A Saigon
Ormai la guerra non ci dava più
tregua. Tutto era guerra, il mercato e gli affetti,
il contrabbando e l’acqua corrente. A Saigon
esplodevano bombe come tombini strapieni di acqua.
Una al mercato aveva fatto migliaia di vittime,
corpi deturpati, sfigurati, perché neanche la morte
era più dignitosa.
Pensavo se la notizia si
sarebbe sparsa per il mondo fino ad arrivare nelle
case belle di Parigi o nelle villette dei sobborghi
di Londra. Pensavo davvero che ci servivi! Che ci
mancavi per tutto!
Tua moglie ed io avevamo dato
una mano e lavato ferite. Tra quelle carni straziate
mi chiedevo a cosa servisse la guerra, ma
soprattutto a cosa servisse quel nostro darci da
fare. Ormai era l’inferno!
L’unico posto
sicuro era la Maison Rouge dove tua moglie mi
avrebbe impedito di mettere piede. Stavano finendo
anche le sterline dei vestiti. Il padrone di casa ci
aveva già mandato a dire che avevamo una settimana
di tempo per fare le valigie.
Ero distrutta! Mia
madre e mia sorella mi ripetevano ogni giorno di
tornare immediatamente a fare la ballerina. Decisi
di non andarle più a trovare. Come facevo a lasciare
tua moglie? Ogni notte si faceva sempre più piccola,
voleva che la contenessi in un unico bacio, in
un'unica carezza.
Era troppo intenso il suo
amore, troppo grande la sua voglia d’essere
posseduta, tanto che mi veniva il dubbio se davvero
si fosse mai innamorata di te o di qualsiasi altro
uomo.
Era questa la sua prima volta, e come tutte
le prime volte bruciava e faceva male, saziava e
faceva dolore. Mi giurava che avrebbe fatto di tutto
per dimostrarmelo.
A volte cenavamo
completamente nude in veranda, avevamo poco da
mangiare ma tanto da offrire ai nostri occhi. Ed
ogni volta erano delle esperienze uniche, anche se
io l’avevo già fatto con altri uomini.
Con una
donna sei alla pari, con una donna la senti quanto
ti sente, e tua moglie era bella, incantevole, le
sue tette poggiavano sul tavolo, finivano nel
piatto. Non ho resistito e mi sono alzata per
leccargliene il sapore, lei è rimasta ferma per non
farmi perdere nemmeno una briciola di gusto.
In quei momenti ho capito il vero significato di
quando mi ripeteva “Siamo due zoccole”, quando mi
diceva che l’anima che aveva tra le gambe era la
stessa che io chiamavo fica. Pensavo che voi
occidentali avevate un modo crudo di chiamare le
cose, come se le vostre parole, i vostri nomi
fossero nudi al contrario della nostra poesia che
cominciava dal suono.
“Siamo due zoccole povere!”
Diceva seria. “La nostra meta è arrivare ogni giorno
a domani.” Ho provato a dirle più volte che se lei
avesse voluto, sarei potuta tornare alla Maison, ma
lei mi amava, mi voleva tutta per sé. Ho provato
anche a dirle che ti amavo, avevo un peso sulla
coscienza ma non ce l’ho fatta a confessarle di noi,
ero sicura che si sarebbe lasciata morire.
Come
in un gioco a scacchi, aspettavo. Sai qui noi siamo
abituate ad aspettare, sin da bimbi ci insegnano
l´arte dell’attesa.
Ritorno a
Cao Tho
Eravamo disperate. Una sera
snocciolando tra quei pochi ricordi ci è venuta in
mente la scampagnata lungo le rive del Mekong. Tua
moglie disse che in fin dei conti lì non era ancora
arrivata la guerra e poi il tuo amico Hong Ti quella
volta si era mostrato gentile ed ospitale.
Dalla terrazza fissavamo il panorama di Saigon, ogni
pochi secondi si accendeva a distanza un nuovo
bagliore. Riuscivamo a distinguere dal diametro del
fuoco gli spari dalle bombe. Ormai nessuna zona
della città era al sicuro. Ci siamo guardate in
faccia e abbiamo deciso senza parlare.
