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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
La Maison delle 150 ragazze




 

Conosco gli uomini, li conosco a fondo, nelle parti basse e in quelle del cuore, dove ogni respiro è un comando ed un urlo scomposto, una richiesta d’aiuto. So quando devo tacere, quando le labbra servono ad altro.

A Saigon c’è una Maison rouge senza finestre. Se passi di notte per Dai Lo Nguyen non puoi non notarla. Qui non si parla la nostra lingua, ma un brusio bastardo di inglese e francese, di tai e cinese che s’accalca ogni sera per prendersi il meglio.
Lungo la strada un interminabile flusso di biciclette e carrozze che trasportano merce, odori forti e chiasso assordante di guerra e miseria, ma dentro la Maison solo sciami di sete e suoni europei dove si mangia, si scherza, si balla e se sei ricco puoi fare anche l’amore.
Sai, qui si crede nel destino, quello benevolo che nonostante ci abbia fatto nascere povere, ci fa crescere belle, appetibili agli occhi di qualunque straniero. Se tu hai tempo e non hai nulla in contrario puoi fare di noi un’amante devota che ti segue nel male e nel bene, nella trama dei vicoli di questa città, nelle case di ricchi, belle e straniere. Lei seguirà l’ombra dei tuoi passi, nell’unica meta dove non esiste la guerra, lungo le strade dove non c’è fango e dolore. Ma se sei impegnato ed hai altre voglie puoi affittarla ogni sera, senza impegno t’aspetta, illibata per quanto rimani, frusciando la seta e la pelle pulita, perché qui dentro non si sente la puzza, il cupo rimbombo di mortai e cannoni. Non si sente l’odore rappreso di carne e di sangue, polvere e terra che secca il naso e le mani, ma quello leggero d’oppio e tabacco che si fuma e s’annusa per deridere la vita ed insultare la morte.

Se arrivi a Saigon dall’aeroporto non puoi non fermarti nella Maison delle 150 fanciulle, perché il tassista prende la mancia e non ha di meglio da offrirti lungo l’unica strada dove non ci sono macerie. Lui con orgoglio te ne parla fitto in francese, di ragazze che lui non ha mai visto, di ballerine a tariffa belle come regine, che non osano guardarti negli occhi, a meno che tu non lo voglia o loro s’accorgano che potresti invitarle di nuovo.
Il tassista ti parla di stoffe orientali, ricamate e cucite da grandi sarti a Parigi, di seni abbondanti dove farci un nido ogni sera, ma tu non gli credere! Noi qui siamo tutte piatte per fame e natura, ed i vestiti che indossiamo sono cuciti a mano dalle nostre sorelle più brutte, che si danno da fare perché almeno una di noi sia d’aiuto a tutte le altre.
Ti chiederanno se sei sposato, se hai dei figli, ma poi non ha importanza perché quello che conta è un letto a baldacchino, è ripararsi dalle mosche quando si dorme, lavarsi la faccia con l’acqua corrente. Se vieni a Saigon non giudicare da occidentale, non pensare che siamo solo carne da bordello perché non è un ballo continuato al piano di sopra che ci fa puttane, non è un rifiuto che ci fa sante.


*****


Stavo ballando ma ti ho notato comunque, perché nessuno straniero passa inosservato quando entra la prima volta. Ti sei guardato attorno, chissà se già mi stavi cercando, se il tassista era mio fratello. Lui s’è messo in testa di farmi la reclame, ha stampato dei biglietti su carta di riso. Dice a tutti che sono bella, la più brava se hai certe intenzioni.
Tu volevi un tavolo vuoto per sederti e goderti la scena e magari contarci per verificare se davvero fossimo state 150, le più belle che Saigon può offrire, le più graziose partorite nel fango d’una guerra infinita. Nessuna esclusa, perché sarebbe davvero uno spreco essere belle e fare un altro lavoro, ammesso che ci sia, e che ogni giorno si possa sbarcare il lunario distante da questa casa senza finestre. Non ci siamo mai contate, ma siamo tante, belle più di quanto un desiderio le brami, e se per caso hai il cuore vuoto potresti davvero innamorarti di tutte.

