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RACCONTI
 
 



Adamo Bencivenga
LA PROSTITUTA ARABA




 


 
 


Sarà che stanotte è vestita d'azzurro, con i bordi argentati e le asole d’oro, come fosse l'alone della luna a Palmira o i tetti d’Aleppo che s'imbrunano a sera, dopo che il sole ha già oscurato Latakia, e i cedri del Libano e le moschee lungo il mare, e fa ombra e frescura sulla via della seta, tra carovane di stoffe e mercanti che a sera, barattano merce con due ore d’amore.

Sarà che stanotte il digiuno finisce e immersa tra sfarzi di velluti e broccati, aspetta un invito, muto e silente, mentre gira le perle d'oro rossiccio, mentre lancia una nube di fumo e rossetto, seduta in disparte tra profumi e candele, in questo albergo di ricchi, di stranieri a Damasco, lei gioca con l’ombra che oscura il suo viso, con la luce velata che a trame si spacca, quel tanto e quel niente perché traspaia la bocca, il seno che ora si gonfia capiente.

Sarà che stanotte è truccata perfetta e sborda le labbra per essere oggetto, una bambola vera che si gonfia per l’uso e sfuma l’ombretto di lilla e d’argento, d’oro che a tratti diventa poi mirra, come fossero ali di farfalla regina, come fossero laghi che in mezzo al deserto sfamano stormi d’uccelli migranti, dentro quel gruppo di uomini ricchi, vestiti di bianco con la kandura e il kefiah, che lei scruta, discretamente al suo posto, in attesa che il primo la noti e l’apprezzi o il secondo che spera di vederla danzare, di vedere il suo tacco che schiavo obbedisca ad un cenno di occhi e uno schiocco di mani.

Perché sia pane che sazia e che nutre, perché sia preda di un ordine secco quando a comando fa la ruota e le fusa, quando tratta l’offerta velata d'argento ed abbassa i suoi occhi per dare l’assenso, e scopre la fronte, le ciglia, la bocca, e muta si alza con un cenno e un sorriso, e clandestina lo invita nell’eden proibito, a seguirla distante al piano di sopra, come tra i vicoli del Suk a Damasco, come nelle oasi sulla via della seta, o dentro l’Hammam clandestina e signora.

Sarà che stanotte si sente sovrana e in attesa si lascia incantare dal sogno, quando sciama e s’immagina tra due ali di folla, e si offre al padrone per quaranta cammelli, per quaranta castelli con i merli e le torri, regina temuta che decide il destino, di schiavi in ginocchio, di donne contese, d’orgasmi che a breve, fuori dal sogno la inonderanno alla meta, padrona indiscussa, ma schiava asservita al piacere soltanto, che la lascia danzare col ventre e la bocca e la guida all’essenza e le cadenza il respiro.

Sarà che stanotte è una notte silente e si sente il fruscio del suo tacco che sale, con l’uomo che segue e compiaciuto l’ammira, per la scelta che ha fatto, per le forme che vede, perché sarà che stanotte è una notte di stelle e da fuori il riflesso la rischiara più bella, e dentro la stanza ora è distesa sul letto, e lui l’adora e la spoglia poi la volta supina, quando vibra le corde ed il suono che sente, sono fitte parole di bettola e porto, sono densi sospiri di lavoro e mestiere, frasi di gola e lingue straniere, baci e saliva d’amore rubato, che sanno di terra, d’anima persa, che sanno di vuoti scavati negli anni, di pieni che ora la vogliono bella, tra i rumori giù in strada di un giorno alle porte.

Sarà che stanotte è una notte che passa, raccolta alla meta del piacere riflesso, e l’uomo si perde su quella pelle di luna, e un misto di voglia la invade e poi sbocca, come resina densa che a gocce trasuda, e cola pastosa da un tronco di quercia, e cola silente tra l'odore di spezie, ed ora ristagna e nutre la mano, del giusto compenso che la notte ha deciso, quando l’uomo stremato rimane nel letto, e lei chiude la porta e intorno si guarda, poi scende superba, maestosa e regina, per la scala di marmo tra le luci ormai spente, di questo albergo di ricchi, di stranieri a Damasco.
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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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Photo  Niko Guido

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