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Adamo Bencivenga
La cappellaia di Via del Tritone
Ci sono dei giorni che passano interi ed altri spaiati che s’appiccicano
insieme, cuciti con l’ago del tempo che passa, col filo d’amaro che un
altro è passato, per nulla sorpresa che è arrivata la sera, col desiderio
di stare già dentro in un letto e il bisogno infinito che venga la notte,
oltre i tacchi, la strada e sei fermate di metro, che lente le lasciano
una voragine dentro, che veloci la scavano e fa fatica a riempire,
nonostante quel libro a portata di mano, che parla di prìncipi di fate e
d’amore e alle volte davvero si sente di avere, i capelli più biondi e gli
occhi turchesi.
Ci sono dei giorni che nemmeno riesce a vendere ad un inglese un Borsalino
di feltro o un Panama intrecciato con fibre di palma, che viene da Quito o
da Santiago, su misura per chi ci cova dei sogni ed ama indossarlo con un
vestito di lino. La padrona le dice che deve metterci il cuore, che la
vendita è un’arte come se offrisse se stessa, perché importante è la forma
e la classe, ed un cappello elegante non è un pezzo di stoffa, ma proietta
il cliente negli occhi degli altri, come fosse uno specchio dell’anima
dentro.
Ci sono dei giorni che si sente sicura, che sorride agli odori, ai rumori
di Roma, al traffico intenso, al farmacista di turno, mentre cammina per
via del Tritone e si ferma all’incrocio con via Du Macelli, ed entra nel
bar dove sono buoni i cornetti. Sono caldi e fragranti e sanno di pane, e
al solito mezzo va in bocca a Macigno, un pastore bastardo con le orecchie
abbassate, che fuori l’aspetta e muove la coda. Poi la segue fino al
marciapiede di fronte, poi torna indietro per un altro cornetto, e lei
scambia due parole con il fioraio egiziano, lei lo sa che ci prova e la
chiama signora, e se davvero volesse la riempirebbe di rose, un giardino
di fiori per un paio di tette, una casa sull‘Appia dove vive da solo. Ma
lei s’allontana e sente i suoi occhi, che s’adagiano ingordi sopra i suoi
fianchi, sulla gonna leggera che danza sui tacchi, sui capelli che sanno
di shampoo e vaniglia, lasciando al suo sguardo una voglia sospesa.
Lei lo sa e per questo cammina, fino all’edicola in piazza dove compra il
giornale, tra i tetti di Roma neri e spioventi, dove fragile spunta uno
spicchio di sole, che le bacia le labbra e le scalda le tette, come fosse
un amante la prima volta che esce e rimane attaccato dalle parti del
cuore. Si vede bella e sul serio lo pensa, quando si vede in penombra sui
vetri, perché la sera è lontana e davanti c’è il giorno, un giorno diverso
con una luce d’azzurro, identica a quella che aspetta da sempre, che
l’illumina dove nutre i suoi sogni, un uomo e un cappello che le sorridono
appena, magari con un Trinity avorio di raso, e lei che ci spera che si
faccia più avanti, magari stasera un invito e una cena, magari domani per
Villa Borghese, a passeggio per mano e la ghiaia che struscia, perché
aspetta quel giorno e lo sa che è vicino, che un uomo stupendo la inviti
per cena, che un principe azzurro le faccia la corte e lei finalmente non
torna a casa da sola.
Alle volte le sembra di esser lei la padrona, quando apre il negozio alle
10 passate e saluta la commessa del negozio vicino, che vende le scarpe
che la fanno sognare. All’ora di pranzo sognano insieme, entra e ne prova
quelle più alte e si specchia davanti e si guarda di lato, perché nei suoi
sogni non manca il dettaglio, di una scarpa da sera che le sfini le gambe,
di un tacco importante che slanci il suo corpo, mentre ride contenta e
s’appaga all’idea e si promette convinta che quando sarà, sarà pronta e
perfetta e di sicuro non scalza. Quando sarà di sera o di giorno, quando
sarà d’aprile o di maggio, col sole che bacia le sue spalle scoperte, con
un vestito da sogno e una scollatura leggera, coi capelli raccolti per
mostrare il suo viso, gli occhi che dicono che è una perla e un incanto,
gli zigomi alti e le labbra carnose, la bocca socchiusa per sorridere
tanto, oppure con un Winter rosso a visiera e crederci sicura che
finalmente sia giunto, quel giorno schiacciato dal peso degli anni.
