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Adamo Bencivenga
Il tuo racconto
Photo Fer Matesanz
“Il corpo caldo della scrittura è impregnato di un bruno unguento, un
olio di carne riserva speciale, un livido odoroso di brandy invecchiato,
nei legni di quercia di colore giallastro, come quelli che si distillano
nel buio di cantine, nei sottoscala d’ogni casa dove ribolle odore
intenso, di questa città dai camini sempre accesi, dai ceppi di resina che
si fondono al fumo, contro i muri scrostati di incuria voluta, di umido e
muffa, d’inverni perenni.
Come dalle crepe è estratto nelle crepe ritorna, nei tagli e nelle pieghe
dei nodi di legno, del corpo che riluce e miete vittime innocenti, perché
l'amplesso delle parole toglie il respiro, spezza il fiato ed ingrossa il
mio cuore, a volte picchia, spinge o si solleva, come liberato sembra
impalpabile e leggero, esce quasi dal cardine secco del pensiero, sfascia
le stanze e fa alcove di nulla, fa tette a quest‘ora vuote di maschio, fa
buchi di terra dove nulla germoglia.”
Il saperti conforta e ferisce, anche se non so dove tu sia, né con chi tu
stia passando questa notte, un‘altra delle tante nella quale m‘immergo tra
le tue pagine lette e quelle rilette. Perché è notte ora e m’illudo di
vederti mentre tocchi i tasti per scrivere, tu lo fai bene e anch'io sto
meglio. E’ notte sì, e mi sento più sola, unica perla rara a quest'ora,
senza un maschio che mi faccia sentire quell’essenza, il senso che a
quest‘ora si fa anima e sesso, e nulla e vuoto denso, e sangue che
scolora.
Bussano suoni dove la paura cerca l’origine, la ragione, quel senso che
m’avvolge e rende fertile ogni fantasia che scrivi, che vivo. M’arrampico
e cado, m’arresto e rimando, sospesa su questo saliscendi dove s’ammassano
emozioni che bruciano come corrente lungo i fili dell’alta tensione.
Dove sei anima mia, anima libera, tu sei abile a flirtare con la voce,
anche se non la sento, anche se ora mi pare di sentire, quando sussurra
parole che sanno di grazia, le ricama e le acconcia, le tesse di veli, e
s’avvolgono a strati e s’avviluppano a nidi, negli intrecci di occhi e
movenze leggere. Non importa cosa dicano, non servono concetti, ma rime e
florilegi d’assonanze accordate, e note ed eufonie di voci e velluti,
quando sfumi le parole che ricami a tuo gusto, nell'eleganza di stile che
orni di suoni, ignorando le mediocri certezze reali, nella purezza
dell’attimo e dell'anima libera.
Ecco la tua voce, si è immersa nella parte, ha preso le tue sembianze, e
si è incarnata così bene, e forma le parole che d’incanto si dissolvono, e
sgonfie, vuote si disgregano, e prendono l’effetto dell’anima l’essenza.
Se solo le annusassi, sentirei il loro odore, se solo le mangiassi
avrebbero un sapore, se solo le toccassi sarebbero impalpabili, né forma e
consistenza, né sagoma e struttura. E le ripeto e le accarezzo, le adorno
e le infiocchetto, e sono mute, sorde e cieche, vuote come un niente,
perché nel niente nasce amore, il canto di un uccello, il profumo di una
rosa, e si stingono
e s’afflosciano e ora danzano nell’aria, come fossero foglie morte, come
non fossero mai nate.
“Ah l’amore.. l’amore è un tramonto d’autunno senza sole, l’amore è un
ombrello per ripararsi quando piove, l’amore è un bordello per uomini
traditi, l’amore è un coltello infilzato dentro il cuore. L’amore è una
luce che mi foggia il vestito, sono lampi di notte che mi truccano il viso, di tutte le piogge che cadono in mare, di tutti i tuoni cupi che tra
i monti fanno eco. L’amore è la luna che inarca le tue curve, e smussa le
tue pene e spiana ogni dolore, come tornanti che a gomiti vanno, e ti
lasciano il gusto di meta e fatica, fin sopra le vette che piene e
fiorenti, ti danno l’essenza, ti danno la forma. Lascia che il buio ti
faccia d’alone, la penombra corone come cerchi di fumo, le righe di luce
un delta sfumato, che ti segnano il punto, la misura e l'indugio, il posto
fin dove ti è concesso arrivare.”
E ti leggo sai, leggo le tua parole, velluti inconsistenti che si
arrotolano leggeri, cenci consumati dal tempo e dall’usura, eh già le
parole, sfruttate ad una ad una, vissute come grasso che cola dai
congegni, sfumate in un’eco nella chiave di
violino, strascicate per un senso o solo per un suono.
