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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
La donna, l'anguria e il cinese
(Tutta colpa del mare)




 


 
 


Tutta colpa del mare dice danzando, a filo di sera che all’alba scolora, mentre gira e si volta ed il vento la sfiora, e le porta in regalo un brivido antico, un tremore più caldo di vite passate, di sensi perduti mai più ritrovati, di odori lontani, di strette di mani, di sguardi infiniti che sopiscono all’alba, ed enfatizzano code di piaceri passati, vissuti di notte tra l’acqua e le dune.
Tutta colpa del mare che incalza indolente, del cielo intrigante che truffa la gente, di quello che pensa, che dice, che giura, perché è sempre l’istinto che offusca la mente, ed a volte si ferma ed altre riparte, e scorre e s’addensa nelle vene più dure, nel ciclo che irrora i sogni dell’alba, nel ciclo che uccide quelli più veri, che vengono a notte e sanno di mare, di uomini e donne che fanno l’amore.

Tutta colpa del mare ripete ossessiva, stamane si è alzata più presto dell’alba, per respirare quest’aria che sa ancora di notte, d’amori lasciati dietro le barche, e dalla risacca torna e va via, e risucchia detriti, immondizie di cuore, i solchi più fondi, le rughe più fonde, i tanti ricordi incarniti negli anni, che l’onda risciacqua e il sale depura e rigenera intatte le voglie neonate.
Perché è colpa del mare se illusa ci torna, se non vede e non scorge più figli di cani, poeti che vendono parole a dozzine, ragazzi che truccano gli occhi alla luna, pittori di nudo con la scusa dell’arte, che intingono il sesso nella linfa e nel miele.

Tutta colpa del mare ed il vento la sfiora, mentre cammina sul filo dell’alba, e le orme che lascia, il mare riprende, proprio come i ricordi svaniti nel tempo, quando solo di sera portava un cappello, ed un uomo stupendo fasciava i suoi fianchi, e si sentiva più bella d’ogni donna più bella, unica al mondo per due occhi impazienti.
Eh già tutta colpa del mare se ora da sola, aspetta la luce per parlare con l’ombra, ma poi da lontano intravede un casotto, una casetta sbilenca di legno e di chiodi, e poi s’avvicina, timorosa e insicura, ed ora vicino si ristora nell’ombra, e si guarda nel taglio di uno specchio spezzato, con un punto d’azzurro, di contorno di mare, seduta al bancone sotto il fresco di canne, nel chiosco d’angurie e cozze al limone.

Tutta colpa del mare se i pensieri più inquieti, s’arrotolano a riccio come fossero ragni, e il padrone la fissa e ha lo sguardo orientale e le porta in regalo un brivido nuovo, un sorriso accennato e due occhi impazienti, perché nulla è scontato e niente è vissuto, nulla che nulla appaia una truffa e meno che meno un inganno di cuore.
Tutta colpa del mare se ha voglia di dolce, se la fetta d’anguria l’intriga e la tenta, anche se l’uomo non sa quale uso, voglia farne la donna seduta al bancone, ma intanto la guarda, la studia e la scruta, cercando quel nesso che la lega all’anguria. Perché lui è cinese e non capisce per quante, fette migliori possa chiedere in cambio, quel seno che spia e non sta nella pelle, quel seno che dritto l’invita e l’implora, a coprirlo di baci freschi e ficcanti, a stuzzicarlo coi denti sputando via i semi.

Tutta colpa del mare lei ripete insistente, ma vale la pena di viverla ancora, l’illusione che cova e il desiderio che prende, d’accettare la sorte generosa in quest’alba, che prima del chiosco, lungo la spiaggia, le ha portato in dono un venditore di perle, un prestigiatore che gioca con gli scacchi di sabbia, un pittore che intinge il suo pennello nel mare, un poeta che scrive parole nell’acqua, un nero che offre cappelli di paglia, in cambio di sesso con un nano che passa, un poliziotto che addestra un pastore tedesco e suo figlio che tira sassi a un bidone.