Una decina di noi già ti facevano capannello: “Compri un biglietto signore! Io, ballerina a tariffa.” Ti dicevano in francese, in inglese e in un misto bastardo per esser le prime, per essere capite e non aver concorrenti. Io non sarei mai venuta se tu non m’avessi chiamata, non mi sarei mai seduta se non m’avessi sorriso. Hai chiesto il mio nome e m’hai guardato le scarpe, hai chiesto se fossi libera e mi hai fissato negli occhi. Avevi una luce smorta che ancora ricordo, un raggio d’ombra di tristezza infinita. Eri un giornalista, ma non ne avevi la faccia, eri irlandese, ma non ne avevi la pelle.
Sai qui ne sono passati tanti di forestieri, tutti con la fretta nel sesso ed il cuore ripieno, sarebbe bastato un biglietto per invitarmi a ballare, oppure una mano per iniziare a volare, ma tu nei hai comprato un blocchetto, erano dieci e mi hai voluta vicino. Guardavi muto la parte in ombra del mio viso, guardavi la forma, i colori del trucco. Tu eri diverso! Solo un attimo ed ho creduto d’amarti, come si ama un bambino smarrito, che piange e ti chiede la strada.

Poi hai voluto ballare. Nell’ombra in un angolo mi hai stretta, baciata sul collo. Hai voluto che ti porgessi il mio seno. L’hai solo odorato come si fa con un fiore appena sbocciato in un giardino d’inverno. Non c’era avidità in quel gesto, non c’era passione, ma solo il desiderio d’assaporare la fragranza di un corpo obbediente. Più volte mi hai detto che ero bella, me lo hai ripetuto per tutto il ballo e per quello seguente, fino a convincermi che la dote che offrivo era un tesoro che nessun’altro finora aveva mai apprezzato. Forse eri ubriaco, forse solo desideroso di avermi, ma sentivo di volerti bene, sentivo che cercavi un’amante ed io ero pronta a seguirti devota come nel ballo. Entrando qui dentro avevi portato con te il tuo cuore, mi hai chiesto se potevo procurarti una casa e poi sei andato via nonostante gli altri biglietti, quel diritto comprato per tenermi la notte.


*****


L’alba di Saigon è di un rosso amaranto, se per caso non hai dormito una notte, potresti scambiarla per un tramonto qualunque, ed io non ho smesso un attimo di pensarti, sentivo che saresti tornato, ma non sapevo quando. Qui non si lascia una donna incompiuta, perché il nostro obbedire è più forte di qualsiasi comando.
Ai piani di sopra ci sono quindici camere, tutte arredate di rosso, tutte accoglienti per chi ha deciso di passarci una notte. Quindici soltanto, una per ogni dieci ragazze, ma non è mai successo di trovarle tutte occupate. Qui c’è la guerra, c’è la fame e un uomo del posto, per quanto ricco, non arriverà mai a prenotare una stanza, a tenerci una notte mentre la musica riempie la sala di sotto. Può comprare alla meglio un biglietto, per un ballo soltanto, per sfregare la seta senza toccare la pelle, per sentire l’odore d’una donna che non porterà mai a letto.
Qui non occorre aver diciotto anni per fare l’amore perché solo i ricchi sanno il giorno preciso quando son nati e noi siamo tutte ballerine senza tempo, che lasciano a chi parte per sempre almeno la voglia di tornarci una volta. Qualcuno è tornato da vecchio, cercando tra i volti chi gli aveva offerto un sorriso, ma poi non l’ha trovata, ma lo stesso è rimasto felice, perché per voi abbiamo tutte gli stessi occhi, tutte lo stesso volto, la stessa fede di donare l’amore.


*****


Ti prego se torni a cercarmi non comprare i biglietti, ne hai ancora otto da consumare ed io li tengo con cura, riposti dentro il mio seno. Sono otto balli che mi faranno sognare, otto balli e una stanza da letto, per fare l’amore o solo per dirti che ti ho trovato la casa, in un quartiere dove vivono solo stranieri, e nel bagno e in cucina arriva l’acqua corrente. La casa è in mattoni ed i muri sono bianchi, quando ci passo, già mi vedo lì dentro, già sogno che potrei farti compagnia, nella veranda nelle notti di luna, nei giorni di pioggia coperti dal fango. Se vuoi non metto vestiti, ma rimango nuda perché tu possa guardarmi attraverso la pelle, nell’anima tutta che è un peccato coprire, perché t’amo anche se ti ho visto per pochi minuti, ma so che tu non sei uguale agli altri. Loro chiamano amore quello che sentono dalle parti del sesso, e confondono ogni sera con le voglie del letto ciò che ad ogni alba svanisce come il buio di notte dentro la luce.
Povera m’illudo e continuo a pensarti e stringo questi otto biglietti. Forse sei andato via perché avevi solo da fare, ed il tempo con me sarebbe stato uno spreco. Non t’ho chiesto se fossi arrivato da poco, se fossi solo o una moglie ti stava aspettando in albergo. Non è stata una dimenticanza sai, perché se fosse questo il motivo, sappi che mai una ballerina a tariffa si è illusa d’avere per sé un amore tutto intero, noi siamo di Saigon e conosciamo la vita perché conosciamo la morte. Comunque t’aspetto.



 







Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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