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Adamo Bencivenga
IMMAGINA
Immagina una donna, immaginala bella, non così giovane
da attirare mille sguardi, non così adulta da non
ricordarli, quegli sguardi ammiccanti che un tempo
attirava, quando per strada camminava di fretta, quando
in un bar seduta all’aperto, accavallava le gambe per
non passare inosservata, col suo cappello a cloche che
sapeva d’anni venti, chiamava il cameriere e impaziente
aspettava. Ecco, immaginala ora nella sua casa
tranquilla, immaginala bella ogni mattina, quando la
luce, filtra e la sveglia, e il primo pensiero è quello
di sempre, una dolce ossessione che lievita dentro, e
nutre il suo tempo, quello interiore, le sue giornate
che scorrono, lente e svogliate, nell’attesa di un sogno
mai del tutto sopito.
Immaginala mentre scende
dal letto, mette un piede il sinistro prima dell’altro,
e stringe la vestaglia intorno al suo corpo, a quel seno
caldo ancora piacente che ammicca vezzoso e per nulla
insolente, che morbido scende e sensibile forma un
gonfiore accennato sotto la seta. Immagina mentre si
avvia in cucina e prepara la moca e la mette sul fuoco,
tutto ciò lentamente senza strappi o ritorni, immagina
il caffè, il vapore che esce, il profumo che ora
dolcemente l’avvolge, quando con cura dosa lo zucchero,
per via di quei chili sempre di troppo, per via dello
specchio sempre perplesso.
Immagina sì, ma ora
lei è già altrove, nuda sotto la doccia, nel vapore del
bagno, mentre passa un’essenza di un Oriente lontano,
profumata alla Rosa, al Muschio e all’Ambra, sulle cosce
tornite, sul ventre che chiede, e per finire sul seno
che ora accarezza, e per un attimo ostenta e per un
niente si vanta. Immaginala adesso mentre si veste,
immagina la cura che attenta ci mette, perché le piace
stupirsi ogni volta e sempre, quando infila il suo piede
dentro una calza, e sente la trama che scorre leggera,
come fosse un tutt'uno di pelle e di seta, come fosse il
sussurro dell’inizio di un canto, un suono di merle
dello struscio velato.
Immagina mentre ferma le
dita, un attimo solo per assaporare il momento,
quell’attimo unico di femmina e grazia, quando fissa la
calza, il bordo più scuro, ad un reggicalze che non
metteva da tempo, acquistato chissà per quale occasione,
e magari ricorda qualcosa o qualcuno, magari inesperta
perché ora sorride. Ecco immagina ora con quanta
malizia, fa scivolare il vestito e copre quel circo, di
pizzi e merletti, di fiocchi e ricami, perché nessuno
mai potrebbe sapere, cosa fibrilli sotto la gonna, quale
seta georgette, quale fiore d’organza, e solo la sorte
potrebbe scoprire, rendendo per sempre bello il suo
giorno.
Immaginala ora col vestito indossato,
nero con i fiori e gemme di pesco, tu non lo conosci e
non conosci la trama, ma immagina i suoi occhi mentre lo
indossa, perché le ricorda una sala da ballo, un tango,
un invito, un cappello e un incontro, un vortice intenso
di labbra e di mani, le stesse che tornano nel letto
ogni sera, e la fanno impazzire e la tengono stretta,
come per dire che non è ancora il momento e quando
avverrà saranno reali, d’acciaio e di calli, di maschio
che vuole. Immagina dicevo il vestito di seta, che
non fa moda e nemmeno tendenza, ma le dà l’illusione di
essere viva, giovane e bella perché fascia i suoi
fianchi, perché è scollato e dà un tono alla forma del
seno, non troppo abbondante, non troppo minuto, ma
ancora caldo nonostante la doccia, ma ancora attraente
nonostante i suoi anni. Immaginala ora che indossa le
scarpe, certo sì, con un tacco importante, certo sì,
nere, come le calze, immaginalo sì anche se è un gesto
ordinario, ma a lei ricorda quando ragazza, ha infilato
il suo piede in una scarpa con il tacco. Dio quelle
scarpe! Dio l’emozione! Davanti allo specchio si sentiva
già grande, e come d’incanto ha iniziato a ballare,
leggera e felice a volteggiare, per sentirsi già pronta
al mondo che fuori, la reclamava da tempo più donna e
più bella.
