
intenso ti fa vibrare leggera, come una foglia cullata dal
vento, che leziosa s’adagia senza chiedersi il verso, la
direzione ed il senso dove porta quel soffio .
Sono
passati sei mesi da quando è successo, una vita affidata ad un
pezzo di carta, la sentenza di un giudice e non stavate più
insieme, la sua faccia insolente e sei scappata di corsa, sei
tornata a casa ed hai aperto la porta, hai sentito denso l’odore
del vuoto, di chi in un nonnulla s’era dissolto, e tu con lui
con la morte nel cuore, e tu con lui e la cena ed il pranzo, le
tante abitudini scomparse per sempre, mano per mano sul divano
la sera, mano per mano nel letto di notte, per paura del buio e
quei fantasmi sui muri, che nonostante i sei mesi t’appaiono
ancora.
Sono ombre che fitte s’affollano in massa come
nidi di uccelli sotto i tetti di notte, che sfumano a volte con
la falce di luna e mute rimangono in attesa dell’alba perché ci
sono dei giorni che pensi e domandi, come davvero sia potuto
accadere, mai un litigio, un momento di noia, mai una volta che
sia arrivato più tardi. Eppure l’altra era lì, chiara evidente,
aveva un nome e un cognome e molti anni di meno, ma tu sorda non
hai percepito, mai lo avresti creduto, eppure covava, dentro
covava, quella tenia di noia esplosa di colpo, una foto, un
indizio, un banale disguido, una nuda bugia, un dubbio più
forte: “Non è come pensi…” “Ma cosa vai a pensare…” E poi la
certezza guardando i suoi occhi.
Ci sono dei giorni che
non ti dai per vinta, che t’alzi e pensi che sia un giorno
diverso, allora sì che spalanchi finestre e respiri profondo
l’azzurro del cielo, ed allora sì che vai incontro al tuo giorno
e ti curi e ti trucchi con un nuovo rossetto, più chiaro e più
vivo per dare nell’occhio, per essere pronta se in caso lui
accettasse. E allora sì che lo chiami al lavoro, e parli di
niente e parli di tutto, e ridi per niente e ridi per tutto,
convinta che dopo arrivi l’invito, magari per un pranzo o una
gita fuori porta, magari soltanto per parlare di casa, del
rubinetto che perde o la vicina invadente, delle tante bollette
o di Marco che chiede, ogni sera nel sonno quando torna suo
padre.
Ed invece no, non succede mai niente, lui è
sfuggente, parla e non parla, e tu ti dai della stupida soltanto
a pensarlo, perché ci sono dei giorni come reti da pesca, che
dividono i mari come dividono gli anni, e non hanno un oggi e
non hanno un adesso, ma solo un passato che granitico è certo,
ma solo un futuro che labile sfuma, come la luna tra le nuvole
fitte, come una luce tra la nebbia di notte, che ti indica un
punto dove cerchi di andare, senza sapere se sia quello il più
giusto.
Ma ci sono altri giorni che ti fai coraggio ed
accetti, l’invito pressante della tua amica Giovanna, in un
locale di Ostia con due conoscenti, un avvocato e un dentista
che non sono poi male, che possono servire per quello che
cerchi, a scrollarti di dosso questa noia vischiosa, in una
serata diversa lontana da casa, magari in un posto dove si possa
ballare o rimanere per ore a parlare di niente.
Ci sono
dei giorni che poi è lo stesso di prima e ti ritrovi di colpo
davanti allo specchio mentre scegli il vestito e lasciva ti
guardi, mentre provi quei tacchi rossi da sogno, che alti, che
belli ti fanno figura e ti slanciano snella e ti fanno più
magra, e tu ridi contenta pensando che in fondo basta un niente
davvero per sentirsi più viva, come un ramo di pesco rinsecchito
in inverno gemma e rigemma al primo raggio di sole. Perché ci
sono dei giorni che per grazia e magia, quelle rughe allo
specchio si sono dissolte, quei vizi di pelle d’incanto spariti,
e ti senti più forte come fosse vendetta, come fosse rivalsa
contro quell’ombra, che comunque aleggia sopra il soffitto, e
severa ti giudica e sembra darti consigli che tu segui ed
accetti senza battere ciglio.
Poi passa, certo che passa,
il timore di non essere ancora all’altezza, di esser di peso in
una cena tra amici, perché quello che hai dentro non rispecchia
per nulla, la scollatura profonda del tuo vestito a fiori, il
rossetto deciso troppo acceso che spara e la calza che hai
scelto con il ricamo sul bordo, che è proprio un delitto tenere
nascosto, che è proprio un reato non spartire nel letto, sotto
la seta, il pizzo e il merletto, sotto il vestito che fa la
ruota e si gonfia, al vento che soffia sulla pista da ballo, in
un locale all’aperto sul lungomare di Ostia.
