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Adamo Bencivenga
La Partita
Fa sempre uno strano effetto tornare in questi luoghi, dove il cielo è
cielo grigio ed il sole è fuori posto, e nelle crepe dell’asfalto l’erba
parietaria, cammina lungo i bordi senza marciapiedi, cammina sui rigagnoli
di fango ed acqua sporca, oltre la fermata di un bus che non passa, di un
signore trasandato che ha perso la speranza, e parla col suo cane e lo
guarda sconsolato. Ogni tanto scuote il capo, ogni tanto ci ripensa,
perché fa sempre uno strano effetto tornare in questi posti, ogni tanto un
tombino lasciato a cielo aperto, un palo della luce di legno traballante,
ogni tanto un cassonetto, quasi al centro della strada, uno zingaro che
fruga, una nera che si offre. Alzo gli occhi al cielo verso la tua
finestra, è quella con la serranda di legno semi aperta, cerco di vederti,
solo un vaso di gerani, solo due calzini che s’asciugano al vento.
Fa sempre uno strano effetto entrare nel cortile, le case sono rosse
d’edilizia popolare, gli infissi verdi e gialli senza un minimo di gusto, una bimba sta giocando da sola a campana, un’altra fa
la nanna ad una bambola di pezza. Fa sempre uno strano effetto trovare un
parcheggio, nel posto assegnato all’interno 24, lo so che mi stai
aspettando, vedo un’ombra che si muove, dietro le tendine a scacchi
bianche e rosse. Entro nel portone e non è cambiato nulla, cammino lungo i
graffiti osceni in bella mostra, c’è anima e muffa dentro questi muri, c’è
intorno un brusio di porte spalancate. Un odore nauseante di soffritto e
di cipolla, di carne cotta al sangue, di pesce riscaldato, di bimbi sul
vasetto, di madri esasperate, di rumori che si fondono nella tromba delle
scale.
Guardo l’orologio, sono quasi le tre e un quarto, guardo tra gli avvisi se
trovo il tuo nome, le buche delle lettere sono quasi tutte rotte, e colme
di reclame, di nuove aperture, di un supermercato, proprio qui vicino, che
offre quattro pezzi al prezzo di uno solo. L’ascensore non funziona,
sorrido sotto i baffi, non è cambiato nulla, penso e mi dirigo, verso la
rampa destra oltre le colonne, ben otto piani a piedi e passa la paura!
Fa sempre uno strano effetto ritornare in questi posti, dove il soffitto è
giallo sporco e il buio, buio pesto, dove ciascun colore s’addensa e si incupisce,
d’un velo di tristezza, di anni ormai passati. C’è ancora il mio nome
sopra il campanello, il tuo è sbiadito, si legge a malapena, c’è ancora un
vaso rotto davanti alla vetrata e una pianta di felce secca, vicino alla
tua porta.
Premo il pulsante, ho ancora il fiatone, pensando quasi certo che già mi
avrai visto, ed ora conti il tempo perché passi quello giusto, per farmi
immaginare che non mi stavi aspettando, che eri in un’altra stanza,
affaccendata in altre cose, e quest’appuntamento proprio non lo ricordavi!
Ancora dei secondi, lenti, vuoti nell’attesa, finalmente dei
rumori, una voce che conosco, hai aperto trafelata allacciando la vestaglia, anche
questo è un segno chiaro che fa parte della scena, davvero l'ho pensato
sorridendo a malapena, notando il trucco nuovo, il
rossetto rosso fuoco, il colore dei capelli leggermente più ramato.
Fa sempre uno strano effetto risentire lo stesso odore, ti preparo un
caffè, mi hai detto appena entrato, ho annuito con il capo ed ho tolto il
cappello, incrociando il tuo sguardo come al solito sfuggente, voltandoti
di scatto per evitare l’imbarazzo, d’un bacio da parente oppure
qualcos’altro. In casa tutto uguale, nulla era cambiato, il portaombrelli
nero, la cassapanca in fondo, le stampe thailandesi lungo il corridoio,
perfino la carta a fiori, perfino la fruttiera, sul tavolo di cucina, di
marmo a vene grigie, perfino le quattro sedie di paglia intrecciata, tutto
come prima, tutto come sempre.
