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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
L'ANNO SCORSO A MARIENBAD


 
 


ESTERNO GIORNO. ORE 11:00. BORDO PISCINA HOTEL MARIENBAD.
SOFIA ALTIMARI CALVETTI E ALESSANDRO BELMONTE

L’albergo è imponente, sfarzoso, barocco, lugubre, d’altri tempi. I grandi corridoi senza fine sono come rughe sul viso incipriato di una nobildonna non più giovane. Sinuosi e maestosi succedono ad altri corridoi e sale e stanze enormi e silenziose, deserte, fastosamente decorate. Le pareti sono ricoperte da intarsi in legno e in oro rosso, impreziosite da nicchie a volta dove fanno mostra di sé arazzi e quadri muti di paesaggi campestri e scene regali di caccia alla volpe.

L’uomo cammina, tra divani damascati ricoperti di velluto rosso, avverte nitidi, forti odori di muffa e di antico. I suoi passi sono silenti, assorbiti da tappeti pesanti, spessi. Guarda fuori e guarda dentro attraverso grandi vetrate piombate che deformano l’intorno a curve opache di luci tortuose.

“La bella stagione è finalmente arrivata.” Pensa.
L’uomo, vestito di beige chiaro, cammina ora tra i tavoli della terrazza fiorita, l’azzurro intenso dei suoi occhi si confonde con lo specchio dell’acqua alle sue spalle. Le sedie di vimini sono ricoperte di stoffa tessuta con disegni floreali. Fasci di spighe e lavanda arredano i tavoli dentro grandi orci in ceramica decorata a mano. Prende posto al suo tavolo prenotato da generazioni, sempre lo stesso.
Ora comodamente seduto osserva gruppi di giovani donne bionde che si accalcano sul bordo piscina. Ridono, scherzano e spensierate rallegrano l’ambiente. I vapori d’acqua sulfurea sfumano i colori delle loro pelli chiare, dei loro costumi casti, dei loro capelli lunghi da adolescenti.


“La stagione promette più che bene!” Pensa, ammirando, sedute ai tavoli, le prime villeggianti appena arrivate che si godono leziose i primi raggi della bella stagione, per lo più mogli ed amanti, mamme e figlie della Praga bene coi loro ombrellini pastellati, i loro cappelli colmi di frutta e fiori, le loro conversazioni sobrie ed eticamente corrette.
Accanto, a pochi metri di distanza, una donna posa delicatamente le sue labbra color rosso geranio su un bicchiere fresco di acqua e limone. E’ vestita in lino bianco con un’ampia gonna a balze lilla ed un cappello di paglia a falde larghe.

L’uomo si guarda intorno, ha l’aria soddisfatta finché casualmente il suo sguardo incontra la donna. Ha un sussulto, istintivamente vorrebbe alzarsi e salutarla calorosamente. Poi ci ripensa, fa un cenno con la mano reclinando impercettibilmente il capo.
In ultimo gli esce, quasi come un sussurro, uno stentato:
“Buongiorno.”
Ma la donna non sente e non risponde al saluto. Lui insiste con un ampio sorriso incrociando ora i suoi occhi, lei si volta credendo che quell’affascinante sorriso a denti bianchi non sia rivolto a lei. Ma dietro di lei c’è solo il vuoto di piccole dune verdi che s’adagiano morbide fino all’orizzonte. Ora è lei interessata, per lo più incuriosita da quei gesti così espansivi decisamente inconsueti per quell’ambiente. Di solito non capita che in quel posto esclusivo un uomo importuni una donna.
“Ci sarà sicuramente un valido motivo per farlo!” Pensa.
Lui con quel sorriso ancora stampato capisce, anzi non capisce. Rimane un attimo a pensare, crede che quel fascio di sole in controluce possa disturbare la vista della bella signora, quindi si alza. Sa di essere inopportuno e senza pensarci raccoglie una grossa margherita dal piccolo orcio sul tavolo e, dopo averla gentilmente offerta, chiede il dovuto permesso di sedersi al suo tavolo. Lei acconsente.

“Mia Sofia, come stai? Che piacere rivederti!”
Lei perplessa, spalanca gli occhi per capire, ora più che incuriosita sembra fortemente impacciata.
“Mi scusi non capisco…. Con chi ho l’onore di parlare?”
“Sofia, non ti ricordi di me? Sono Alessandro….. Alessandro Belmonte. Ti ricordi l’anno scorso qui a Marienbad? Stesso albergo, stessa piscina, stesse sedie di vimini…”
Si blocca di colpo per darle modo di ricordare, poi si guarda intorno, respira intensamente, scivola lungo lo schienale, sembra soddisfatto.
Lei continua a rimanere perplessa.