Immaginala ancora davanti allo
specchio, non più bambina, non più sognante, ma in
questo momento che controlla le rughe, quelle nuove e le
altre profonde, che un dolore di troppo ha fatto
allungare, ma poi decisa scaccia il pensiero e con le
mani esperte trucca i suoi occhi, e poi il rossetto che
ripassa più volte, con cura e passione schiudendo la
bocca, aumentando ogni volta la linea e il contorno, ed
ogni volta la sborda e si sente più donna, femmina e
preda, tentazione e lusinga. Immaginala ora che
scende le scale, di una casa ovattata, di una culla
accogliente, che indossa il soprabito e prende
l’ombrello, e gentilmente saluta Irene che è russa, la
donna di servizio fedele da sempre, poi apre la porta e
lentamente si avvia, verso la stazione che è lì a due
passi, e come ogni giorno lungo la strada, si ferma ed
acquista un mazzo di rose. Ecco non importa quanto sia
lungo il gambo, non importa il tipo e da dove
provengano, ma immaginale rosse del colore del sangue,
perché la passione è tutta lì dentro, perché non c’è
amore senza tormento.
Immaginala sì camminare
per strada, senza che badi ai visi che incontra, perché
qualcosa di importante potrebbe accadere e fare bello il
suo giorno una volta per sempre. Immaginala quindi che
magari sorride, che leggera percorre il viale alberato,
con i guanti neri e l’ombrello in mano, rosso come le
rose, aperto come il futuro, perché ora piove, perché
piove sempre, ma lei non la sente, perché pensa ad
altro, perché è una pioggia stupida che di certo non
bagna, chi ha il cuore gonfio e fissa un ricordo e sta
andando diretta verso il suo treno. Immagina,
dicevo, questo ogni giorno, immagina ogni giorno da
circa vent’anni e forse anche più mentre aspetta
qualcuno, mentre aspetta un treno, seduta su un
seggiolino che da anni si porta dietro, davanti ad un
binario, forse il 4 oppure il 6, con il mazzo di rose e
l’ombrello di fianco. Immagina poi qualcuno che
senza pensare, forse distratto, forse insolente, o solo
per vezzo, per farle la corte, provi a chiederle cosa
stia aspettando, perché magari l’ha notata altre volte,
magari la domenica o la vigilia di Natale, e quale treno
e quale orario, se arriva o se parte, e perché quelle
rose e perché quel colore, e perché quell’ombrello anche
se piove. Lei lo guarda fisso e lo lascia parlare, senza
dare una risposta perché non ha senso, perché lui non sa
cosa ci sia dentro una donna, che aspetta da vent’anni
in una stazione, e sarebbe troppo complicato ora
spiegare, e sarebbe troppo lungo qualora il treno
arrivasse.
Ecco, ora fermati un attimo e immagina
un giorno all’improvviso, quando su quel viso muto sorge
un sorriso, quando di colpo tutto l’intorno scompare, e
lei si domanda quanti giorni ci siano in un anno, quanti
in vent’anni compresi i festivi, e lei è lì, dentro un
film, come fosse al rallentatore, perché sarebbe un
delitto esaurire quella gioia, consumarla intera per
pochi secondi, racchiuderla tutta in un gesto soltanto,
anche se è avvenuto esattamente così, un lampo, un
fulmine in un pomeriggio d’agosto, il fragore di una
bomba prima di una strage, esatto così, senza un prima e
un dopo. Ecco dicevo, immaginala dentro quel film,
che si alza raggiante, che comprime tutti i suoi
muscoli, che apre la sua anima alla luce prima del
balzo, ed agita la mano in segno di saluto, forse
chiama, forse sta ferma, o semplicemente corre in
direzione di un uomo che scende dal treno. Eh sì perché
c’è un uomo e questo forse l’avevi capito. Beh del resto
starai pensando che non ci voleva molta immaginazione.