“Ah l’amore, l’amore sono gatte di notte che strillano ai tetti, ai treni
in stazione, al vento che porta cartacce lontane, di tutte le volte che
portavo un cappello, come un suono di seta che leggero mi copre, come
fosse un fruscio di piume e di penne, un controcanto d’uccelli, una merla
in amore, che il grano nutre e il nido poi accoglie. Ah l’amore, l’amore
è quest’essenza di donna che non ammette altri odori, quest’effluvio di
fiori che natura non sente, e fa che siano gocce sui tronchi, sulle
cortecce d’inverno, di resina e miele che cola dal faggio ed a rami si
spacca e densa s’aggruma. Perché io sia stasera padrona del sogno, degli
alberi e degli aceri in fiore, delle conifere a marzo quando si scioglie
la neve, lasciami ora immaginarti all’amore, nel mio fiore che schiuso
sboccia e t’accoglie, una rosa di maggio che alla bella stagione, ti
invita e ti brama e mi rende regina. Perché io sia regina di ogni femmina
in fila, che nuda si offre e vestita t’invita, in un gioco perpetuo che
seduce e traspare, in controluce a quei raggi che ti scaldano il cuore.”
E ti leggo sai, continuo senza riprendere fiato, leggo le tue parole
intense come fiumi che portano masse di acqua e straripano sponde e
inondano campi e mi chiedo da dove provenga la tua brama di far sentire
ogni donna femmina, ninfa unica ed essenziale, e bella la prepari dentro
uno specchio, un trucco a farfalla, le ali di seta, e un vestito a fiori
e un cappello di paglia con un nastro che viola mi lega i capelli, che
lunghi di grano m’accarezzano il seno e mi danno a quell’aria che leggera
mi sfiora e si danno all’amore vogliosi da sempre.
Stregata e rapita da questi dettagli, una piega, una crespa di pizzo e
d’organza, che sfiora e lambisce i brividi a pelle, quei baci che lasciano
il gusto e il diletto, d’arance e limoni aggrumati sui rami, di lamponi e
di more sulle fratte di spine… Che voglia, che bello lasciarsi poi andare,
che bello, che voglia impigliarsi la gonna, camminare per mano e lasciarsi
guidare, sentirsi una vela gonfiata dal vento, sentire da dentro che sale
la smania con la gonna che sciama di giallo leggera, di lilla che danza e
si mescola lieve, alla bella stagione come un fiore in giardino.
Una rosa pervinca baciata dal sole, che lasciva si dona a quegli occhi di
mare, e si lascia odorare l’essenza che emana, per chiunque ne voglia
apprezzare il suo gusto, di una pelle di latte che ora s’indora e lascia
il sapore d’un giorno all’albore, di un’alba che schiara di una luce mai
vista. Perché ci sono parole come quelle che leggo, che si sfibbiano come
un vincolo e un laccio, di fretta e veloce come un rumore di un treno,
d’una voce che calda ti chiama per nome, d’un fiato che scalda, d’un
soffio che accende, e le mie gambe gemelle che si schiudono calde, e
s’asciugano al vento e si snodano agli occhi, ad uno sguardo più intenso
che mi fa vibrare leggera, una foglia che cade cullata dal vento, che
leziosa s’adagia senza chiedersi il verso, la direzione ed il senso dove
porti quel soffio.
Dove portano questi baci che ora sento sul collo? Dove la voce, le parole
che adatti? Ed avverto il percorso lungo la schiena, che sale, che scende,
s’arresta e riparte, sulla bocca che s’apre, sul seno che chiede, su
ciascuna parola che appaga i miei sensi, che sazia e m’affama quest’anima
in fiamme, perché ci sono parole che scorrono intense, come un delta di
fiume che sbocca alla foce, e vorresti staccare la mente dal corpo, e
vorresti sentirti preda di istinti, una volpe argentata nel giorno di
caccia, un secchio giù in strada sotto la pioggia, bucato quel niente
perché mai poi trabocchi, ma rimanga sul bordo per non essere certa, di
chiederne ancora o gridare che basti, perché tutto divenga e nulla
s’arresti, e lo preghi e lo brami di guidarti nei lidi, dove nulla è
legge, è regola o norma, dove nulla è governo tranne la voglia, il
desiderio mai domo d’essere persa, nell’intimo in fondo, nella pelle che
affiora, indecente e signora che perde il controllo, oscena e immorale che
si dona e si mostra, viziosa ed impura che si cerca e si tocca, per il
gusto di andare diretta alla meta, nei vortici neri dei dirupi più spessi,
nei burroni scoscesi, negli anfratti di carne, dove il niente è materia,
il vuoto sostanza, umidi greppi che qualcuno riempie, e s'apre il sipario
dei tuoi sogni proibiti, scene d’un tempo nell’oblio dei ricordi, di
un’anima antica che sfavilla fuggente, sformata e imprecisa che a tratti
t’abbaglia, quando lontana una luce si spande, un buio celeste nei tuoi
occhi socchiusi.