“Mi scusi, ma veramente non ricordo…”
Lui sorride.
“Mia cara, ho sempre apprezzato questo tuo modo di scherzare…”
“Mi perdoni, davvero non so di cosa stia parlando e per quale recondita ragione utilizzi questo linguaggio così confidenziale!”
Seccata ripone il suo ventaglio andaluso nella borsa.

L’uomo la guarda, capisce e non capisce, il suo bel viso si fa serio, cerca di avvicinare le distanze, si siede sul bordo della sedia, parlando agita le mani, poi con un gesto meccanico della mano destra scosta dalla fronte i suoi capelli biondo cenere.
Qualche goccia di sudore imperla la sua fronte, ora poggia i gomiti sulle ginocchia, unisce le mani come in un atto di preghiera e controllando il tono della voce riprende.

“Sofia, perdonami, come fai a non ricordarti? Non credo di aver sbagliato persona. Ti chiami Sofia vero?” La sua voce ha una smaccata velatura sarcastica.
Lei rimane perplessa e scostante.
“Sì certo… Sofia Altimari Calvetti, piacere.”
Lui ora agita le mani non tradendo le sue origini italiane.
“Lo so, lo so. So tutto di te.” Dice lui azzardando quel tu ancora più confidenziale.

Lei non parla e lui riprende.
“So che sei sposata con un marito che non ami, che il tuo cuore è vuoto e la tua mente in cerca di emozioni… Davvero non ricordi nulla? L’anno scorso qui a Marienbad abbiamo trascorso due meravigliose settimane insieme…”
Fa una pausa in cerca di nuovi dettagli per aiutare la donna a ricordare. Poi si guarda di nuovo intorno e riprende con un filo di voce.
“Eravamo innamorati come due bambini…”
Lei riprende il ventaglio dall’ampia borsa poggiata sulla sedia di fianco. La situazione inizia a farsi pesante.
“Guardi, mi spiace deluderla, ma forse c’è un errore…”
A quel punto fa per alzarsi, ma lui la prega di rimanere...
“Mi avevi detto di tornare quest’anno… per fuggire insieme… Io sono giorni che ti aspetto. Pensa sono qui da una settimana e più volte al giorno chiedevo tue notizie alla reception.”
“Sinceramente mio signore non ricordo, né di averla conosciuta e tanto meno di averle promesso alcunché. Per me lei è un perfetto sconosciuto, più la guardo e più me ne convinco. Ripeto: “È possibile che non abbia sbagliato persona?”
“Sofia, non è possibile, se vuoi ti dico tutto quello che so di te. Che sei italiana come me e vivi a Praga, coltivi le rose nel tuo giardino, l’anno scorso avevi una madre molto malata e dubitavi che sopravvivesse per lungo tempo; e poi che desideri tanto avere un figlio. Ricordi quella sera proprio qui in terrazza? Quel fascio di luna che ti illuminava gli occhi e poi la promessa...”
L’uomo si accende una sigaretta, chiama il cameriere per una anisette freschissima con ghiaccio e limone. La donna è imbarazzata, ma non si congeda, forse è curiosa, stupefatta.
Poi dice:
“Ascolti non c’è nulla di male se ha confuso persona. Mi dia retta chiudiamo qui questo increscioso contrattempo.”

Lui ora non l’ascolta.
“E poi quella notte, la ricordi vero la nostra notte? Tuo marito, costretto a tornare improvvisamente a Praga per motivi di lavoro ci lasciò soli. Ringraziammo entrambi il destino che involontariamente ci aveva dato una grossa mano...”
L’uomo ora ha dei flash, ricordi nitidi altri nebulosi, ha paura di sbagliare. La fermezza di lei lo fa traballare. Poi però non demorde e cerca ancora nella sua mente altri particolari precisi ed incontrovertibili per dimostrarle di conoscerla intimamente e non solo come cliente dello stesso albergo. Vorrebbe andare nei dettagli di quella notte, l’unica, la luna, i gemiti, la pelle dorata, i baci passionali e poi l’amore, ma si trattiene. In quel momento, su quella terrazza affollata e stracolma di orecchie indiscrete non ritiene che sia a modo lasciarsi andare a quei ricordi, descrivere quelle ore in completa intimità. Cerca invece altri particolari, il nome della sua gatta siamese, il mese di nascita, il suo colore preferito, il suo segno zodiacale e il nome di sua madre.
Ma la donna rimane perplessa, a volte sorride altre sembra decisa ad andare e a porre fino al suo imbarazzo.