Allora immagina quell’uomo, ma immaginalo soltanto,
perché noi non sappiamo chi sia, cosa faccia e tanto
meno da dove venga, non sappiamo se parli l’italiano, se
abbia figli o sia sposato, se faccia il taxista a
Marsiglia o insegni tango a Madrid, ecco non te lo
chiedere perché questo non ha nessuna importanza.
Immagina i due ora abbracciati, avvolti in una
nuvola di vapore, che è pioggia ed è condensa, che è un
treno del novecento, immaginali fusi e commossi, dove
lui sia lei, dove lei sia lui, anche se lei piange e lui
sorride, anche se lui è più alto e lei è in punta di
piedi, ma tu immagina quel bacio, lungo, interminabile,
magari arrossato contro un tramonto a colmare il vuoto
di tutta un’attesa, a suggellare un inizio e la fine del
giorno. Io non so se tu abbia mai baciato, ma un bacio
vero con l'anima e la bocca, ecco immagina le mani che
si toccano, la pelle che si increspa, le grinze dei
vestiti, ad onde come fa la seta, a pieghe come fa la
smania, anche se lui non è affatto sorpreso di trovarla
lì, con i guanti e l’ombrello rosso, con i tacchi e il
vestito a fiori, e il desiderio caldo di quel seno che
percepisce tra la stoffa, che sente e riconosce
attraverso la saliva, dentro la totalità di un bacio
senza fine. Dicevo immagina lui, immaginalo nell’ombra,
con il viso semi nascosto da un cappello a falde larghe,
è alto abbiamo detto, ha un impermeabile scuro, forse
marrone, forse i baffi, comunque il viso non
completamente rasato, ma la storia non ci consente di
vedere altro ed anche se volessimo lui non lo
permetterebbe.
Dove eravamo rimasti? Ah sì,
immaginali ora camminare sottobraccio, si guardano negli
occhi e questo basta a saziarli, alle volte sorridono
perché non serve aggiungere parole, altre si guardano
chissà forse solo per ricordare. Ora lasciano la
stazione e lei abbandona il seggiolino sulla banchina,
come se fosse distratta o non fosse importante per la
nostra storia o verosimilmente non le servisse più.
Immaginali ancora sorridenti come una normale coppia, un
uomo e una donna che parlano muti, che parlano fitti,
che dicono senza dire, lei con l’ombrellino aperto, lui
senza valigia, forse perché non ha alcuna intenzione di
restare oppure è solo di passaggio e non ha previsto
quell’incontro, anche se ora si dirigono spensierati
verso la casa di lei, a piedi naturalmente, perché lei
abita vicino alla stazione, dove si arriva o si parte,
oppure si aspetta.
Davanti casa si dividono, non
immaginare il motivo, ma è importante per la nostra
storia, che lei entri in casa da sola, mentre lui
scompare in un’enoteca e compra una bottiglia di Krug.
Già, champagne per festeggiare, forse solo per ricordare
o quanto meno per brindare a quell’incontro, a quella
splendida serata di infinito amore. Lei intanto, in
casa, ordina a Irene di uscire e di non tornare che il
giorno dopo. A questo punto lui la raggiunge, sta per
bussare, suonare il campanello, poi si accorge che la
porta è accostata e da qualche parte ha letto oppure ha
sentito che non occorre bussare né tanto meno chieder
permesso, quando una donna lascia la porta socchiusa.
Ecco immagina ora la penombra, la delicatezza, la
cortesia, il profumo che avvolge l’uomo lungo il
corridoio. Noi non sappiamo se lui conosca quella casa,
se ci abbia vissuto per un’ora o per un anno, ma ci è
facile immaginare con quale disinvoltura raggiunga
quella stanza.