Dove sei anima mia, davvero questa sera potrei sentire la tua voce? Se
solo lo volessi, se solo fossi capace di comporre quel numero senza che il
cuore arrivi alla gola. Non ho mai smesso d’amarti, come ora t’avverto tra
i miei odori che si fanno più intensi, come ora ti vedo scompagnato sopra
queste foglie che il vento di notte sbatte addosso alle mie finestre. Ma
non sono foglie, sono mani, sono pugni decisi di uomo, sono attimi d’ansia
perché solo il desiderio può credere che a quest’ora il tuo volto diventi
carne e zigomi alti, diventi peluria folta e barba che bagno di mio
desiderio. Sei tu anima mia? Che asciughi la mia paura col tuo respiro di
vapore e parole bollenti che ora mi chiamano, che ora slabbrano senza
resistenza le intercapedini della mia solitudine. Ma che dico! Tu sei
niente, niente da quando ti ho incontrato. Ricordi vero? Era un giorno di
festa e la sera si ballava nel locale della scuola. Io ero con la mia
amica Daria e tu da solo. Tua moglie era rimasta a casa. Mio figlio ha la
febbre mi hai detto. Ma a me importava poco, già ero affogata nei tuoi
occhi verde bosco, già volavo tra le tue braccia sicure e capienti. Tu sei
uno scrittore famoso ed io avevo già divorato tutti i tuoi libri, non so
sai quante volte, prima di quella sera, prima di oggi.
Le tue parole scivolavano come nei tuoi libri ed io ne ero attratta,
estasiata, quando mi hai invitato per un ballo. Già, abbiamo ballato,
forse un valzer, non ricordo. Poi siamo usciti all’aperto, faceva freddo
ed ero vestita leggera, tu mi hai coperto le spalle, mi hai invitata nella
tua auto. Abbiamo fatto qualche metro. Segreti e clandestini, intimi e
privati, dentro la tua auto con i vetri appannati immersa tra gli arbusti
di un noceto lì vicino. Tutto lì dentro era intimo, un gesto, un sorriso,
il fumo della sigaretta, il sedile ribaltato, le tue parole vellutate, il
mio desiderio per nulla nascosto. La tua sorpresa, il mio abbandono.
Abbiamo fatto l’amore… Tu l’hai fatto con me, io con le tue parole. Mai
m’era successo d’abbandonarmi la prima volta. Poi siamo tornati, nessuno
s’era accorto della nostra assenza, neanche Daria.
Poi più niente e da allora sono qui che aspetto. Uno squillo, una visita.
Più volte ho pensato a quale servizio da the avrei usato, quale
tovaglietta, quale ricamo. Più volte ho legato i capelli ed altrettante li
ho sciolti nel dubbio perenne di non essere mai bella, di non piacerti.
Perché tu sei l’attesa, sei tutto ciò che avviene dentro un’attesa, sei i
panni stesi ad asciugare, il ticchettio della sveglia quando non dormo,
l’odore del pane nei giorni di festa. Tu sei questa vestaglia nuova con i
glicini lilla, se per caso non m’avvertissi, se per caso bussassi alla
porta. Dio che sbadata, non ti ho detto di Sara, è un pastore tedesco di
taglia grande, mette paura, ma ti giuro non morde. Non scappare, vuole
solo annusarti. Anche lei aspetta da sempre il suo maschio, accomunate
dallo stesso destino.
Tu sei l’attesa, dicevo, quella che dipinge a colori i miei bianchi e i
miei neri, quella che fa d’un raggio di sole l’estate già qui. Tu non hai
un corpo ma giorni, tu non sei di carne, ma sei fatto di tempo ed il tempo
esiste quando cambia stagione, quando cadono le foglie o gemma il mio
pesco, quando si gelano i tubi ed accendo il camino, quando la notte mi
sorprende dentro questa casa mia. Non ci sono altre case vicine, non c’è
anima viva nei dintorni, solo cani a branchi e padroni di tutte le notti
che calano presto, di tutte le albe ancora distanti.