Poi passa
certo che passa, perché anche un dolore scade nel tempo, perché
anche una rondine abbandona il suo tetto, e tu piano piano
riacquisti fiducia, e ti trovi perfetta in sintonia con il
mondo, ed ora quest’uomo che ti ha invitato a ballare, non fa
più paura e spavento, non ha né odore, né un viso diverso, è
soltanto gentile e non trovi un difetto, mentre cinge i tuoi
fianchi e ti guida in un liscio, mentre fisso ti guarda e
sussurra quel brano, per dirti parole di miele e di cuore, per
dirti che è ora, per dirti da sempre, aspettava una donna con lo
stesso tuo viso, lo stesso tuo trucco di ali a farfalla, il tono
ed il fruscio dello tuo scialle di seta, lo stesso tuo ghigno
quando sorridi e non parli, gli stessi tuoi occhi quando ti
dicono bella.
Ma poi passa certo che passa, mentre lo
guardi e divertita lo ascolti, perché lo sai che sono solo
parole, che sanno di tutto e sanno di niente, di una sera che
lascia degli strascichi onesti, per sentirsi leggeri impalpabili
dentro, e ti piace e lo invogli per vedere l’effetto, di un uomo
che dice, di una donna che tace, di una mano che ora nei limiti
scende ma poi si ritrae ricominciando il percorso, perché ti
intriga non dargli vantaggi, la spinta fatale per preparargli la
strada, anche se sai che è una sera diversa, ed il vento, la
luna, la gonna che ruota, è il contorno ideale per accettare
l’invito o almeno l’incognita nell’attesa che resta.
Ma
poi viene, sicura che viene, quell’invito diretto preciso e
ficcante, senza più sottintesi allusi ed omessi, proprio nel
punto dove lo stai aspettando, proprio quando due labbra planano
piano, sul tuo fiato che caldo ha bisogno di un bacio, sul tuo
seno bollente che ha bisogno d’amore, anche se sai che non è
quello più giusto, e che di giusto c’è solo questo invito
pressante, anche se sai che passeranno dei giorni, perché sono
quei giorni che scorrono lenti, come i fiumi di prima che
portano fango e allagano sponde e inondano campi, e ti chiedi da
dove provenga la brama, quale la fonte, la vena, la faglia,
d’essere un’altra con una faccia diversa, un trucco a farfalla
con le ali di seta e un vestito a fiori e un cappello di paglia,
un piccolo ombrello di carta di riso, un tocco leggero che sfuma
sul viso, e le labbra più rosse ed i capelli di grano, che
voglia che bello andare lontano, che bello che voglia andare per
mano e chiudere gli occhi in attesa del bacio, e stringere i
pugni e sentire il sudore, e correre incontro alla luna più
chiara, che fa bella la pelle che ora di latte, ti lascia il
sapore d’un uomo, un amante, e ti lascia l’odore di un’attesa
alla fine, di promesse a te stessa che crollano in fretta,
mentre lo guardi e lui ti sorride, con gli occhi, la fronte,
perfino i capelli, e come un bimbo entusiasta ti sprona, ti
trascina a passeggio sul molo e le barche, tra i banchi
all’aperto di un mercatino di notte per quanto tu possa andare
sui tacchi e ridere tanto di tutto e di niente, di un bacio
rubato al sapore d’anguria, di una zingara bimba che indovina il
passato, di un’insegna a tre stelle che ammicca vicina e un
portiere di notte colto nel sonno, che sbaglia la chiave, il
piano, la stanza, del sogno che ora è una vetrata sul mare, con
le chiome dei pini che corrono storte, sulla spiaggia deserta,
sul lungomare di palme, una terrazza ed un drink e la tua gonna
che danza, al vento stanotte che sa di libeccio, che è caldo e
sabbioso e porta i sapori, di musiche e tasti di un piano
lontano, che a coda riecheggia il Tema di Lara, di una nota la
stessa, un bemolle minore che fa vibrare la pelle velata e
salmastra, la tua mano aperta che tacita attende, la sua che
silente ti invita e ti parla, e sa d’amore, di una notte
stupenda, di baci che arrivano fino al midollo, e sa ora di
strada, di alba e di freddo, di uomo che ora ti copre le spalle,
e sa d’attenzione, riguardo ed affetto, mentre cortese ti chiede
quale sia il tuo indirizzo, e tu stringi i tuoi occhi per
catturare il frammento e lasciarlo scolpito nei ricordi più
dolci, perché questa notte non avrà una gemella, perché questa
notte sia unica e sola, come tutti i domani che ti aspettano in
fila, sola e non sola ma in compagnia del mondo, quando al
risveglio domani nel letto, ti stirerai felice guardando la
parte, che vuota rimane, convinta, per sempre...
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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Photo
Thomas Agatz
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