La
mattina al mercato siamo riuscite a farci dare un
passaggio da due contadini che andavano in quella
zona. Ci hanno fatto sedere dietro nella cabina,
nascoste tra le casse di cipolle e peperoni. Il più
grande dei due aveva paura di qualche posto di
blocco francese lungo la strada, l’altro, da come ci
guardava, aveva qualche altro desiderio che per
fortuna tenne per sé.
Il viaggio è stato
lungo e massacrante. Ben presto ci siamo rese conto
che anche lì la guerra, non solo era arrivata, ma
aveva portato morte e distruzione. Quasi quasi non
riuscivamo ad orientarci, il paesaggio era diverso e
il ricordo della nostra scampagnata svanì in un
baleno.
La moglie di Hong Ti nel frattempo
era morta per colpa di una maledetta mina vicino al
campo di ortaggi.
Lui era distrutto dal dolore,
ma è stato gentile con noi. Figurati ci ha dato la
stessa stanza di quel pomeriggio.
La sera
abbiamo mangiato insieme a lui una zuppa calda di
ortaggi e ceci e bevuto del liquore fatto in casa.
L’aveva fatto sua moglie e lui pianse ad ogni sorso.
Ma Hong Ti era un uomo e come tutti gli
uomini davanti a due donne sole alla fine della cena
ci ha chiesto il conto.
Appena qualche minuto
dopo ha bussato alla porta della nostra stanza e
visto che non rispondevamo, ha spalancato la porta.
Non ha detto nulla, ma con la sua aria timida ci ha
fatto ampi gesti inconfondibili.
Abbiamo cercato
di convincerlo, ma non c’è stato verso.
Dopo
qualche minuto di esitazione tua moglie a malincuore
mi ha ordinato di sacrificarmi. Eh già, in fin dei
conti io ero una puttana ed il mestiere ti rimane
impresso per tutta la vita. Con voi mi ero quasi
illusa di non esserlo più, ma che significa essere
un ex puttana? E’ come dire essere un ex assassino,
ma gli occhi di un uomo che hai spento rimane un
ricordo indelebile per tutta la vita!
Hong Ti
è stato molto delicato. Sono andata nella sua
stanza, mi sono coricata chiudendo gli occhi. Giuro,
è stato un attimo. Disteso su un fianco mi ha presa
delicatamente confessandomi ad ogni respiro che
erano anni che non faceva l’amore ed io ero il dono
di Dio, giunto a ripagare il dolore della scomparsa
di sua moglie.
E’ stato un attimo davvero,
durato quanto una puntura che ti lascia soltanto un
leggero bruciore.
Tornata nella nostra stanza
pensavo che anche questo era guerra ed io m’ero
venduta per un piatto di ceci ed una stanza calda,
ma ero contenta di aver salvato tua moglie.
Ma lei era fuori dalla grazie di Dio, mi ha
aggredito dicendomi parole irripetibili che nemmeno
nella Maison avevo mai sentito nella bocca dei
soldati francesi. Me le ripeteva rabbiosa, in faccia
quasi sputando ed aspettando una mia reazione come
se di tutte conoscessi il significato.
Sì,
aveva voluto lei e solo con il suo permesso ero
andata nella stanza di Hong Ti, ma non era per
questo che inveiva contro di me, mai avrebbe potuto!
Mi accusava di aver goduto, di aver urlato, di
essere ancora eccitata al pensiero di quel sesso di
maschio. Oddio caro tu conosci Hong Ti! Come mai
avrei potuto? Un uomo vecchio con la pelle cotta dal
sole e un sorriso senza tempo e senza denti.
Ma lei era fuori di sé. Prima mi ha schiaffeggiato e
poi come un cane ha iniziato ad annusarmi. Metteva
il suo naso dentro le mie labbra alla ricerca delle
tracce del mio godimento. Poi mi leccava, fedele ed
obbediente come se nulla fosse accaduto.
.