Ed allora come fai ad essere tu che bussi a questa finestra? Come possono
essere le tue dita perfette a fare questo rumore? Sai me le ricordo
benissimo, quel tatto prima leggero e poi sempre più potente fino a
scavarmi solchi, perché tu eri l’aratro ed io la tua terra tra i rami
insecchiti del noceto e i nivei fiori dei mandorli nani, tra le trame di
stoffa trasparenti al rossore, come tele di ragno in controluce al
tramonto.
Bussano ancora ed io ti leggo, divoro le tue parole, e rinasco ogni volta
quando sopra di te mi faccio femmina bella, e tu danzi gioioso all’Aprile
che incombe, alle piogge leggere che fiera trattengo, perché tu ti muova
con le sete dei drappi come fossero note cosparse nell’aria. Anima mia che
segui le mie forme e di velo m’adorni e s’intravede la pelle, come se la
stagione che risveglia l’ardore, non sia che la stoffa che ammicca e
traspare, che bianca, che gialla sciama ed ondeggia al primo bagliore che
l’alba mi dona. Ed ovunque mi porti, tra spose novelle o vedove affrante,
e mi lasci ammansire da un soffio più caldo, che lieve s’incunea dove il
cuore non batte, e giochi col vento che mi fa vela al bisogno e giochi con
l’ombra che altero mi offri. Perché io sia la Regina ed tu il mio trono,
unica amante a cui concedi l’onore, d’accarezzarti i pensieri e
preservarli da tutto, d’accompagnarti nei campi di mammole e viole, che
recidi e raccogli per ingentilirmi le forme ed io femmina appaio al
riflesso dell’acqua, al contorno del viso, all’orlo di stoffa, lungo il
sentiero dove l’alba riluce. Ed io rinasco e m’aggrazio tra i barbagli
decisi d’un sole alla porte, tra i riverberi a schiera di rovi già adulti,
che covano in seno le spine ed i frutti e tu salti e cammini senza che
l’erba s’accorga di quel fascio di sete incorporee al tatto.
Ti leggo sai ed ovunque rigemmo, impreziosita dai toni immaturi che
stanno, sulla pelle che diafana rinvigorisci alle labbra, e spalmo di
rosso di fragola e sangue, perché intatto rimanga il desiderio d’ognuno,
quando passo e ti volti ed io lascio la scia, di fragranza ed effluvio, di
viola e mughetto, di femmina bella che rinasce ogni volta impalpabile
all’aria come carta di riso.
Bussano ancora, ma queste non sono mani di uomo, di chi, a quest’ora,
pretende ad ogni costo d’entrare, di chi mi vorrebbe come ora io sono,
seduta e spogliata da questo immenso desiderio di averti vicino. Non
aspetto nessuno e l’angoscia mi sale fino a girare con la mente tutti i
muri di casa ed rassicurarmi che tutte le finestre siano chiuse e serrate
da dentro!
E leggo, leggo e ti seguo. Davvero vuoi che i miei seni siano liberi?
Davvero lo pretendi? Il mio essere ora è nulla senza le tue parole, senza
i tuoi libri adagiati sul mio letto, il mio respiro si fermerebbe di colpo
se dovesse mancare la corrente come a volte succede, perché il buio mi fa
più sola ed una luce lontana mi fa sentire quanto tu sia distante.
Ma il rumore non finisce, sono raffiche di vento che non portano niente di
buono, sarà un temporale che s’ingrossa strada facendo, come questo seno
che si gonfia ad ogni parola che leggo, che dico e ripeto a cantilena
sottovoce. E’ il ricordo di quella sera che mi fa complice e devota e mi
scarna i pensieri fino a ridurli a desiderio scomposto, e scardinano il
cardine di questa mia porta. E’ bella sai non l’ho coperta di nulla, è
pronta se per caso venissi, disponibile e fiera d’essere culla, ed ogni
verso la nutre, ogni dito la rende, femmina calda pronta al bisogno.
Sei tu angelo mio che mi obblighi, nessun altro finora era riuscito a
farmi sentire così importante e cosi niente, così vuota e così piena di
fronte a questo incedere di pause e punti, di istinti che si fanno vortice
e gorgo, si fanno risucchio dove abbandono questo corpo che si deforma e
si modella ad ogni piacere che sale.
Ma in fin dei conti è stata solo una sera, anzi che dico, un’ora,
mezz’ora. Perché tu sei andato via di fretta, il bambino, la febbre,
ricordi? Come hai fatto ad entrarmi così ed appropriarti del mio orgoglio
senza ferirmi, a far sì che ora io non possa non seguire la tua ombra,
perché di quello si tratta. Alle volte penso d’averti deluso. Fammelo
sapere in qualche modo, scrivi un racconto in forma anonima, oppure urlami
che nessun’altra donna t’ha mai meritato, gridami fino a farmi sentire più
sveglia, che domani non abbia il minimo dubbio d’averti incontrato
soltanto nel sogno.
