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Adamo Bencivenga
La stazione lungo il mare
E il vento soffia e sale sale, lungo la coda di una estate, sotto le gonne
di signore, lungo le gambe dritte e snelle, e sale sale e lascia scie,
sopra i soprabiti leggeri, di stoffe belle e seta e lana, tra i baci buoni
degli addii, e quelli caldi ancora intatti, nel buio oscuro dei non posso,
è un vento che porta gli odori, di labbra rosse e fuoco vivo, e lascia
all’eco treni e foglie, che gialle danzano nell’aria, sulle traverse dei
binari, dove passano i locali, e passeggiate sul tramonto, sotto gli
ombrelli dei signori, lungo la strada sotto i pioppi, coi cani che fanno i
bisogni, coi cani che fanno l’amore, oppure l’hanno appena fatto.
E il vento soffia e sale sale, lungo la coda di una estate, e noi due che
camminiamo, distanti per non far vedere, quel fuoco che ci brucia dentro,
senza poterci respirare, o intrecciarci dita e mani, nel caldo denso dei
sospiri, o strapparci le carezze, per dare un senso a tutto questo, perché
è un addio e lo sappiamo, perché è un lutto dentro il cuore, senza più
dirci arrivederci, o quanto meno ci vedremo, perché è un vento che
trascina, l’odore fresco alla vaniglia, e cocco e viola e rosa spina, e il
tuo tailleur di quasi autunno, le gambe belle e il viso tondo, nella
stazione lungo il mare.
Come se non fosse adesso, o non lo fosse stato mai, la sera prima e tante
notti, rubate al sonno e a tuo figlio, e tu che dici amore amore, col
suono dell’alta marea, e vibrazioni ed onde e flutti, e tremiti di fiati e
pelle, al chiaro della luna tonda, che a fasci ti faceva bella, ed ora
illumina il cappello, la gonna stretta per il viaggio, una sola bocca e
nebbia e fumo, che canta e fila il mio ti amo, ti amo che non posso dire,
che sembra quasi che non sappia, o quanto meno che non sia, l’inizio caldo
di un addio, la fine fredda di un bel giorno, e io cammino piano piano, a
due passi o poco dietro, e inseguo triste il tuo profumo.
Perché noi due siamo noi, ricordi appesi sulla spiaggia, tra barche fitte
lungo il fiume, i ragni grandi e le zanzare, due ombre nere sulla sabbia,
tra l’acqua, il mare e i tuoi capelli, e i giorni andati e quelli belli,
passati a dirci mai e mai, passati a dirci amore e sempre, in quelle notti
ad aspettare, l’alba chiara e il viso bello, quello stanco dell’amore, e
ora invece è l’ora triste, e il treno fischia e il vento sale, e sale sale
e fa danzare, i teli neri degli ombrelli, e gambe belle e gonne e tuoni, e
lampi lilla all’orizzonte, e nei tuoi occhi un gelo nero, i tristi segni
dell’addio, del tempo che passa veloce, nella stazione lungo il mare.
Lo senti vero è già settembre, la coda lunga dei pensieri, e tu che vai e
torni torni, dove mai potrei venire, perché lì c’è un’altra casa, ed altre
notti ed altri giorni, il taglio corto dei capelli, e un uomo che non sa
aspettare, la cena a lume di candela, il tuo vestito con gli spacchi, e un
brivido lungo la schiena, mi scorre e taglia come lama, e sento il freddo,
il sangue e il gelo, la coda lunga della luna, perché è vero e tu lo sai,
non è l’addio che vogliamo, immaginato tante volte, un bacio lungo quanto
un treno, le tue parole ad onde e fiumi, i corpi caldi di un saluto,
invece qui ora cammino, le mani in tasca e vento in faccia, aggrappato a
un filo nero, nella stazione lungo il mare.
E il vento soffia e sale sale, lungo la coda di una estate, lo senti vero
è già settembre, la coda lunga dei pensieri, dove colgo il senso triste,
il gelo scorre nelle vene, perché è freddo e piove piove, e a breve ci
sarà la neve, e vorrei dirti amore amore, che sei linfa e terra e grano,
il pane cotto, l’uva e il mosto, parole che non hanno senso, vuote, scarne
e secche secche, sapendo bene che domani, sarò una passera che cova, uova
schiuse e sassi duri, lungo la strada sotto i pioppi, lungo la coda dei
binari, che lascia all’eco il treno e foglie, le tue calze con la riga, e
lascia a me una donna adesso, che ha solo voglia di partire, che guarda
l’ora e il cielo triste, suo figlio stretto nella mano.
E non parliamo come se, parlare fosse un delitto, la prova di quei baci
buoni, scambiati all’ombra della luna, e quelle notti fino all’alba, in
quella casa in riva al mare, e stretti stretti e più vicini, a fondere la
nostra pelle, a dirci amore amore sempre, a dirci mai ci lasceremo, e
invece ora son distante, due metri dietro o poco meno, e guardo solo il
tuo cappello, le forme del tuo corpo bello, e porto il tuono dentro il
cuore, e porto solo le valigie, perché tuo figlio che non sa, mai mai
dovrà sapere, che adesso tu mi stai lasciando, e non stai solo partendo,
che questo è solo un muto addio, nella stazione lungo il mare... .. |
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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Photo Tatyana
Nevmerzhytska
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