Io
non ho detto niente perché ero convinta che non
sarebbe servito dirle che ero stata fredda ed
immobile. Hong non poteva capire, era troppo tempo
che non sentiva una donna, ma credo che la
sensazione che gli ho offerto fosse come quella di
un uomo che infila il suo sesso dentro due pietre
fredde di marmo.
Quella notte non ho dormito.
Guardavo tua moglie al riflesso di un fascio di luce
che penetrava dalla finestra. Era piccola e gelosa.
La capivo sai. Alternava stati d’animo anche nel
sonno. Contemporaneamente sorrideva e tendeva i
muscoli della faccia. Ogni tanto aveva un sussulto,
si svegliava e cominciava a picchiarmi finché per la
prima volta da quando stavamo insieme mi ha detto
fredda che tra noi era tutto finito.
Ho
ingoiato saliva, l’ho scongiurata più volte di non
farmi del male. Tremavo al solo pensiero di stare
lontana da lei, da voi, ma poi mi sono convinta che
era solo rabbia e che per nessuna ragione al mondo
poteva essere vero.
La mattina ho pregato
Hong Ti di andarla a svegliare, di offrirle un fiore
di campo dicendole che non avevo goduto. Povero Hong
Ti lui non capiva, mai avrebbe potuto capire che tra
due donne possa scorrere lo stesso fiume di
passione, che è la stessa foce, la stessa sorgente
da cui sgorga acqua che bolle, lo stesso sentimento
che a volte straripa e spazza via ogni cosa come la
vergogna in quel momento di fargli comprendere che
non eravamo solo amiche.
Povero Hong Ti, ha
obbedito, senza chiedere, senza parlare.
Tua
moglie quando è scesa sorrideva raggiante ed io mi
sono tranquillizzata. Era bellissima, incantevole,
portava un cappello a falde larghe ed un vestito
verde leggero. Chissà in quale baule l’aveva
conservato!
Siamo rimaste solo una settimana
aiutando Hong Ti a lavorare la terra e curare i suoi
ortaggi.
Lui la sera non ci ha più chiesto il
conto e noi tranquille siamo anche riuscite a fare
l’amore.
Ma la guerra era lì. Non aveva senso
fuggire e siamo tornate a Saigon.
Numi ti devo parlare
Durante il
ritorno non abbiamo più parlato di quell’episodio.
Credevo che tua moglie l’avesse rimosso
completamente, ma in realtà, come le succedeva
spesso, lo stava solo assimilando.
“Numi ti
devo parlare, non voglio che tu dica nulla. Devi
solo ascoltare.” Mi ha detto qualche giorno dopo.
Con aria grave ha iniziato ringraziandomi per aver
accettato la proposta di Hong Ti e scusandosi più
volte per quella reazione istintiva. Aveva capito,
come ora era convinta che se fossimo state vicine
niente avrebbe potuto dividerci.
Alla fine
stringendomi tutte e due le mani mi ha confessato
che aveva riflettuto e in fin dei conti accettare
qualche ballo alla Maison non era poi così male.
Non chiese il mio parere perché era più che convinta
che qualche altra puntura indolore ci avrebbe fatto
sicuramente sbarcare il lunario in attesa del tuo
ritorno.
Non credevo alle mie orecchie, ma ormai
lei aveva deciso.
Lo stesso giorno siamo
andate al mercato e abbiamo comprato la stoffa più
bella. Un lontano parente di mio cugino Tan Chi,
adocchiando l’affare, ci ha fatto credito senza
problemi.
Come due bambine siamo tornate a
casa accarezzando le margherite della stoffa
ricamate sopra uno sfondo di celeste sfumato. Io
sono brava a cucire e se non fosse stato per la mia
bellezza sarebbe stato quello il mio mestiere.
Ci ho impiegato soltanto tre ore a cucire un abito
identico a quello in cui mi hai visto la prima sera.
Tre ore soltanto e tua moglie bambina seguiva ogni
punto dell’ago e il ricamo che nasceva sotto i suoi
occhi.
