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Adamo Bencivenga
L'amore breve L’amour court
Aveva appena compiuto 18
anni. Era bello come un bambino, spensierato come un
adolescente, sfrontato come un ladro, a diciotto anni
del resto non si può che essere così! Passava le ore
seduto con i suoi amici nei caffè chiassosi lungo la
Senna a bere boccali di birra e limonata e a guardare le
belle passanti che passeggiavano lungo il viale ombroso
sotto i tigli. Il suo passatempo preferito era
scommettere un po’ su tutto: “Ora passerà un uomo col
cappello, ora una ragazza bionda…” e il fine non era
vincere, ma il divertimento scanzonato.
Lo vedevo
ogni sera quando passavo lungo quel viale tornando dal
lavoro. Non era la strada più breve, ma a casa del resto
non mi aspettava nessuno, mia madre era morta da qualche
mese ed io vivevo da sola nella mia casa al primo piano
in Rue de Richelieu. Tutte le sere, non avendo nulla da
fare, allungavo il tragitto verso casa passeggiando
sotto i tigli verdi di fianco alla mia solitudine.
Com'era gradevole il profumo del tiglio nelle sere di
giugno! Pensavo. Rendeva l'aria dolce e leggera ed io
annusavo quel vento che portava l’allegria dei bar, i
profumi della birra e delle limonate, il sapore del
cocco dei chioschi lungo la strada e le scommesse di
quei ragazzi smaliziati.
Non so cosa mi avesse
colpito di lui rispetto agli altri ragazzi. Vestiva allo
stesso modo, stesso taglio dei capelli e lo stesso
fischio rivolto alle ragazze. So solo che mi faceva
piacere vederlo lì ogni sera. Era diventato
un’abitudine, un volto familiare, tanto che, a volte,
vedendo quella sedia vuota, mi chiedevo cosa stesse
facendo o dove fosse andato.
Poi una sera
qualcosa successe. Una sera di quell’incantevole giugno.
Mi sentivo stranamente allegra. Prima di uscire
dall’ufficio avevo messo in ordine i miei capelli, un
velo di rossetto e un po' più di nero intorno agli
occhi.
E fu proprio in quel momento, mentre passavo
davanti ai tavolini di quel caffè, che qualcuno gridò:
“Isabelle!” Mi voltai di scatto e vidi lui che si stava
sbracciando. Naturalmente Isabelle non era il mio nome.
D'altra parte non conoscevo quel ragazzo per cui lui non
poteva sapere il mio nome, ma sorrisi ugualmente e lui
non ci pensò due volte a salutare in fretta i suoi amici
e correre verso di me.
Probabilmente aveva
puntato su di me, probabilmente aveva scommesso una
birra che avrei sorriso o non so cosa, comunque mi
raggiunse e non disse nulla, ma forse non c’era nulla da
dire. Non ci presentammo, ma insieme cominciammo a
passeggiare fianco a fianco lungo il viale sotto i
tigli. Il cielo all’imbrunire si fondeva con le foglie e
il rumore distante del traffico di Parigi con i miei
piccoli fremiti sotto la pelle. Poi lui con un gesto
naturale mi prese la mano, delicatamente come se avesse
timore di un rifiuto, e fui io questa volta a non dire
nulla.
Sera di giugno! Diciotto anni! Sorrisi e
respirai profondamente lasciandomi inebriare da quel
profumo. Quasi danzavo, non mi era mai successo di
camminare mano per mano ad un ragazzo. Certo sì, avevo
avuto qualche storia, brevi ed inutili quanto un
ricordo, ma in quell’istante mi sentii felice, come una
bimba su una giostra. Forse lui aveva notato in me
qualcosa che io stessa non riuscivo a vedere.
Nel
sentire il calore di quella mano contai le mie tante
notti d’autunno, le mie poche sere all’aperto e la
realtà prese il sopravvento, forse ero solo lo sfizio
dell’incanto di una sera estiva, oppure un biglietto
vincente della lotteria, o più semplicemente una birra
gratis al suo ritorno
Lui si fermò. Era pensieroso,
forse pensava a come procedere, a come dichiararsi e
quanto io fossi disponibile. Ci sporgemmo dal parapetto
lungo il fiume, lui si accese una sigaretta e parlò.
Apprezzai la sua sincerità quando mi disse che non si
era mai innamorato e che preferiva la compagnia degli
amici alle ragazze, e poi, quasi scusandosi, sussurrò
che le parole d’amore non erano il suo forte e che le
considerava ridicole, buone solo per i cioccolatini.
Io fissavo il tremolio delle luci sull’acqua,
sentivo i suoi occhi sul mio profilo. Chissà cosa avrei
dato in quel momento per sedurlo! Lui intuì il mio
pensiero, mi cinse delicatamente i fianchi ed avvicinò
le sue labbra. Mi venne istintivamente di chiudere gli
occhi e sentii un lieve bacio sulla guancia.
Proseguimmo lungo il viale di tigli, ci fermammo ad
ascoltare un’orchestrina di clown di trombe e violini di
un circo lì vicino. Lui mi disse: “Tu as mis un peu de
noir sur les yeux?” Annuii e questo lo fece ridere.