Dio quanto tempo, mi hai detto sorridendo, Dio quanto tempo, ti ho detto
un po’ più serio, già vent’anni ed oltre e non sono uno scherzo, anche se
qualche incontro c’era stato nel frattempo, ma mai come adesso, io e te e
nessun altro, mai come adesso io e te in questa casa.
Involontariamente mi son seduto al solito mio posto, con le spalle contro
il muro e davanti ai fornelli, ho notato la tua vestaglia a fiori grandi e
gialli, l’anello all’anulare, le unghie rosso sangue. Un attimo di
silenzio, ho pensato cosa dire, ti ho chiesto di tua figlia, sta bene mi
hai detto, nel frattempo si è sposata, nonostante i diciott’anni, nel
frattempo è nata Lucy, il nome dell’altra nonna, ma somiglia tutta a me,
hai respirato faccia e seno, vezzosa mi hai guardato per trovare le
conferme, che mai e poi mai ti saresti abituata, a guardarti in uno
specchio e vederti come nonna.
Fa sempre uno strano effetto rivedere gli stessi oggetti, ma le tazzine
quelle no, non le ho riconosciute, sono nuove mi hai detto, ma non sono di
valore, le ho prese con i punti, al supermercato qui di fronte. Mi hai
chiesto quanto zucchero, uno scarso ti ho risposto, eri bella e te l’ho
detto, mi hai guardato intensamente, un attimo smarrita forse non te
l’aspettavi, poi una smorfia per dire cosa dici, per dire ma sei pazzo o
non ci vedi bene, ma poi ti sei passata una mano tra i capelli, qualche
ruga attorno agli occhi, ma non stavi niente male.
Ci eravamo rincontrati per caso una sera, su uno di quei siti, d’anime
gemelle, dopo anni di avvocati, di cause perse e vinte, e sapevamo la
ragione, pudori ed apparenze, e perché quell’incontro con l’aiuto di un
pretesto. Per giorni e giorni interi l’avevamo programmato, pianificato
nei dettagli come una partita vera, mosse e contromosse tattiche e
rilanci, assist e tiri al volo, rigori e fuorigioco.
Fa sempre uno strano effetto vedere gli stessi oggetti, quell’imbuto di
metallo che sa d’antico e di famiglia, ho notato il posacenere e ti ho
chiesto il permesso, tu hai preso il tuo pacchetto, stessa marca come un
tempo. Di scatto ti sei alzata ed hai aperto la finestra, fuori un sole
magro, malato e senza luce, fuori tutto grigio, di fumo e nebbia densa,
residui di ciminiere che sbuffano all’aperto.
Mi hai detto che stai bene, che non ti manca niente, un compagno e una
figlia, una nipote da svezzare, una casa fronte mare, le sere in un locale,
per un bingo e un ballo lento, o un latino-americano.
Ti ho detto che sto bene, che mi sei mancata, hai di nuovo riso, forse
solo per imbarazzo, ti ho detto che ho un lavoro, una casa in affitto,
dove batte il sole caldo due volte ogni giorno.
Fa sempre uno strano effetto vedere gli stessi oggetti, anche se, come
sai, avevo preso un po’ di tempo, e ti avevo proposto un cinema, un teatro
o una pizza, ma tu non hai voluto, non era questo il caso: “Se devo
incontrarti, voglio farlo veramente.” Anche se abbiamo avuto, bisogno di
una scusa, altrimenti nessuno mai, avrebbe fatto il primo passo. Stanotte
non ho chiuso occhio ti ho detto ammiccando, cercando quell’intesa che
ancora mi sfuggiva, hai annuito come per dire che tutto era previsto e di
me nulla mai è stata una sorpresa, comprese le mie ansie, i miei dolori
esagerati, l’amore quello sempre in completa sintonia. Ho notato il
merletto, del reggiseno lilla, che lezioso usciva in parte e catturava le
mie voglie, e fa sempre uno strano effetto ripensare a quei momenti, il
tuo ultimo rossetto, la calza color carne. Mi domandavo quale sapore
avesse la tua pelle, quale i tuoi baci, se fossero cambiati, mentre da
fuori entrava il suono, l’eco delle trombe, bandiere e sventolii, bianco,
rosso e verde.