Quando l’ha indossato ci siamo baciate
per minuti e minuti senza che il respiro ci
chiedesse una tregua. Mi crucciava il cuore che tu
non potessi vederla. Era bella, bella, bella.
Sono sicura che se tu l’avessi vista, l’avresti
presa all’istante senza un indugio. Davvero avrei
voluto che fossero stati i tuoi occhi a guardarla,
mai avrei potuto possederla, mai soddisfare il suo
dietro rigonfio che sinuoso si muoveva per stare
nella parte.
Era come l’avevi sempre sognata,
ma non era scelta ma solo bisogno. Ci ho impiegato
altre due ore per cucire il mio con la metà della
stoffa rimasta. L’ho fatto identico, volevo essere
bella come lei, come un’anima gemella figlie della
stessa passione.
Abbiamo camminato per casa in
lungo e in largo, dalla terrazza all’entrata e poi
in bagno e nella stanza danza da letto.
Quando eri atterrato non avevi nessuna altra donna.
Tua moglie era ancora in viaggio e tu disperato sei
entrato dentro un bordello. Mentre ora t’aspettavano
due puttane, due bellissime puttane che come due
fiori di femmina si strusciavano i vestiti
scambiandosi l’odore.
Dio
come ci mancavi!
Al tramonto siamo uscite,
abbiamo preso un risciò pagandolo con una tetta per
uno. Il ragazzo contento ci ha lasciate quasi
davanti alla Maison.
Tua moglie era splendida,
il padrone cinese non ha fatto obiezioni, l’ha
guardata per rendersi conto, poi l’ha palpata per
sentirne l’effetto. Era evidente il suo imbarazzo,
mai una occidentale aveva prestato servizio, ma i
tempi stavano cambiando, la guerra cambia gli uomini
ed anche le regole.
Seduta la guardavo e
pensavo che rispetto al giorno che me l’avevi
presentata ci eravamo scambiate i ruoli. Lei ballava
ed io prendevo un infuso di menta. Nella cornice del
suo vestito di margherite mi sorrideva aspettando
una mia approvazione.
Ma quella sera nella
Maison non c´era neanche l’ombra di uno straniero.
Il mio guadagno misero sono stati soltanto quattro
balli a tariffa ed uno riservato al primo piano. Tua
moglie soltanto un ballo e niente stanza!
Era
fuori di sé ed io non sapevo come calmarla, l’ho
trascinata fuori pensando che lì dentro per me non
ci sarebbe stato più posto.
“Non sono buona
a nulla! Nemmeno a fare la puttana!”
Per
strada ho cercato di convincerla dicendole che i
ricchi del posto preferiscono noi orientali.
Lei
per nulla convinta ha aperto le gambe, ha urlato e
sbraitato dicendo che l’avrebbe data al primo che si
fosse fatto avanti offrendole una birra. Io le stavo
dietro e cercavo di zittirla. Le coprivo il vestito
ma non c’era verso. I suoi seni ballavano sfrontati,
orfani di un comando di maschio.
Dio come ci
mancavi!
La pattuglia
francese
Una pattuglia francese si è fermata
di colpo. Un soldato è sceso di corsa, l’ha presa di
peso e l’ha trasportata sulla Jeep.
Era lui! Il
mio bel tenente francese. Sì proprio lui, quello al
ballo dell’ambasciata!
Lei urlava, come un
gallo strozzato, la sua angoscia di non essere stata
all’altezza, o più probabilmente il difetto di non
essere stata al mio pari. Temeva, pensavo, che tra
noi due si fosse rotto l’incantesimo della
complicità ed io, che sapevo di mestiere, ne avessi
in qualche modo approfittato.
Il bel tenente
ha cercato di calmarla mentre io seduta nel posto
davanti indicavo al soldato la strada di casa.
Una volta in casa ho preparato un infuso per tua
moglie, lei coricata sul letto guardava il soffitto,
era in uno stato di apparente calma. Davvero credevo
che non ci sarebbe statoa mai fine a quella
tristezza, a quella condizione d’essere troppo belle
e inutili.