Avvertii un leggero imbarazzo, ma era evidente che mi
avesse notata altre volte. Forse davvero non ero solo
una scommessa. Mi illusi.
Girammo ancora,
tornammo sul viale di tigli e lui si fermò all’altezza
del civico 56. Accanto ad una frutteria ancora aperta a
quell’ora c’era una piccola casa rosa e celeste. Disse
che era di un suo amico. Dalla tasca dei pantaloni
spuntò un mazzo di chiavi. Non mi chiese il permesso
quando infilò la chiave nella toppa e mi pregò di
entrare. Mano nella mano salimmo su una scala di legno
fino ad una piccola mansarda con il soffitto di vetro.
La stanza era misera, assomigliava ad un rifugio o a
un’alcova. C’era solo un letto disfatto e un piccolo
specchio appeso all’unica parete. Avvertii un forte
odore d’amore stantio.
Aveva appena compiuto 18
anni e ciò lo rendeva quasi insolente. Sicuro e
sbrigativo si tolse la camicia come se non avesse tempo.
Mi disse soltanto: "J'ai envie de toi!" Tagliente come
un coltello non pronunciò parole d’amore, non mi
accarezzò, non mi aiutò a togliere il vestito. Troppo
giovane per pensare che una donna avesse bisogno di un
pretesto, troppo giovane per fingere o rispettare i
piccoli gesti di un corteggiamento. Rimanemmo al buio,
non credo si accorse della mia seconda di seno, dei miei
slip lilla o del mio sesso depilato quando mi tolsi le
mutandine. Lui rimase in pantaloni e slacciò appena due
bottoni per fare il suo dovere.
Mi disse di
distendermi e di allargare le gambe, poi sopra di me
come fosse del tutto naturale mi cercò col suo sesso
finché trovò la via della sua scommessa. L’unico bacio
rimase quello davanti alla Senna quando, affacciati al
parapetto, mi aveva sfiorato la guancia. Fu un amore
breve quanto la piacevole sensazione del profumo di
tigli, un amore scarno, ruvido come il gioco di un
cardine secco. Non so quanto tempo trascorse, forse un
minuto o poco più quando sentii un suo gemito più forte
e lui non si accorse del mio orgasmo.
Mentre si
rivestiva ritrovai la mia solitudine, le mie passeggiate
lungo il viale la sera, la mia casa troppo grande per
viverci da sola. Dall'incavo di quel letto, attraverso
il vetro sporco, vidi con meraviglia il cielo pieno di
stelle. Poi una cadde, e già era giugno, ma io in quel
momento non avevo desideri.
Guardavo la sua ombra
nella penombra della stanza, era un bel ragazzo ed avrei
voluto trattenerlo. Invece lo lasciai andare senza fare
un gesto, senza dire nulla. Lui prese le chiavi e disse:
"C'était pas si mal." Forse era un modo dolce per
scusarsi, per ringraziarmi, forse avrei dovuto
considerarlo una tenerezza, ma lo disse con il candore
infernale della sua giovinezza. Già aveva diciotto anni!
Mentre scendeva la scala di legno gli chiesi il suo
nome, lui disse “Pierre”, ma era evidente che fosse
inventato, poi gli chiesi se per caso fossi ripassata da
quelle parti… ma lui non rispose, anzi si raccomandò,
appena fossi pronta, di richiudere la porta. Sperai
almeno in un arrivederci che non venne, poi sentii i
suoi passi lungo quel viale di tigli. Lo immaginai con
le mani in tasca, un sibilo simile ad un fischio, la
camicia fuori i pantaloni e il suo ritorno trionfale dai
suoi amici seduti al caffè. E poi ancora birre e
limonate. E altre scommesse.
Mi alzai, mi guardai
nel piccolo specchio, rimisi in ordine i miei capelli,
un velo di rossetto e un po’ di nero intorno agli occhi.
Guardai quel letto sfatto, identico a come lo avevo
visto appena entrata. Era solo passato un altro amore,
pensai, così breve che sapeva di scommessa. Pensai a
quanto tempo sarebbe rimasto il mio odore prima di
svanire, per sempre.
E già, lui aveva solo 18 anni ed
a 18 anni non si può essere seri, ma sottovoce lo
ringraziai comunque. Forse ero stata davvero
l’equivalente di una birra, ma per qualche minuto mi
aveva fatto dimenticare di avere il doppio dei suoi
anni.
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Il racconto è frutto di fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente
accaduti è puramente casuale.
© All rights reserved TUTTI I RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
Photo Yuliya Naumova
Il racconto è liberamente tratto da “Il
venait d'avoir 18 ans”
canzone scritta da Pascal
Sevran, Serge Lebrail e Pascal Auriat, ispirata al
romanzo di Colette “Le Blé en herbe”
e dalla poesia
“Il Romanzo” di Arthur Rimbaud
http://it.wikipedia.org/wiki/Il_venait_d%27avoir_18_ans
http://www.rodoni.ch/busoni/bibliotechina/rimbaud/rimbaud2.html
© Adamo Bencivenga - Tutti i diritti riservati
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