“Mio caro signore, convengo con lei che in questa storia bizzarra ci siano troppe coincidenze, ma la prego di credermi, io non l’ho mai vista. Credo sinceramente che qualcuno si sia preso burla di lei."
“Burla perché mai?” Si guarda di nuovo intorno e messo alle strette, sottovoce riprende.
“Sofia, come hai potuto dimenticare? Abbiamo fatto l’amore, ci siamo amati promettendoci che non sarebbe finita lì. Nessuno di noi due aveva mai vissuto quei momenti così segreti e passionali con il rischio che qualcuno potesse vederci e riferirlo a tuo marito.”
Ora lei sorride decisamente.
“Ma le pare? Io e lei nel buio di qualche angusto camerino? Mi faccia il piacere!”
“Oh no, poi siamo saliti nella mia stanza e ci siamo lasciati andare, passando insieme tutta la notte!”

Lei ora è decisamente infastidita e seria risponde.
“Mi ascolti, benedetto signore, questa è la storia più ridicola che mi sia mai capitato di ascoltare in tutta la mia vita. Io sono una donna sposata ed esigo rispetto! Sono sempre più convinta che qualcuno si sia preso gioco di lei.”
Lui sempre più intraprendente. Confuso ora le dà del lei.
“E come è possibile mia cara? Vuole dire qualcuno che le somiglia come una goccia d’acqua? Qualcuno che conosce la sua vita perfettamente?”
Lei fa per alzarsi.
“Signor……”
“Belmonte… Alessandro Belmonte…”
“Senta Signor Belmonte, lei pensi quello che crede, ovviamente non sta a me convincerla. Lei è padrone di credere ai suoi sogni e far galoppare per lande sterminate la sua fantasia fino a pensare di aver trascorso una notte con me, ma la prego lo faccia lontano possibile da me.”
“Ti prego aspetta ancora qualche minuto.”
“Mi spiace, mio marito mi sta aspettando…”
“Avete la stessa camera? La 287?”
“Si certo, ma qualsiasi mancia può impossessarsi di quell’informazione, a meno che lei non abbia allungato l’occhio dentro la mia borsa, inavvertitamente si intende.”
Così dicendo apre la borsa, facendo vedere il numero della chiave ben in vista.”
“Sofia, come posso dimostrarti che non mi sono inventato nulla?”
“Non si affanni, non ne vale la pena, io non la conosco e non l’ho mai conosciuta. Mi fido della mia mente! Le basta ora?”
“La prego ancora cinque minuti! ”
La donna, forse per timore di qualche gesto inconsulto da parte del giovane, si rimette seduta.

La piscina è piena di giochi festanti, i piccoli bimbi praghesi si divertono sotto lo sguardo severo delle baby sitter in grembiule nero e colletto rigorosamente bianco. L’uomo sembra infastidito dal grande chiasso e dai piccoli schizzi d’acqua che ora imperlano la sua giacca.
Pensa. Improvvisamente nei suoi occhi si materializza un’idea.

“Scommetto che hai un piccolissimo neo sulla regione sinistra della fronte, poco sotto l’attaccatura dei capelli…”
Lei platealmente toglie il grande cappello, si lascia andare contro lo schienale ed esclama: “Esattoooo. Qualcuno l’ha istruita molto bene!”
“Perdonami inizio a pensare che tu abbia una sorella gemella. Vi somigliate come due gocce d’acqua?”
“No assolutamente, niente gemella, sono figlia unica! Vorrei solo sapere a che gioco lei stia giocando, se è lecito sapere.”
“Non gioco mai a nulla!” Dice stizzito. Si agita nervosamente, si nota che sta usando tutte le sue leve per controllarsi. Ora le sue mani sono strette a pugno, le labbra serrate. Poi riprende più convincente:
“In questo anno non ho fatto che far passare i giorni pensandoti e scrivendo lettere alle quali non hai mai risposto.”
“Lettere? Lei mi ha scritto delle lettere? Immagino lettere d’amore…” Ride. Poi riprende con aria fintamente incuriosita.
“Ed a quale indirizzo se è lecito sapere?”
“L’indirizzo di tua madre… Come da tue istruzioni del resto!”