Al tenente ho offerto l’unica
birra che possedevamo. Lui, seduto ai piedi del
letto, non poteva non notare la sporcizia, il
degrado che ci accompagnava ormai da mesi.
Cercai di far leva sulla sua compassione, ma lui era
inevitabilmente un uomo e come Hong Ti o qualunque
altra vittima della guerra non credo che l’avesse
fatto per nulla, per il bisogno innato d’aiutare
qualcuno.
Lui era un soldato e noi due donne.
Una ballerina a tariffa e una stupenda femmina senza
il suo maschio.
Seduto su quel letto è
rimasto fermo a guardare tua moglie. Per logica,
dopo Hong Ti si sarebbe dovuta sacrificare lei. Ma
era un discorso troppo alla pari!
Lei nel
frattempo si era ripresa. Aveva di nuovo il viso
disteso, l’episodio in strada l’aveva completamente
eluso. Addirittura, tra due sorsi bollenti di
infuso, ha raccontato una storiella sui soldati
francesi.
Mentre ridevamo ci siamo penetrate
negli occhi ed è bastato uno sguardo, un cenno
d’intesa per essere pronte. Contemporaneamente
avevamo notato l’affare, capito che avevamo davanti
l’unica fonte per rialzare la testa.
Lui ha
messo sul tavolo poche sterline, ma per noi era una
goccia di sangue. Mi sono distesa immediatamente sul
letto a fianco di tua moglie, con la convinzione che
sarebbe stato soltanto il primo di un esercito, alla
porta.
L’amore francese
Tu sei tornato proprio in quel momento! Ma dico
io, di tanti momenti di un giorno, di tante lune di
un mese, proprio in quel momento! Non hai bussato,
avevi ancora la chiave e nonostante la mia pena, eri
in gran forma.
Ci hai visto nude, l’hai vista
nuda senza neanche quel vestito di cielo sfumato.
Hai visto lui sopra di noi che faceva a turno. Non
ho mai capito come un uomo riesca ad entrare in due
buchi diversi e saziarsi meglio che in uno.
Alle
volte mi chiedo davvero se siamo fatte, diversamente
se davvero un uomo riesca a godere, a sentire la
differenza della nostra pelle interna.
Il
francese entrava ed usciva come in un autobus
pubblico all’ora di punta, facendo attenzione che
nei momenti di vuoto non si sentisse troppo
l’assenza. Si aiutava con le mani, con la bocca, con
i gomiti e le ginocchia. Invasato non avrebbe
chiesto di meglio! Era uno, ma sembravano tanti.
Dall’ultima occidentale era passato del tempo, e tua
moglie era davvero il massimo consentito per un
tenente d’occupazione! Dall’ultima orientale solo
poche ore, ma con me si stava facendo il ricordo di
quello sfregamento continuo sopra il mio vestito di
seta, la sorpresa di accorgersi che ero senza
mutande.
Era un amante perfetto e da uomo in
guerra ci martellava senza sosta, erano bombe e
granate dentro i nostri corpi affamati di cibo e
maschio. Pigiava come un ossesso la rabbia d’essere
lontano dagli amici, dagli affetti, dalla sua casa e
da tutto ciò che era il suo mondo.
Tra me e tua
moglie non faceva distinzione, non giocava a
preferirne qualcuna, scopava come un gallo appena
arrivato in un pollaio nella certezza d’essere
utile. Ci scopava l’astinenza, la tua assenza, il
Viet-nam e le zanzare, mia sorella che continuava a
cucire, il bisogno di quei pochi dollari ancora sul
tavolo in sala da pranzo.
Ecco tu sei
arrivato proprio in quel momento nell’attimo preciso
in cui usciva ed entrava…
Io non ho mai capito
cosa si provi ad essere gelosi, perché io non lo
sono mai stata. Non capisco cosa scatta dentro il
fegato, dentro la pancia.
I tuoi occhi sono
diventati di colpo buchi senza luce, senz’anima,
crateri dove s’annida il freddo dell’indifferenza.
Ogni mattina appena sveglia avevo pensato al
momento in cui saresti tornato, ed ogni mattina era
sempre più bello perché era un giorno tolto
all’attesa.
