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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
La moglie del panettiere




 


 
 


Porto il nome di mia nonna materna, porto le trecce dei fili di grano, ed ogni sorriso è una bolla per un lasciapassare, ogni orecchino un pegno da sciogliere, e da consumare, il peso del pane e quello del cuore, un diamante nascosto tra le pieghe del seno.
Loro entrano ma non vogliono grano, loro entrano e sanno già che comprare, non vogliono forme di granaglie e frumento, né dolci e ciambelle all’anice e al vino, loro hanno solo parole per chiedere un prezzo, fiato caldo per spegnere l’ardore, e soffiare sulla fiamma e gradire l’effetto.

E il cuore impazzisce e la testa scombina, il sangue che scorre nelle vene in fermento, nel buio la giostra del retrobottega, il circo di pelle misto a farina, negli spiragli angusti del palmo di mano, che inquieto si brucia sui muri scrostati, accanto al calore della bocca del forno.
E loro assaggiano senza creanza, questa frutta che vendo per arrotondare la paga, questa torta di mele che si lascia infornare, come acqua e farina che lievita in corpo, come fa questa voglia che dall'ansia di perdersi, trascura le voci di clienti lì fuori, che reclamano in fretta un chilo di pane.

Loro invece impazienti reclamano altro, nell’istinto recondito che guida il piacere, e ti toccano dove la pelle s’arrossa, dove lievita il prezzo e sale la voglia, lasciando lividi indelebili ai giorni, lasciando segni che il tempo trascura, come grappe di rame che fissano il muro.
Perché sono marchi di ferri bollenti, ceppi profondi che bucano il cuore, come mucche finite al macello di notte, e decisi ti chiedono come se fosse dovuto, come se il seno fosse lievito e dolci, o farina di crusca per pane integrale.

Vanno e vengono e ogni tanto si fermano, come le promesse, come gli spergiuri, ed io recito il rosario di tutti gli amori, con le perle che offro e quelle che vendo, perché ogni volta ci credo che sia quello giusto, che il seno che offro sfami davvero, prima che sia tardi, prima che sia l’ora, prima che il panettiere torni per sera e reclami per cena il pane stracotto.
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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Photo   EvanPratamaLudirdja

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