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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
INTERNO NOTTE




 


 
 


E’ il quattro di novembre di un secolo alle porte, un gelo d’eccezione ha invaso tutto il centro, con cumuli di neve sopra ai marciapiedi, con raffiche di vento vicine allo zero. Mai di questo periodo ripete il notiziario, e le previsioni per la notte non sono poi migliori, poca gente per le strade, poca gente nei negozi, rue de Rivolì è chiusa per una frana, rue de Richelieu è al buio più completo, un traffico impazzito inonda l’Operà.

Una macchina si ferma davanti all’Hotel Plaza, un uomo in livrea saluta e fa l’inchino, scendono in due riparati dall’ombrello, un uomo e una donna belli ed eleganti, si tengono per mano e sanno dove andare, stanza 451 prenotata per la notte. Lui ha il bavero alzato, lei in pelliccia d’ermellino, si scrollano il freddo e guardano lontano, perché ora è interno notte, è una vetrata su Parigi, sono luci bianche e gialle che riflettono la neve, sono calici già colmi di Krug sul vassoio, baci e tenerezze spaiate nello specchio.

Hotel Plaza, interno notte, il quattro di novembre, una lama di freddo intenso socchiude la finestra, e gonfia quella tenda e gonfia quella bocca, e l’uomo che si affretta a chiudere i vetri, poi cinge la sua donna e le dice che è un incanto, le dice finalmente, le sussurra quasi amore, nella penombra di una Tiffany che fa liberty e fa luce, fa l’uomo alto e magro, pelle ambrata da gitano, lo fa maschio di trent’anni e fisico asciutto, capelli radi e neri e un ghigno da latino.

Al centro della sala con la camicia semiaperta, sfiora la sua donna, accarezza quella piuma, perché lei è bionda, fragrante come un fiore, perché lei è magra, sottile come un taglio, bella come un ramo quando gemma al primo sole, con i suoi occhi chiari chiari che cambiano colore, celesti per un bacio e verdi per l’amore, ha tolto le sue scarpe e si lascia trasportare, scalza come una bimba che ogni volta s’innamora, nel suo vestito lungo, pervinca e lilla chiaro, che la fascia e le modella quel seno appena appena, ingentilito dal riflesso del marmo e della seta.

Hotel Plaza, interno notte, con i drappi rosa antico, lui cerca le sue labbra, la fila di bottoni, una lingua sulla schiena d’avorio e madreperla, lentamente poi li slaccia come un rosario ad uno uno, ed il vestito scende ubbidiente e silenzioso, a fiocchi come neve, ad onde come seta, si sparge e s’ammonticchia sul tappeto di Kashan, al centro della sala, Hotel Plaza interno notte, lui la stringe e poi l’abbraccia, il mento sulle spalle, lei guarda l’infinito, lui la cornice d’oro, di un quadro post-moderno, di una donna col cappello.

Hotel Plaza, quarto piano, muti ascoltano la notte, poi camminano leggeri verso l’alcova bianco panna, scricchiolii sotto i piedi, legnosi di parquet, gemiti in lontananza, sospiri caldi di un amore, nei loro occhi il passato che torna e fa dolore, un fremito di gelosia corre lungo quei bottoni, l’altra donna ed il gioco, la voglia ed il consenso, l’altra donna mora mora e bocca di velluto. Lei non può non ricordare, seduta lì in attesa, l’immagine dell’altra, bella da morire, l’immagine di lui, la mano sopra i fianchi, quei tacchi alti quanto, arriva il paradiso. E salgono le scale, lui la guida e la sospinge, e salgono ai piani, Hotel Plaza, stessa stanza, ma oggi è il quattro di novembre, di qualche anno dopo, fuori c’è la neve e dentro un caldo intenso, di un amore consapevole, adulto e maggiorenne, che sconfigge quei ricordi e il passato che fa male.

Hotel Plaza, interno notte, lei toglie i suoi pendenti, ma improvviso uno squillo, viola quel silenzio, brividi d’amore, istanti e déjà-vu, lui guarda la sua donna fino a fondersi con gli occhi, sembra chiederle aiuto o quanto meno cosa fare, mentre lei s’allontana ed esce dalla stanza. Ora lui è seduto, sul bordo di quel letto, ora guarda sul display e remissivo poi risponde, dall’altra parte una voce, meccanica e metallica, parla in fretta e non consente d’essere interrotta, lui non parla, ma annuisce, poi quasi rassegnato, “Ok, va bene, a tra poco…” ed un click alla fine.

Hotel Plaza, interno notte, assorto guarda il pavimento, le sue mani strette a pugno non sanno cosa dire, ma alla donna basta poco, lo sente e capisce, riallaccia i suoi bottoni e non sembra dispiaciuta, una goccia di profumo e torna nella stanza, s’avvicina e sorride, s’inginocchia e l’accarezza. Ora l’uomo ha fretta e lei lo aiuta a rivestirsi, scarpe e gemelli, giacca e cravatta, poi si scosta e lo guarda, orgogliosa del suo uomo, gli dà un bacio sulle labbra, ora fredde come neve, ora lui è sulla porta e le dice di aspettare, ci impiegherà almeno un’ora o forse poco meno, ci impiegherà il tempo giusto per farci poi l’amore.

Hotel Plaza, esterno notte, lui adesso sta uscendo, l’uomo con l’ombrello lo saluta con un inchino, la macchina è già pronta e in un lampo mette in moto, ora corre lungo i viali di una Parigi in piena notte, verso quell’incontro, vago senza indicazione, perché non sa dove andare, perché la voce non l’ha detto, perché l’indizio è un cappello e due labbra rosso fuoco, che incontrerà sui bordi tra i cumuli di neve, che incontrerà per strada quando meno se l’aspetta.

Hotel Plaza, interno notte, il quattro di novembre, la donna alla finestra lo vede scomparire, dietro quella tenda, guarda fuori e guarda dentro, poi di fretta corre in bagno e sfila la parrucca, ed agita i suoi capelli, lunghi, morbidi e neri, il rosa delle labbra lascia il posto ad un rosso intenso, il pervinca e lilla chiaro, a un vestito nero nero, e sotto un reggiseno che fa femmina importante, un tacco come l’altro alto quanto un paradiso, come il bordo della calza che s’intravede dallo spacco, come la riga su quel velo che fa femmina fatale.

Hotel Plaza, interno notte, una donna guarda l’ora, dubbiosa pensa all’uomo con un ghigno di malizia, poi accavalla le sue gambe seduta sul divano, e sfoglia una rivista e si riguarda nella foto, con il cappello nero nero che copre in parte il viso, con le labbra rosso fuoco che scandiscono l’attesa. Fuori intanto sta piovendo e l’uomo è fermo lungo il viale, il semaforo è rosso e lui ripensa a quella bocca, poi teme di fare tardi, guarda fuori e guarda l’ora, le sue mani impazienti stringono il volante. Le luci al neon viola illuminano il suo volto, è la reclame di un film visto proprio l’altra sera, lui fissa il manifesto, una donna col cappello, e pensa a quella trama, e pensa a quell’incontro, e pensa a quella voce metallica al telefono, mentre ora scatta il verde e schizza sull’asfalto, una macchina che corre, veloce per Parigi, e mangia quell’asfalto e mangia quella neve, perché ora ha capito e sa bene dove andare, verso quell’incontro, quell’appuntamento… Hotel Plaza, interno notte, una donna che lo aspetta, Hotel Plaza, interno notte, stanza 451.
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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