Immagina lei ora nella stanza da
letto, immagina il tappo dello champagne, due flut semi
pieni sul vassoio d’argento, con due Mon Cheri ancora da
scartare, perché già così è tanta la dolcezza, perché
già così ne è piena quella stanza, e immagina perché no,
la seduzione con la quale lei si spoglia, naturalmente è
solo un accenno, un invito ed una supplica perché le
mani di lui sono già sul suo corpo. Ecco immagina
l’impeto di lui mentre la prende, immagina la devozione
di lei che lo accoglie, dopo notti insonni o nel sogno
di un ritorno, che adesso è vero perché lui è lì, che
adesso è reale, concreto dentro di lei, ed è acciaio e
sono calli, sono fiati e gengive, bocca e denti, è
maschio che si fa strada, è forza ed è conquista, razzia
e saccheggio, e non importa se saranno attimi, non
importa se poi con la luce accesa, tornerà quel sogno e
sarà di nuovo inizio, quando lei si sveglia ed allaccia
la vestaglia, intorno al seno caldo che attende tra i
merletti. Immagina ora qualche dettaglio, un dito di lei
che tocca quella bocca, e ne segue il profilo, il
contorno delle labbra, e le basta chiudere quegli occhi
per ricominciare a giurare, che sia vero e non è un
sogno e non è nemmeno un inizio. E sono baci e carezze,
spremute di carne e cuore, dissolute e immorali come la
brama le richiede, intense e impetuose come la violenza
di un mare aperto, a volte solo impacciate proprie di
chi sta vivendo il suo presente, totale ed appagante
come se non ci fosse un’altra volta, come se domani non
fosse un domani e ieri un vago giorno sbiadito in un
ricordo.
Ecco, appunto, immagina come possano
fare l’amore due amanti, anzi immagina lei la donna,
immagina l’attesa, e cosa covi dentro quell’anima, e con
quale dedizione, dia e prenda amore e come s’abbandoni,
e, dato che ci sei, immagina quanto dense siano le
parole, che a grappoli l’avvolgono ed a strascichi vanno
via, quelle che interrotte diventano sospiri, quelle più
ficcanti che entrano nel cuore, perché la felicità che
prova è un respiro che si strozza, sono mille tamburi
che rimbombano nel petto, così grande da pensare al
peggio, questo pensa e non le fa paura, e se fosse
quello il momento non sarebbe poi tanto male. Immaginalo
sì, immagina tutto questo, anzi prova ad andare oltre,
se proprio non riesci, perché sarà difficile che tu
l’abbia provato veramente, ma ti auguro di avere un
giorno tanta fortuna, di avere un cappello e una donna
che ti aspetta, con un mazzo di rose rosse, seduta alla
stazione.
Immagina tutto questo senza nessuno
stacco, perché l’immaginazione non segue il tempo
giusto, non rispetta i minuti, non scandisce ore e
giorni, anzi fai una cosa, fai un salto fino al giorno
dopo, per cui immagina la stanza da letto, la finestra
aperta e la tenda gonfiata dal vento, immagina che lei,
sì proprio lei, ancora dentro il letto venga trovata
morta, e l’uomo sia sparito, chissà, volatilizzato, come
se non fosse esistito, mai stato in quella casa.
Immagina ora le indagini, sirene e polizia, un vicino di
casa giura d’averlo visto entrare, un uomo con un
cappello, e una bottiglia di Krug in mano, un mazzo di
rose rosse e senza averlo visto in viso, ma la donna di
servizio lo nega decisamente, spiegandolo più volte, in
russo e in italiano.
Immagina ora che non si
possa immaginare altro, e che nonostante tutto, ci piace
domandarci, se questa storia avesse un’altra fine, non
so, una vita in due, magari altrove o nello stesso
posto. Immagina la stessa notte, immaginali dopo
l’amore, che abbiano dormito o aspettato l’alba.
Immagina il giorno dopo, la donna di servizio, che entra
silenziosa e li vede abbracciati, immagina la colazione
al lago, la loro nuova cortesia, lei con un abito
leggero e un cappello bianco, immagina lui con un lino
increspato, ed una cravatta a pois di seta verde e
gialla. Puoi anche immaginarli dentro un dipinto di
Renoir, i raggi del sole caldo che attraversano il
cappello, e disegnano sul volto un merletto delicato,
immagina lui distogliere lo sguardo, dal libro che
svogliatamente sfoglia, guardarla estasiato come per la
prima volta, immaginalo alzarsi e prenderla per mano,
quasi trascinarla con ardore sulla spiaggia, in preda e
soggiogato da una voglia smisurata, e lei di lui
incurante della gente, perché c’è un momento sai, in cui
si è soli ovunque, si è soli in due, anche in mezzo a
tanta folla.