Fa sempre uno strano effetto chiamarti col tuo nome, quando di spalle in
piedi, sciacquavi le tazzine, ho notato il tuo sedere, dolce e provocante,
quasi un invito, deciso e involontario, davvero l’ho pensato se portassi le
mutande, e cosa sarebbe cambiato se ne fossi stata senza, e quale segno
fosse e come comportarmi, se per caso per un istante fossimo stati
più vicini.
Ti ho detto di mia moglie che mi credeva al lavoro ed invece avevo preso
un giorno di riposo, ed invece sono qui in un’insolita giornata, dove il
cielo è cielo grigio ed il sole fuori posto. Perfino mi hai detto grazie,
davvero non dovevi, perfino ti ho detto grazie per avere accettato, ma ti
sei girata ed ho visto i tuoi occhi, con la parola moglie rimasta in
sospeso, a girare e rigirare come se non trovasse posto, in un angolo del
tuo cervello, in una parte del mio cuore.
Mi hai chiesto se a lei piacesse il calcio, per dire e non dire, ti ho
risposto no, e tu di nuovo hai sorriso. Oddio quel sorriso, tale e quale,
come sempre, oddio quella bocca schiusa come un fiore. Avrei dovuto
alzarmi e venirti più vicino, avrei dovuto al volo prendere l’occasione,
ma non è servito, mi hai detto è quasi ora, ed a passi lenti mi hai
preceduto, ed a passi muti abbiamo preso posto in sala. Ci ho pensato sai,
se fosse quello il momento, se una mano calda t’aspettavi intorno ai
fianchi, e se davvero un momento ci fosse mai stato e quanto fosse giusto
dopo tanto tempo. La tv un megaschermo, regalo del tuo compagno, che ora
per lavoro era su una piattaforma, sai si occupa di petrolio in mezzo al
mar Rosso, è una persona dolce, ma non hai aggiunto altro.
Fa sempre uno strano effetto ritornare in questi posti, guardare come il
tempo non ti abbia poi cambiata, sì vabbè qualche ruga ma l’anima è
intatta, come i vezzi e i tuoi silenzi che non ho mai scordato. Già,
Italia-Germania, certo che ricordo, stesso semibuio ed una candela accesa,
due flut di prosecco sul tavolino accanto, come ai vecchi tempi olive e
patatine, come ai vecchi tempi seduti sul divano, era Messico ‘70, Spagna
‘82, Dio quanto tempo, e ora come allora, io alla tua destra, tu alla mia
sinistra, le mani più vicine, i mignoli si toccano.
Ti guardo e tu mi guardi, la vestaglia è un po’ più aperta, sarà stato il
movimento quando prima ti sei seduta, sarà o non sarà, ma sento il tuo
calore, sarà il tuo profumo, la mia nuova cortesia, saranno i miei dubbi
se porti le mutande, il lampadario a gocce, la foto di tua madre, sarà il
tuo compagno lontano in mezzo al mare, sarà che mia moglie mi crede al
lavoro. Saranno i tuoi occhi attenti, i miei un po’ di meno, saranno i
vecchi tempi, un inferno mi dicevi, sarà che poi nel letto mi perdevo e ti
perdevi, saranno i tanti anni passati a ricercarci, sarà che poi nessuno
ha fatto il primo passo, sarà questo divano con i chiodi e con le spine,
sarà l’afa e questo tempo, la fronte che s’imperla, il reggiseno lilla, le
unghie con lo smalto. Sarà questo odore di miele e di richiamo, sarà che non resisto, che non ti ho mai resistito,
sarà dei tanti letti, nessuno caldo come il tuo, sarà che non tira un filo
d’aria, sarà l’inno di Mameli, sarà la tua mano ora, che mi sembra di
sentire, sarà che fa uno strano effetto tornare in questi posti, sarà o
non sarà, sarà che inizia la partita.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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Alexander Makhlay
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