Tutta colpa del mare ripete ossessiva, se il destino ha deciso che non c’era di meglio, e le ha portato in regalo un cinese curioso, e questo chiosco che giura di non averlo mai visto, nonostante ogni giorno sul filo dell’alba, passeggi e respiri su questo lembo di spiaggia, quando il verde e l’azzurro diventano intensi, e d’arancio e di giallo sono piene le gonne, che svolazzano al vento come sciami di vespe, e assaporano il gusto di un’estate già pronta, di nettari e ghiaccio colorati pastello, di barche lontane già piene di pesce, che galleggiano bianche ed aspettano il turno, come amanti di strada che gemmano a sera.

Tutta colpa del mare se il sogno prosegue e le farfalle primizie s’addensano intorno, e il viola ed il giallo si fanno bollenti, e la spogliano oltre la pelle più bianca, che viva la lascia abbronzare all’amore, per farsi più bella con un filo di trucco.
Tutta colpa del mare le viene da dire, tutta colpa del mare e del cinese che guarda, e in fondo al suo sguardo ci vede dell’altro, oltre allo specchio di cielo d’azzurro, che lei apre decisa perché lui se ne sazi, per tutte le albe che lui ha aspettato davvero, ha immaginato una donna seduta al bancone, che scopre quel seno e si lascia guardare, per tutte le perle infilate nei giorni, perché passassero presto e passassero in fretta, una per sorte d’onice e giada, che ora le mostra e le cingono il collo.

Seduta al bancone ora toglie il cappello, ha visto i suoi occhi e vorrebbe fermarlo, perché non sono le mani, non è la sua bocca, a placare quel fuoco che arde ribelle, quel sogno ogni giorno che ricorrente l’annienta, e giura ogni estate di volerlo provare.
Tutta colpa del mare ripete incalzante mentre ora decisa si lascia guardare, incerta e perplessa che il cinese capisca, che rimanga al suo posto al di là del bancone. Chissà se è sposato, se capisce la lingua, le parole più adatte per saperle dosare, se è davvero cinese ed ha avuto dei figli, se sua moglie è di là che cucina soffritti, oppure aldilà della duna che piscia, tra gli sterpi appuntiti e le vipere ingorde.

Tutta colpa del mare ripete angosciante mentre asciuga il sudore agitando il cappello, e chiede al cinese quanto costa una fetta e quanto in aggiunta se scoprisse del tutto, quel corpo che vibra al vento che tira, quel seno che danza e l’ombra lo indora, quel brivido intenso che s’è fatto bisogno, proprio nel punto dove il cinese la guarda, e sbalordito rimane a gustarsi la scena, quella fetta d’anguria che ora scivola lenta, e scende e riscende lasciando la scia, sulla pelle che freme, sul corpo che trema, e dal seno sprofonda fin dove l’attira quel caldo che bagna e cerca il compenso.

Tutta colpa del mare sussurra al cinese, con la fronte imperlata di sudore rappreso, lo prega di rimanere fisso al suo posto, mentre lei stringe quella fetta d’anguria, che ora pigia sul ventre e si mescola rossa, e spalma collosa di zucchero e miele, in un tutt’uno viscoso di nettare e succo, di fresco e di caldo che si scoglie bollente, in un vortice denso che a rami si spacca, perché è colpa del mare recita piano, che lava e depura e rigenera intatte, le voglie neonate d’anni assopite, le sensazioni lasciate marcire al ricordo, e memorie e sospetti, rimpianti e ripicche.

Tutta colpa del mare quando evapora il sogno, e la spiaggia di colpo è stipata di gente, come un giorno festivo con la musica e i cani, e due ragazzi a due passi giocano a palla. Tutta colpa del mare, imbarazzata si desta, e s’alza stordita e guarda suo figlio, intento a giocare coi castelli di sabbia, e lo chiama e gli dice che è ora d’andare, perché ogni giorno lei viene a sedersi in disparte, e s’assopisce in penombra aspettando impaziente, che il vento la sfumi e le sfami la brama, e partorisca una donna come goccia gemella, che cammina e cammina sull’orlo dell’acqua, e si lascia rapire come femmina bella, da un miraggio di un chiosco, da un sogno di giorno, da un cinese che guarda aldilà del bancone, da quel fiume di miele rabbioso ed asprigno, intossicato da incurie e dalla pena degli anni, che cola e s’inzuppa nell’infinito bisogno, che una fetta d’anguria lo addolcisca per sempre.
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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Photo  Roman Filippov

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