Sono pazza vero? Ti amo amore mio! Sono sicura che con il tuo silenzio tu
mi voglia comunicare dell’altro. Il tuo ricatto è uno slancio d’amore, le
tue pretese un tatuaggio sul viso, un giuramento solenne di sangue, perché
mai t’approprieresti d’altra anima. Promettimelo tesoro! Altrimenti perché
staresti ancora qui nella mia casa, nella mia testa e come ora nel mio
letto?
Ma che dico? Quale silenzio? Io ho le tue parole e nelle tue parole sono
bella vero? Sono davvero la donna del tuo racconto? Eppure mi somiglia! Ad
ogni riga che leggo mi convinco. Troppo uguale per essere diversa da me! E
ora lei sta andando verso la porta. Vuoi che apra vero? Vuoi che un occhio
per caso misuri quanta voragine c’è nel suo cuore? Nel mio? Fino a che
punto sia disposta ad amarti? E se fuori ci fosse davvero qualcuno? Nel
tuo racconto non c’è scritto, non è importante vero?
Le tue parole scorrono maiuscole, la invogli ad aprire, ad accogliere la
fantasia vivente che un dio le sta facendo dono, che il destino ha voluto
per dimostrare a se stessa fin dove possa arrivare la passione. L’elogio
della lontananza, l’amore da lontano. L’apologia del vuoto che riempie
un’attesa. Mio amore infinito siamo vicini sì! Ora ti sento, sei qui, mai
fin d’ora m’eri apparso così reale!
Ma qui c’è temporale, sai! La paura sale e come nel tuo racconto i tuoni
mi strappano fuori dal gioco e m’avvolgono in un brivido di vera angoscia.
Nel racconto lei scende le scale, ma poi si ferma, indugia, resiste e tu
t’arrabbi, minacci di sparire per sempre perché per te questo non è un
gioco e le urli che è amore, l’unico amore che conosci. Bussano, bussano
ancora. Nel racconto e fuori dalla mia porta. Ma hai ragione sai, se
davvero non fosse grandine, se davvero non fossero foglie che sbattono, se
davvero fosse una persona, qualunque persona sia, non può che avere i tuoi
occhi, non può che avere le tue labbra che non manchi ogni volta di dire
carnose. Ogni volta che lei tenta di baciarti, ogni volta che io di notte
mi distendo dentro il tuo sogno. Le dici di stare tranquilla perché
chiunque sia l’amerebbe come l’ami, le farebbe assaporare quei baci che
ora le neghi. Le dici che non ha confini, che è la donna del mondo, pronta
ad accogliere il vento e la pioggia, qualsiasi natura che a forma di
maschio la fa femmina e tana, nido ed alcova d’ogni essere e cosa. E tu
sei ovunque perché la tua anima non ha spazio e non ha tempo. Eccola ora,
che si guarda allo specchio, come potrebbe opporre le sue ragioni alla
passione che incede, alla sua anima gonfia.
Leggo la data del racconto, lo hai scritto prima che ci incontrassimo, lo
sapevi vero? Rileggo come la descrivi, sono io vero? I capelli sopra le spalle, quella piccola voglia sotto l’orecchio sinistro. Ma come
facevi a saperlo?
Sento ancora rumori, qualcuno bussa, non possono essere foglie, troppo
nitidi e regolari. Passano ancora minuti, sento rumori alla finestra, alla
porta, lungo il muro dietro la casa. Ed io sono qui nuda che leggo, leggo
le tue parole e sento i rumori. Oddio non riesco più a distinguere la
realtà. Sono esattamente sulla linea di confine dove leggo quello che
sento. E’ una sensazione unica. Il fiato sale, m’ingrossa il petto e la
gola, non ho nulla in dosso. Ho paura, ma devo resistere. Come nel tuo
racconto tolgo il chiavistello, come nel tuo racconto tolgo le quattro
mandate della serratura. Come nel tuo racconto guardo dallo spioncino ma
non vedo nulla. Come nel tuo racconto i rumori sono sempre più forti,
assordanti. Bussano ancora, sarà grandine e pioggia, mi convinco e leggo,
saranno i rami secchi che sbattono fitti, sarai tu che reclami il mio
corpo… Saranno come tuoni le tue parole che cercano di entrare. Saranno
le mie sensazioni.
Trattengo il fiato e leggo… Apro!..
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
Photo Fer Matesanz
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