L’uomo tira fuori dalla tasca della giacca la sua agendina e legge l’indirizzo.
“U Zvonarky 12, 120 00 Prague 2”
“Anche questo è esatto, mi sembra di essere entrata improvvisamente in un processo kafkiano. Lei deve aver fatto delle indagini molto accurate sul mio conto oppure assoldato un investigatore privato. Vorrei tanto sapere cosa l’abbia spinta a tutto ciò…”
“Quindi deduco che non ti siano mai state recapitate?”
“Mio signore, io invece deduco che lei non le abbia mai scritte e oggi non avrebbe potuto inventare altro modo per importunare una donna sposata di buona famiglia che da oggi e per tutto il mese si accinge tranquillamente a godersi la sua meritata vacanza. Ma una cosa mi preme dirle. Quello che ha detto sul mio conto è tutto esatto, dal neo sulla fronte all’indirizzo di Praga di mia madre, tranne che io non abbia figli.”
“Tu mi avevi detto……”
“Signore non insista io non la conosco e men che meno ho trascorso un soggiorno con lei o peggio delle ore in completa intimità. Si rende conto vero che potrei chiamare la Sicurezza e farla sbattere fuori da questo albergo in meno di cinque minuti!”
“Ma Sofia…”
Lei lo interrompe
“Sa cosa le dico? Lei è solo un misero millantatore.”

Passa un cameriere, lei sta per dire qualcosa, ma poi per qualche strana ragione si blocca e chiede semplicemente un’altra limonata molto fredda. Lui un gelato di solo pistacchio.
“Metta tutto sul mio conto.” Dice lui al cameriere mostrandogli la chiave della stanza.
Ora sembra rassegnato, ma si lascia andare ai ricordi con la speranza mai doma che lei possa ricordare.
“Saremmo dovuti fuggire a Parigi in treno, di notte, avevamo previsto tutto, anche le due righe d’addio da lasciare a tuo marito. Avremmo viaggiato in due scompartimenti separati per non dare nell’occhio fino a Cheb. La prima notte insieme l’avremmo passata oltre il confine a Bamberg, in una graziosa locanda sopra il colle Michaelsberg. Lì è tutto romantico, adatto a due amanti clandestini in fuga. Ricordi vero? Quando ti parlavo del Giardino delle rose con oltre 4500 specie diverse……”
Poi silenzio, lei distratta volge lo sguardo sulla piscina giocosa.
Lui insiste.
“Non so quale sia la ragione… Ora dubito davvero, ma ti prego di credermi, non sono matto, sarebbe bellissimo farti di nuovo l’invito e sognare insieme Parigi...”

Ora la situazione sembra più calma. Lei addirittura azzarda: “Mi spiace di averle dato del millantatore, la prego di accettare le mie scuse, ma mi creda, questa che mi ha appena raccontato è la storia più bizzarra che io abbia mai ascoltato! Lei scrive?”
“Perché?”
“È una storia molto romantica.”
“No mia cara non sono un romanziere e non vado in giro a raccontare storie.”
Mentre il cameriere serve ai tavoli arriva una ragazza vestita tutta di nero, il suo sguardo è severo. Porta con sé una culla. Tra le pieghe del lenzuolo rosa ricamato spunta una paffuta bimba bionda, con grandi occhioni di un azzurro intenso.
“Mi perdoni signora, la bimba si è svegliata ed ho pensato che le avrebbe fatto piacere…”
“Hai fatto bene Anna, puoi andare ora…”
La nurse adagia delicatamente la cesta sull’unica sedia libera accanto alla donna.

Sofia guardando orgogliosamente sua figlia si rivolge all’uomo e riprende:
“Vede mio signore? Come potrei accettare il suo invito? La natura è stata molto benevola con me. Da anni, io e mio marito, aspettavamo questo bellissimo dono. E finalmente tre mesi fa è nato questo piccolo fiore!” Così dicendo prende in braccio sua figlia.
Lui quasi si pente di essere stato così inopportuno. La guarda con i suoi occhi azzurri intensi mentre lei stringe a sé la bambina. La vede così materna, così amorevole, tanto da dubitare che la loro storia sia realmente accaduta o che lei sia davvero la stessa persona che un anno prima gli aveva promesso amore eterno, anche se nei suoi pensieri più reconditi il dolce ricordo di quella notte lascia spazio ad una più amara verità...
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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TUTTI I RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
Photo  JacquesHenryLartigue

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