Ogni notte nel sogno ti
materializzavo a quella porta e ogni notte cacciavo
un urlo, correvo, correvo a perdifiato lungo un
corridoio interminabile finché mi ritrovavo tra le
tue braccia e ti baciavo le orecchie, i capelli, ti
leccavo gli occhi con l’infinita voglia nel cuore di
essere stretta tra le tue braccia capienti. Che
pena!
Sei rimasto lì in attesa appoggiato
alla porta. Ma cosa aspettavi? Cosa t’aspettavi? Il
francese era lì che si fotteva la guerra e non s’era
accorto di nulla. Di spalle continuava imperterrito
a scopare senza sosta tua moglie. Tu hai fatto un
timido passo proprio nel momento che la prendeva da
dietro, senza che lei sentisse il minimo dolore,
senza che lei facesse la minima smorfia.
Era
tutto troppo evidente per dire una sola parola.
Niente aveva più senso. Nulla avrebbe
giustificato quella scena. Sì, eravamo senza soldi,
sì, ti aveva aspettato… ma tu non sapevi nulla. Per
te solo quell’attimo indelebile di un uomo
qualunque, di un uomo francese che stava scopando le
tue donne.
Nulla sarebbe valso e nulla ti ho
detto. Sono rimasta impietrita nel letto, toccando
con mano quello che stavi pensando.
Non hai
detto parola, i tuoi occhi non avevano bisogno di
domandare niente. In silenzio sei uscito come eri
entrato con lo zaino in spalla e lo schifo di
fianco.
Un’ultima occhiata per vedere il francese
che m’entrava dentro e godeva che padrone del letto
urlava e bestemmiava giurando che, costasse una
notte, ci avrebbe saziate.
Il padrone cinese
Mi rendo conto che
ancora adesso sarebbe inutile chiedere perdono,
perché tu a me credevi, credevi a quella dedizione
che non avevi mai trovato, invece ero lì piena di
sesso per tre sterline che avrai pure visto.
Se per caso ti capitasse di ripensarci ricordati
che l’ho fatto per amore, per essere la vostra
amante ufficiale.
Il francese mi ha sentito
rigida ed è uscito immediatamente ma tu questo non
potevi saperlo!
Ha preferito il calore più
affamato di tua moglie che a gambe larghe non
aspettava che quello. Chissà da quanto tempo non
faceva sesso con un uomo, mi dava quasi fastidio
quel rumore di risucchio, quei fiati strozzati che
chiedevano altro.
Ti pensavo per le strade
di Saigon avvolto dalla più profonda tristezza, ti
pensavo sul ponte più vicino alla morte di quanto
non avesse saputo fare una guerra.
Mi sono
alzata di fretta, ho preso quello che era rimasto
della mia roba, mentre tua moglie continuava ad
urlare di gioia e dolore, mentre il francese
infilava e premeva, sbatteva e pigiava, ansimava e
gridava… Per loro tu non eri mai tornato, per tua
moglie eri ancora lì immerso nel fango della guerra,
la stessa melma che ora lasciava tua moglie nel
letto e una ballerina a tariffa in cerca della sua
identità che solo per poco aveva creduto di
disfarsene.
Sono scesa in strada ma tu non
c’eri più, ti ho cercato ovunque, nei vicoli stretti
delle case del porto, lungo il fiume, tra le barche,
sotto i pavimenti di legno.
Avevo il terrore di
vedere da un momento all’altro la tua testa
affiorare dall’acqua, ma imperterrita ho continuato
la ricerca. Nemmeno una luce, nulla. Solo la forza
della mia disperazione, il rincorrere l’odore delle
nostre cose insieme.
Sono stata nel posto che
ci aveva accolto clandestini, dove per giorni e
giorni abbiamo tentato di fare l’amore, di ripetere
l’unica volta in veranda che mai scorderò per tutta
la vita.
Non avevo la chiave, ho scardinato il
lucchetto, slegato lo spago che teneva ferma la
porta, sono entrata, ma c’erano solo topi.