Ecco immaginali in lontananza,
quasi due puntini che si confondono all’orizzonte, e le
orme sulla spiaggia in primo piano, quelle di lei
piccole e dritte, quelle di lui larghe e profonde, beh
sì lo so che è una visione un po’ melensa, ma tu
immaginale lo stesso! Ecco guarda queste orme che
convergono e si uniscono, una sopra all’altra, anzi no,
ora ci sono solo quelle più profonde, perché lei sta
volando e non ha più gravità, lei è una piuma, leggera e
impalpabile, e lui la tiene in braccio tra le sue mani
strette.
Ecco immagina che la storia finisca qui,
e pensa che tutto ciò sia accaduto veramente, anche
perché non costa nulla immaginare, e sai che ti dico,
che forse è stato inutile raccontarti questa storia,
perché ancora una volta un dubbio atroce mi rimane,
perché dopo tanti anni mi gira ancora nella mente, e non
trova pace e non trova la soluzione. Ovvero se quella
donna con il mazzo di rose in mano, seduta alla stazione
dopo anni di attesa, abbia quel giorno incontrato
davvero la vita o la morte.
Certo lo so che non
è il finale che avresti voluto leggere, ed ora magari ti
aspetti che io dica che lui stia pagando, la giusta pena
o il supplizio in un carcere a vita, anzi no, tu ti
aspetti altro, che io ti dica che ho immaginato tutto,
perché una donna che aspetta, e mettici anche le rose,
la stazione, l'uomo che arriva dopo vent'anni,
l’ombrellino rosso e i guanti, il reggicalze e l’odore
del caffè, la donna di servizio russa, il Krug e i Mon
Cheri, l’amore eccetera eccetera, non sono altro che il
desiderio di vivere intensamente, fosse anche per un
solo giorno, fosse anche un’ora sola, e che è
assolutamente lecito, pensare tutto questo, ecco allora
immagina solo questo, e lascia stare che l’abbiano
trovata morta, quello è solo un piccolo dettaglio,
perché mentre ne parliamo il tempo ci è già sfuggito tra
le dita.
Ah dimenticavo, questa storia mi è
stata raccontata da una donna, e tu immaginala elegante
da attirare mille sguardi, e immaginala signora da non
ricordarli, con un cappello nero ed un foulard attorno
al collo, parlava a voce bassa, un sussurro lieve lieve,
comodamente seduta sulle poltroncine rosse, della sala
di attesa di un aeroporto di Parigi. Beh immaginala
bella o meglio affascinante, quando distrattamente
accavallava le sue gambe, quando, senza motivo, mi ha
sorriso dolcemente, ed ha iniziato a raccontare senza
andare oltre. Ecco, mentre lei parlava ho notato il
suo trasporto, come se avesse un senso quella storia in
quel momento, come se desiderasse lei stessa quelle
calze, e indugiasse con i tacchi alti, fino alla
stazione, con i guanti neri e quell’ombrello rosso,
avvolta nel vapore che sa di novecento, o come in quel
momento in attesa dell’aereo. Non so se lei parlando
abbia alterato quella storia, omesso od aggiunto qualche
piccolo dettaglio, magari il vestito a fiori o il seno
un po’ più grande, magari il seggiolino, le rose o il
reggicalze, oppure quell’epilogo che sa di trascendente,
di un nobile assoluto, di vita o di morte, che sa di
poesia, passione e sentimento, di un qualcosa che non si
è vissuto per un attimo o un niente, come un treno perso
per un banale contrattempo, come un’apoteosi che non
ammette altro, perché null’altro ci può essere nella
coda di una attesa. Ecco non so se sia importante, ma tu
immagina anche questo!
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
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DashaMari
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