Se davvero sarà non vuole che sia, un normale cliente che ha visto in
vetrina, un cappello di Trilby magari gessato, ma che l’abbia intravista
tra i vetri da fuori, una donna elegante che per caso quel giorno, fa la
commessa in un negozio al Tritone, che solo per sbaglio sta vendendo
cappelli, ma dentro ha un mondo a forma di cuore, che batte e che sogna e
lo stava aspettando, come s‘attende la domenica presto un treno per Ostia
che la porta al mare. Se davvero sarà che la porti nel cuore, se davvero
non può o magari è sposato, un ricco architetto, un antiquario famoso, o
magari è straniero con un aereo che aspetta, e le scrive messaggi dalla
sua villa di Londra, e la chiama ogni giorno da Madrid o Lisbona, perché
cosa ci farebbe di un amore qualunque, di un barista che le tiene il
cornetto in caldo, di un fioraio che offre le rose che vende?
Se davvero sarà lo vuole importante, che le suggerisca parole se la vede
impacciata, per dirle che l’ama e l’ama davvero, che non vende cappelli ma
contenitori di sogni, e la sera l’aiuta ad abbassar la serranda, per poi
passeggiare a zonzo per Roma, tra vetrine e negozi, fontane e musei, fino
alla macchina che ha lasciato lontano. Quella sera che bello non prende la
metro, quella sera che bello vola leggera, sottobraccio al suo amante per
le strade di Roma, e non deve crucciarsi se non apre il suo libro, se solo
una volta non legge parole, ma sente le frasi di voci e respiri, di
carezze a vapore che muovono dentro, l’anima ed altro che non sa spiegare,
e sono maschili e sono d’amante, e la riempiono dove l’attesa di sempre ha
scavato un vuoto di buio e di notte.
Alle volte ci crede che sia maturo e bello, che abbia negli occhi la
voglia di vita, che sa per certo che a quarant’anni passati, una donna si
sente ancora giovane dentro. Alle volte si chiede se è lecito ancora,
rimandare ogni incontro per ottenere il meglio, e di notte s’immerge a
fantasticare due braccia, in una nuvola bianca che la faccia cullare, in
una nuvola nera dove si sente più donna.
Nel sogno lo vede che la guarda e poi entra, da quella vetrina e dice il
suo nome, perché lui già sa come si chiama, e conosce a memoria quello che
pensa, e conosce il libro che sta leggendo, i dubbi che cova dentro i suoi
seni, i fiori che apprezza, i colori che ama, l‘ultimo film d‘amore che ha
visto, in compagnia di Milena, la sua amica del cuore. Lui già sa quante
notti ha pianto, e quante ha riso senza nessuna ragione, le amarezze
infinite che le imbracano il cuore, che velano gli occhi e s’immagina un
uomo. Lo chiama di giorno e s’arrabbia per nulla, perché lascia in giro le
ciabatte e i calzini, ma stavolta è diverso lui s’accorge e le chiede,
cosa la cruccia nel sentirsi da sola, quanto le pesa la strada al ritorno,
le sei fermate di metro che la portano dritta, nell’unico posto dove non
vorrebbe tornare.
Ma oggi è diverso e lei si sente più bella, perché lui sa già che non
cerca promesse, che dica soltanto che le offre un passaggio, per chiudere
gli occhi e sentire la scia, d’un dopobarba che scava solchi nel cuore,
d’un viso che raspa le sue labbra protese. Se davvero sarà che l’illuda
per bene, che non ha bisogno di un libro per addormentarsi la sera, che
sia una cena in un ristorante di lusso, a guardarsi negli occhi e
sfiorarsi le bocche, perché le parole hanno un verso soltanto, se parlano
d’anima e il resto non conta. E se poi succede che sia la notte più
intensa, se poi accade che sia pelle e carezze, anche se l’alba non
rischiara le facce, ma solo un cuscino ai piedi del letto, ma solo un
biglietto che legge sola al risveglio. Perché davvero ne è convinta e chi
la guarda da fuori non può immaginare, cosa c’è dentro il suo seno che
freme, la passione che scotta, la bocca che arde, cosa c’è sotto i suoi
capelli a caschetto, quanti brividi intatti che hanno atteso per anni.
E legge e rilegge quel pezzo di carta, che sarà il segnalibro del prossimo
giorno, che sarà il suo specchio quando si sente depressa, con poche
parole che sanno d’amore, forse un ti amo, un ti adoro deciso, un
indelebile sogno vissuto davvero. Le legge e rilegge per essere certa, per
contarli di nuovo e ricominciare daccapo, quanti baci ci sono dentro una
notte, quanti ne ha dati a coppie e spaiati, quanti sul collo bagnati ed
asciutti, quanti ne porta lui allibito nel cuore, perché mai e poi mai lui
ci avrebbe creduto, mai e poi mai le avrebbe contate, quante ore ci sono
dentro una notte, e quanto amore può offrire una commessa, che vende
cappelli su via del Tritone... .. |
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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