Per tutta la notte ti ho cercato, lungo i bassifondi
di Colon, tra gli alberghi di lusso e i bordelli
ancora pieni di gente. Quando sono arrivata di
fronte al mare, mi sono sentita persa. Ero sfinita.
Distesa sulla sabbia mi sono addormentata con la
convinzione che non avevo altra meta che chiedere
perdono al padrone cinese.
Ero bella, ancora
bella, e lui avrebbe accettato.
Sul divano rosso
Eccomi ora sono qui
seduta su questo divano rosso e guardo la porta.
Ogni tanto entra qualche irlandese che t’assomiglia.
Faccio un balzo, ma poi mi rimetto seduta.
Qualche volta ci viene a far visita il tenente
francese, ogni tanto mi chiede di ballare, ma da
quella volta non siamo mai saliti al piano di sopra.
Ha sempre il vizio di strusciarsi contro le gonne,
di sentirsi uomo nei buchi che sono di altri.
Mi
ha detto che ha vissuto per giorni nella nostra casa
insieme a tua moglie. Non so se l’ha mai amata, so
solo che i suoi occhi si sono intristiti quando mi
ha detto che poi lei è partita.
Già tua
moglie! Chissà se finalmente ha trovato quello che
andava cercando? Un uomo che incatenasse il suo
fiato venerandola come Madonna. Chissà se mi pensa o
se davvero sono stata soltanto un ripiego. Lei non è
mai riuscita a distinguere il bene dal sesso, la sua
fica dal cuore, per questo ha sempre creduto che tu
non l’amassi.
Non so se tu l’abbia più
rivista e non so nemmeno se tu poi sia tornato in
Europa. Mi si stringe il cuore pensare che non mi
abbia più cercata. Eppure sapevi dove trovarmi!
Che sciocca che sono, ancora m’illudo, come vedi!
Per voi in fin dei conti è stata una missione come
tante altre. Magari in questo momento, mentre
commentate le foto dei vostri tanti viaggi, state
sorseggiando tranquillamente una buona e bollente
tazza di tè rigorosamente irlandese.
E
l’amore? Mi sono chiesta per giorni. Che cos’è
l’amore per voi? Se non un diversivo di guerra.
Tante amanti ufficiali in ogni parte del mondo che
s’illudono di riempire un vuoto.
Ogni tanto
interrompo i pensieri per un ballo a tariffa. I
clienti occidentali ormai sono merce rara e quelli
orientali non t’invitano mai a salire le scale.
Mi fanno i complimenti, mi dicono che sono la più
bella, ma la mia testa è altrove, è li che penso più
convinta che se il destino ha deciso così non poteva
andare in maniera diversa. Anche se a me piace
pensare che ogni tanto si può andare contro la
sorte, come cambiare di netto il corso d’un fiume.
Alle volte ci credo, chissà davvero che non sia
accaduto, che su quella spiaggia mi sia alzata di
fretta, e nuda e scalza t’abbia rincorso
ripercorrendo a ritroso i vicoli fangosi del porto.
Ti chiamavo, urlavo il tuo nome che per
vergogna ancora non ho detto, e che per timore che
tu possa leggere queste righe, ho omesso anche
quello di tua moglie. Ho detto che sei irlandese,
che sei un inviato di guerra, ma chissà quante
storie uguali si sono consumate in questa città
piena di guerra e di fame.
Sogno ad occhi
aperti che alla fine di quella fuga dalla realtà
cruda sono riuscita a trovarti e tu mi hai stretta
forte tra le tue braccia.
Non so se tu leggerai
mai questa lettera, ma credo che non sia stato
inutile scriverla. Mi ha aiutato a ricostruire, a
mettere a posto i giorni, le cose e noi stessi,
vittime e padroni dei nostri sentimenti. Perché da
qualsiasi dolore tu voglia vedere la storia, da
qualsiasi eremo giudicarla, mi fa piacere pensare
che questo tempo passato t’abbia convinto che tutto
ciò che è stato, è stato soltanto per quest’infinito
bisogno che chiamano amore.
FINE